Viaggio in un hub in Moldavia, con Larisa che sogna la Scala


AGI – A Balti, in Modavia, l’università ha lasciato il posto ai rifugiati. Qui, nella strada principale, Stefan cel Mare, si trova uno dei tre hub che sono stati attrezzati per far fronte all’ondata di profughi ucraini. Certo, dopo aver visto com’è funzionale il centro di prima accoglienza della capitale, il MoldExpo, questo sfigura un po’. Ma solo all’apparenza. Alcuni degli ospiti della struttura, Dimitri, Antonina, Larisa e Natalia, ci dicono che qui stanno “bene”: “I moldavi sono molto buoni e la gente del posto” li “sta aiutando moltissimo”. E in effetti qui c’è tutto, dal cibo a un letto, dall’assistenza legale a quella psicologica.

Nel suo reportage in Moldavia, l’AGI si è fermata in questa città di 144mila abaitanti nel nord del Paese: è la terza per popolazione dopo Chiinu e Tiraspol, con la ‘terra nera’ buona per la coltivazione. Le persone con cui parliamo arrivano tutte da Kharkiv, a est dell’Ucraina, bombardata a più riprese dall’esercito russo: “Adesso è un tappeto di macerie”, ci raccontano.

Dimitri è uno dei 5 uomini presenti nella struttura che dà riparo a 56 persone. “Sono potuto scappare perchè ho il passaporto moldavo”, spiega, “mia moglie Antonina, invece, è nata a Kharkiv. E lì ha ancora la madre, che è malata e non era possibile trasportarla”. “Chi non ha lasciato la città è perchè proprio non riusciva a muoversi, gli altri sono fuggiti”, raccontano.

Nel frattempo ci hanno raggiunto le loro bambine, di 4 e 5 anni, che si infilano tra le gambe dei genitori e ascoltano assorte noi che faticosamente cerchiamo di capirci grazie anche all’aiuto di Dorin, un ragazzo di una ventina d’anni, che lavora nell’amministrazione e parla un po’ di inglese. “La situazione adesso è drammatica. Questa guerra proprio non ce l’aspettavamo, pensavamo ci sarebbe stata una crisi politica ma non le bombe“.

“Abbiamo capito quello che sarebbe successo solo il 23 febbraio – interviene Dimitri – quando in televisione hanno detto che i diplomatici russi erano andati via velocemente dall’Ucraina. E tutti i loro documenti sono stati bruciati in strada, vicino al consolato”. “Poi la mattina del 24 siamo stati svegliati dalle esplosioni”. Dimitri e Antonina hanno aspettato prima di lasciare la loro casa, poi si sono spostati a Odessa, dove hanno un’attività commerciale e degli amici. Ma anche lì era “troppo pericoloso”.

Quindi hanno raccolto il possibile, e con le due bambine sono venuti in Moldavia. Qui si sentono “al sicuro”. “A Odessa – Antonina si copre gli occhi mentre parla – il sabato di Pasqua una casa di civili è stata bombardata e un bambino di 3 anni è morto”.

Anche Natalia ha lasciato a Kharkiv i genitori, “loro non ce la facevano ad affrontare il viaggio, sono molto anziani, hanno più di 90 anni. Anche fuggire era rischioso, noi non sapevamo neanche da che parte andare, quale sarebbe stata la strada più sicura”. “Da quando siamo stati svegliati alle 5 del mattino dalle bombe è stato un crescendo. Le comunicazioni si sono interrotte. E anche se i media spesso non ne parlano, la nostra città è un bersaglio continuo”.

A sorpresa interviene con qualche parola di inglese Larisa, una bella signora dai capelli argentati avvolta in una sorta di chimono blu elettrico: “I media russi distorcono la realtà, la capovolgono. Putin è un enigma. Ma noi guardiamo i fatti: le città sono distrutte, la gente è morta. Gli ucraini giudicano questo”. Lapidaria, e forte come una roccia, nonostante tutto, come la gran parte delle donne ucraine che stiamo incontrando. Poi vuole sapere di me, da dove vengo, chi sono. Quando sente che arrivo da Milano, si illumina, il suo primo pensiero va alla musica, al “meraviglioso Teatro alla Scala”. “Amo moltissimo l’opera, mi piace Luciano Pavarotti. Ascoltavo sempre Verdi”. Una passione in comune. Ed è mai stata in Italia? “Mia cara, questa è la prima volta che vado all’estero in vita mia. Questa è la mia prima ‘tournèè”, scherza. 

Source: agi