AGI – Gli studenti che seguono i corsi post laurea presso il Magdalen College dell’Università di Oxford – una delle più prestigiose istituzioni universitarie al mondo – hanno deciso di rimuovere la foto della regina Elisabetta II dalla stanza che usano in condivisione.
Una scelta approvata con una votazione ma che, inaspettatamente, ha sollevato un polverone mediatico per via della motivazione: l’immagine della sovrana è il simbolo della recente storia coloniale del Paese. Dieci studenti hanno votato a favore della rimozione, due contro e cinque si sono astenuti.
Il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson ha fatto sentire subito la sua voce in un tweet catalogando il gesto come “semplicemente assurdo”.
Dinah Rose, la presidente del Magdalen College, ha invece difeso il diritto degli studenti al cosiddetto “free speech”, la libertà cioè di dibattere su qualsiasi argomento. Sempre su Twitter ha osservato: “Il Magdalen College sostiene fortemente la libertà di espressione e il dibattito politico, e il diritto degli studenti ad avere idee autonome. Forse voteranno per rimetterla al suo posto o forse no ma nel frattempo sarà conservata con cura”. Rose ha aggiunto: “Essere uno studente è molto di più che studiare. È qualcosa che ha a che fare con l’esplorare e dibattere idee. Qualche volta significa anche provocare le vecchie generazioni”.
La vicenda si inserisce in realtà in un più ampio dibattito in corso nel Paese sulla libertà di espressione e sulla cosiddetta “cancel culture”, la tendenza, enfatizzata dai social media, a silenziare opinioni datate o controverse. Il 12 maggio scorso è infatti passata alla Camera del Comuni una nuova legge in base alla quale i professori, gli studenti o i relatori esterni possono denunciare gli istituti, ma anche le unioni di studenti, nel caso in cui, una volta invitati a parlare, vengano boicottati per via delle loro idee. Per chi viene censurato è previsto anche un risarcimento economico del danno.
Con questa legge il governo ha voluto proteggere il cosiddetto “free speech” ma in realtà, secondo molti osservatori anche conservatori, otterrà l’effetto opposto e cioè quello che le università o le unioni studentesche censureranno a monte certi professori o relatori dalle opinioni non gradite. Insomma eviteranno di invitarli proprio per non incappare in una denuncia.
Daniel Finkelstein, storico giornalista del Times ed ex deputato conservatore ha criticato fortemente la mossa del governo. “La cosiddetta “cancel culture”” ha scritto in un articolo per il Times “può essere battuta solo sul piano delle idee e non con proposte di legge”. E ancora: “Il punto non è tanto costringere a invitare certi relatori ma piuttosto evitare che alcuni accademici siano censurati a causa delle proteste studentesche”.
Un caso emblematico è quello accaduto nell’Università di Essex nel 2019, quando i convegni di due relatrici femministe sono stati cancellati come conseguenza delle polemiche sulle loro posizioni relative al gender e in particolare alla contestazione dell’idea che gli uomini transessuali siano uomini e le donne transessuali siano donne. Una delle due relatrici criticava ad esempio la proposta di far scontare a donne transessuali le pene detentive nelle prigioni femminili. Per questo motivo le accademiche erano stare bollate transfobiche e TERF (Trans Exclusionary Radical Feminist) acronimo con un’accezione decisamente negativa utilizzato per descrivere le posizioni di alcune femministe radicali che rifiutano alle donne transessuali l’accesso a determinati spazi. Dalla polemica sorta come conseguenza della cancellazione dei convegni, l’Università di Essex ha deciso di condurre un’indagine interna indipendente per capire se il diritto al “free speech” delle due accademiche fosse stato violato. Dal report è emerso che effettivamente le donne erano state vittime della “cancel culture” e l’università si è ufficialmente scusata.
Il dibattito sulla libertà di espressione è dunque un tema caldo nell’ambito accademico in Gran Bretagna ma anche in molti altri Paesi. In America ad esempio, proprio lo scorso anno, l’ex presidente Barack Obama era intervenuto sull’argomento in un incontro coi giovani organizzato dalla sua fondazione. “Questa idea di purezza e di non accettazione del compromesso e l’essere sempre politicamente “woke” è meglio che venga superata in fretta”, aveva detto. “Il mondo è disordinato – aveva aggiunto – pieno di ambiguità. Le persone che fanno cose buone hanno dei difetti così come quelle alle quali vi opponete potrebbero avere delle cose in comune con voi”. “Ho la sensazione – aveva continuato – che fra alcuni giovani ci sia la convinzione, enfatizzata dai social media, che il modo per ottenere un cambiamento è essere il più giudicante possibile nei confronti degli altri. Come se twittare or mettere un hashtag sia attivismo, questo non è attivismo, non è portare un cambiamento bensì lanciare una pietra contro qualcuno. È la cosa più facile da fare”.
Nel Regno Unito, sulla foto della regina “simbolo del passato colonialista britannico” si è aperto un dibattito che ovviamente va oltre il gesto in sé. Anche il sindaco laburista di Manchester, Andy Burnham, questa mattina, in un’intervista radiofonica ha dichiarato: “Cerchiamo di avere senso della misura e un poco di rispetto. Le persone sono libere di avere le proprie opinioni ma certi gesti sono divisivi, dividono le persone e non credo che abbiano un reale impatto positivo”.
Il fatto che laburisti e conservatori possano trasversalmente condividere gli stessi timori sul rifiuto di simboli tradizionali o sulla censura di posizioni altrui, o che Obama metta in guardia i giovani sulle conseguenze di un atteggiamento “purista”, racconta chiaramente che questo è uno scontro tutto generazionale. Una tendenza nata sui social media ma che lentamente sta penetrando la società, polarizzando opinioni ed estremizzando commenti, creando e distruggendo idoli e influenzando, in molti casi, la vita quotidiana della gente.
Source: agiestero