di Ettore Minniti
L’11 novembre è noto per essere l’Estate di San Martino. E’ un’importante ricorrenza che unisce la liturgia cristiana alla tradizione contadina. Durante l’estate di San Martino, secondo le tradizioni agricole, venivano rinnovati i contratti agricoli annuali, questa ricorrenza ha dunque forti legami con la terra e con i suoi frutti, infatti, tradizionalmente, durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo.
Vino buono, originale, genuino. Versato nel calice, si annusa. I profumi sono un buon indicatore della qualità del vino. Una volta colti gli aromi che si sollevano dal calice, entra in gioco il primo metro di giudizio, il più importante: è gradevole, aromatico, armonioso, è sicuramente un vino buono.
Il vino si fa con l’uva: un’affermazione che sembrerebbe scontata, forse anche un po’ banale. Non l’hanno pensata così alcuni produttori di vino che hanno prodotto la bevanda degli Dei dell’Olimpo con acqua e zucchero. Non siamo a Cana, cittadina della Galilea, quando Gesù trasformò l’acqua in Vino, ma nell’odierna Partinico nel palermitano. Scoperti, sono stati tratti in arresto dalle Forze di Polizia.
“Una operazione importante, capillare, che ha fatto emergere un vero e proprio sistema economico e produttivo basato sulla contraffazione, sulla frode, sulla concorrenza sleale a danno delle nostre indicazioni geografiche, delle imprese sane, dei consumatori”. Così la ministra Teresa Bellanova a commento della vasta indagine che ha portato al sequestro del laboratorio clandestino e dello stabilimento enologico a Partinico.
“Ringrazio la Procura della Repubblica e la polizia giudiziaria per la brillante operazione” – ha dichiarato Carmelo Finocchiaro, Presidente della Confedercontribuenti – “occorre potenziare le attività di contrasto a tutela della filiera agroalimentare contro ogni forma di concorrenza sleale e tutelare così i consumatori contribuenti”.
Confedercontribuenti sarà presidio di legalità in un settore strategico per la nostra economica come l’agroalimentare e strenua difenditrice dei prodotti di qualità del nostro Bel Paese, sostenendo le tante di imprese che, con tante difficoltà, in un settore difficile da affrontare, si scommettono, ogni giorno, su qualità, eccellenza e rispetto delle regole.
Dubbio amletico: ma la mela di Eva era BIO? Pur non avendo dati scientifici in merito, possiamo supporre che fosse esattamente come la Natura l’aveva creata, senza antiparassitari, anticrittogamici e residui di lavorazioni industriali. I due mangiarono questo frutto e subito si resero conto di essere nudi! Ci si chiede, allora, cosa ingerirono? Con un pizzico di ironia irriverente, se improvvisamente si trovarono nudi, tanto BIO quella mela non doveva essere.
Vuoi vedere che i concetti di adulterazione, sofisticazione e alterazione nascono con l’uomo?
Già Plinio, ai tempi dell’antica Roma, nella sua opera “Historia naturalis”raccontava di come i commercianti adulterassero spezie e alimenti provenienti dai paesi orientali.
Per comprendere quanto questo malcostume accompagna la storia dell’uomo, occorre fare un lungo viaggio nei “secoli bui” della in-sicurezza alimentare ovvero a quando la sofisticazione dei cibi – dal pane al vino ai dolci – era una pratica all’ordine del giorno e la frode alimentare iniziava prepotentemente a crescere, di pari passo allo sviluppo del commercio.
Scopriamo che l’adulterazione e la frode nel commercio esistevano in misura sorprendente già nel Medioevo. In Francia tra il 1200 e il 1400 si moltiplicano editti ed ordinanze contro i “malvagi frodatori” che smerciavano carni adulterate e birra ottenuta con misture di bacche selvatiche. Mentre in Germania, prima l’imperatore Federico III e poi l’imperatore Massimiliano emisero duri provvedimenti contro i primi falsificatori di vino.
In Italia invece l’alimento più contraffatto è il pane. Tra il 1300 e il 1600 numerosi fornai vennero perseguiti perché realizzavano questo alimento con farine provenienti da granaglie ammuffite e contenenti micotossine della segale cornuta, la cui presenza determinava disturbi nervosi spesso di tipo collettivo. Inoltre, attorno al 1500 vennero denunciati in varie parti d’Italia diversi macellai che propinavano ai loro clienti carne di bestie morte di malattie, i cui effetti sulle persone che sventuratamente le consumavano erano devastanti.
Tra il Seicento e il Settecento, accanto alla scoperta di nuove pratiche fraudolente riguardanti il vino – chiarificato con la colla di pesce e dotato di colore più vivo e di minore asprezza mediante l’aggiunta di litargirio – fecero scalpore alcune manipolazioni particolarmente rischiose dell’olio. Questo prodotto era realizzato mescolando alla spremitura delle olive l’olio di papavero, noto anche come olio di garofano.
Anche i dolci erano vittime di pericolose sofisticazioni: nella pasticceria venivano spesso usati i colori utilizzati dai pittori. Parliamo di sostanze nocive come la gommagutta, l’azzurro di rame, il cobalto, la cenere e la calce di piombo.
Nel 1800, con l’intensificarsi degli scambi commerciali e a fronte di una domanda alimentare crescente, i venditori fecero ricorso sempre più spesso a frodi commerciali. In particolare attorno al 1820 un vero e proprio shock colpì il Regno Unito. Si scoprì che le sfumature iridate dei dolci londinesi erano prodotti da sale di rame e di piombo.
Nella seconda metà del ventesimo secolo, i falsi alimentari hanno assunto nuove dimensioni soprattutto in due direzioni. La prima è che le sofisticazioni si sono estese lungo tutta la filiera produttiva, dal campo alla tavola. La seconda è quella dell’imitazione di prodotti di alta qualità, sostituiti con alimenti generici e di qualità inferiore: ovvero l’agro pirateria.
Frodi antiche, dunque, ma sempre attuali.