VERSO L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA


di Renato Costanzo Gatti

Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede come prima “missione” ladigitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo. Si tratta degli interventi previsti per intervenire sul sistema produttivo che, ricordiamolo, sta rantolando da almeno 30 anni; da 30 anni la produttività è a zero se non negativa, il capitale privato stenta a reinvestire nell’apparato produttivo mentre in tutti gli altri paesi l’aumento degli investimenti permette un miglioramento tecnologico che fa migliorare la produttività e quindi la competitività sui mercati.

Non si tratta di riprendere il cammino percorso ma di iniziare un nuovo cammino che si chiama economia della conoscenza, fase del capitalismo che succede al fordismo lasciando ai paesi terzi le produzioni ad alto contenuto di mano d’opera e specializzandosi in produzioni di prodotti ad alto contenuto di capitale umano, innovazione tecnologica, ricerca di nuovi processi e/o prodotti; in sintesi un modello economico decisamente schumpeteriano.

Se ricordiamo i punti di debolezza (weack points) del nostro Paese, questa “missione” dovrebbe rispondere a correggere la debole dinamica degli investimenti, la ridotta dimensione media delle imprese, l’insufficiente competitività del sistema Paese e l’incompleta transizione verso un’economia basata sulla conoscenza.

Come facilmente intuibile, è questo il capitolo più importante del NGEU (Next Genaration Eu) e del PNRR, esso dovrebbe tendere a modificare radicalmente il nostro Paese ancor troppo fordista: non investiamo in ricerca né pubblica né privata, gli investimenti privati sono dirottati sul fronte finanziario abbandonando quello produttivo, la presenza di troppe micro-imprese non permette il salto tecnologico, non abbiamo ancora assimilato i fondamenti dell’economia della conoscenza per la quale è fondamentale il trasferimento delle tecnologie dagli enti di ricerca in sinergia con università e imprese, dove assume una posizione preponderante il ruolo dello stato.

Vediamo allora cosa prevede il PNRR in relazione alla digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo:

2.1 Transizione 4.0 per ………………………………………………………………….…18.98 mld

2.2 Politiche industriali di filiera e internazionalizzazione……… 2.00

2.3 Digitalizzazione PMI e fondo di garanzia………………………………0.80

2.4 Banda larga, 5G e monitoraggio satellitare……………..…………..4.20

2.5 Innovazione e tecnologia dei microprocessori……..…………….0.75

    Per un totale di……………………………………………………………………..………..26.73

La voce predominante è la transizione 4.0 che reitera, allargando ed agevolando l’adesione, i provvedimenti 4.0 del ministro Calenda. Si tratta di agevolazioni fiscali sotto forma di crediti di imposta per chi investa in nuovi macchinari ad alto contenuto tecnologico o in strumenti immateriali atti a far fare un cambio di passo al nostro assetto produttivo.

L’esperienza passata degli incentivi 4.0 ha dato risultati scarsamente diffusi, vi sono ricorse poche imprese, quelle che al nord contribuiscono al saldo positivo della nostra bilancia commerciale. Ma vorrei commentare questa voce (che tra l’altro è stata tagliata rispetto alla prima edizione) segnalando i seguenti punti precisi.

a) Gli incentivi fiscali, che consistono nel poter ammortizzare gli investimenti per un valore pari al 250% del costo, sono erogati alle imprese che scelgono di fare gli investimenti materiali o immateriali elencati dalla norma di legge. La scelta è quindi lasciata completamente al privato senza nessun intervento di indirizzo da parte dello stato. Si lascia cioè al privato ed al mercato di scegliere senza un minimo di programmazione.
b) Altro sarebbe stato se lo Stato con una visione, con un progetto (per esempio creare l’hub del gas naturale per tutta l’Europa) avesse detto: questo è l’obiettivo che mi pongo con i seguenti traguardi, se tu privato vuoi associarti nel perseguire questo obiettivo, ebbene io ti fornisco questo supporto finanziario.
c) Inoltre, avrai la possibilità di essere destinatario di una traslazione tecnologica dalla filiera enti di ricerca-università-imprese, nel percorso creativo di una economia della conoscenza.
d) Tutti questi miliardi (cui se ne aggiungono altri 4 da PON e da legge di bilancio) sono pagati dai contribuenti e dalle next generations, le generazioni future. Ora mi chiedo perché, se la comunità dei contribuenti destina una così gran massa di soldi nelle imprese, essa non ha gli stessi diritti del privato che sottoscrive quote sociali o azioni? Perché i fondi devono essere erogati sotto forma di “regalo” e non come partecipazione azionaria o sociale della comunità? Ritorna la mia raccomandazione di mettere fine ai “regali” al capitale e di dare ad ogni contributo la forma di “partecipazione” con tutti i diritti dovuti a tale forma di investimento. Cominceremmo così ad attuare l’art. 46 della Costituzione.

Vale la pena, a questo proposito, riportare alcune parti del capitolo “Utilizzo di strumenti finanziari a leva” che fa parte della presentazione del PNRR : “Il PNRR può prevedere, in alcuni ambiti (…), l’utilizzo di strumenti finanziari che consentano di attivare un positivo effetto leva sui fondi di NGEU per facilitare l’ingresso di capitali privati (equity o debito), di altri fondi pubblici o anche di una combinazione di entrambi (blending) a supporto delle iniziative di investimento.

In questa prospettiva, l’intervento pubblico può assumere la forma di una garanzia su finanziamenti privati di una copertura della prima perdita oppure di un investimento azionario, con l’obiettivo della realizzazione di specifici progetti. (…) Tali fondi possono assumere la forma sia di fondi azionari (equity) che di fondi di credito, anche con natura rotativa. Il ricorso a strumenti finanziari rispetto alle tradizionali sovvenzioni a fondo perduto comporta una maggior efficacia ed efficienza dell’intervento pubblico. (…)

Gli investimenti pubblici, rispetto alle misure di incentivazione degli investimenti privati, generano un effetto moltiplicativo sulla produzione e l’occupazione assai più favorevole, superiore a due negli scenari migliori”.

E allora, consapevoli che l’aumento degli investimenti tecnologici avrà effetti significativi sulla occupazione, solo con l’investitore collettivo si potrà entrare nel controllo dei mezzi di produzione, nella determinazione del reinvestimento dei profitti e, con i dividendi, finanziare un reddito di cittadinanza universale strumento indispensabile nella prospettiva a lungo termine.