Venezia è sempre più ‘cinese’, quasi raddoppiate le imprese in 10 anni


Dai numeri della Camera di Commercio emerge la crescita costante dal 2010  del numero degli imprenditori cinesi che operano nella Serenissima. Anche loro, però, hanno sofferto la crisi a causa dell’emergenza sanitaria

(AGI)  Che Venezia sia sempre più in mano ad imprenditori cinesi è un adagio che da anni ormai ogni veneziano ripete e sente ripetere. Ma quanto in che misura questa ‘avanzata’ si è manifestata? L’AGI ha analizzato i numeri delle imprese dell’ultimo decennio (2010-2020) per capire la portata del ‘fenomeno’. Il quadro che emerge dai dati sulle imprese registrate alla Camera di Commercio di Venezia non lascia spazio a dubbi: in dieci anni il numero degli imprenditori cinesi è passato dai 528 del 2010 ai 968 del 2020 facendo registrare un +83% (+440).

Le aziende italiane fanno registrare un -13%

Al contrario, le imprese gestite da italiani sono calate dalle 34.325 del 2010 alle 29.613 del 2020 (-4.712) pari ad un -13%. Una robusta impennata, quindi, contro un calo costante. E la cosa che impressione forse di più è che non c’è stato anno dell’ultimo decennio che non abbia confermato questi due trend. Nessuna eccezione. Nemmeno analizzando i numeri settore per settore.

Bar e ristoranti gestiti da cinesi aumentati dell’80%

Tra i bar e ristorazione gli esercizi gestiti da italiani sono passati da 4.379 a 4.090 (-289) con una flessione pari ad un -6% mentre quelli gestiti da cittadini cinesi sono cresciuti da 301 a 542 (+241) facendo registrare un +80%. Non va meglio nella vendita al dettaglio dove in un decennio l’imprenditoria italiana ha patito un – 23% (da 8.259 a 6.341) mentre quella cinese ha visto una impennata del 43% (da 181 a 259).

“Se sono onesti a lavorano bene non vedo il problema – spiega all’AGI Cristina Giussani, presidente di Confesercenti Veneto -, certo dispiace vedere locali storici magari della tradizione enogastronomica veneziana diventare tutt’altro. Una osteria tradizionale in mano a cinesi diventa spesso un bar generalista uguale a quelli di tutto il resto del mondo. Allo stesso modo se un veneziano oggi deve comperare un paio di scarpe o acquista un modello da 400 euro o cineserie da 10 e questo perché il prodotto intermedio non c’è più”.

Locali storici passati di mano

Gli esempi di locali storici passati di mano negli ultimi tempi sono moltissimi: il bar gelateria Da Nini di Cannaregio, ceduto dopo 46 anni, il ristorante Burchielle di piazzale Roma (dove però gli imprenditori cinesi hanno avuto l’accortezza di tenere i cuochi italiani), il fotografo di Ponte dei Giocattoli che dopo 70 anni ha gettato la spugna sotto i colpi di affitti da 7mila euro al mese, la Fioreria Frecceria tra La Fenice e San Marco (qui l’affitto arrivava a 16 mila euro al mese). O come Marco Francalli, ex titolare di un negozio storico che vendeva prodotti tradizionali (vetri di Murano) a due passi da Piazza San Marco, uno dei luoghi più iconici della città. “Ero stanco – spiega – anche perché non andava tanto bene il commercio a causa della nascita di tutti quei negozi di souvenir che mi avevano ormai circondato. Prima di cedere ai cinesi, il negozio è restato in vendita più di due anni ma nessuno aveva neanche mai chiesto informazioni. Poi si è fatto avanti un imprenditore cinese – senza valigetta piena di contanti, quello forse accadeva anni fa – e il mio negozio che nel frattempo si era svalutato l’ho praticamente regalato. Purtroppo è così: la città sta diventando un bazar, un souk”.

L’analisi dei dati sfata invece un luogo comune molto diffuso negli ultimi tempi: quello secondo il quale gli imprenditori cinesi avrebbero approfittato del Covid per fare affari a prezzi stracciati. I dati del 2020 e il loro raffronto con quelli dell’anno precedente mostrano che non solo non c’è stata crescita dell’imprenditoria ma anzi che l’imprenditoria cinese ha registrato una flessione dell’1%, esattamente come quella italiana. Tutto sommato un segnale, anche se negativo, di integrazione.

Fonte: AGI