Vasco Rossi compie 70 anni. Anzi no


AGI – Compiere 70 anni e fermarsi al numero e considerarlo un numero come un altro, compiere 70 anni e non sentirli, si dice di solito, quando si parla di una persona che taglia un certo traguardo ma è ancora ricca di vitalità, e non è questo il caso, perlomeno non solo; nel caso di Vasco Rossi è più giusto dire che compie 70 anni ma in realtà non li compirà davvero mai. Perché se la nostra vita si riflette sugli altri, su quello che sappiamo lasciare di noi o di quello che sappiamo fare, e mai questo è vero come quando si parla di un artista di tale caratura, allora è anche vero che il tempo che passa è un pensiero da accarezzare senza preoccupazione. Allora più che 70 anni di vita è meglio intenderli come una storia, che comincia nella piccola Zocca, in provincia di Modena, poco più di 4500 anime, nel 1952; il protagonista è Vasco, nome scelto dal padre camionista per omaggiare un compagno di prigionia nella Germania della seconda guerra mondiale.

La mamma e la passione per la musica

La mamma di Vasco, casalinga, è una grande appassionata di musica, è lei ad iscrivere il figlio alla prima scuola di canto, la cosa al piccolo piace, tant’è che arrivato ai 14 anni fonda già la sua prima band, i “Killer”, poi “Little Boys”. È proprio di quel periodo che Vasco Rossi scopre il rock, inteso come modus vivendi ancor prima del genere musicale, il padre infatti subito dopo le scuole medie lo iscrive in un collegio di salesiani a Modena e lui, forse per la prima volta costretto ad obbedire a delle regole ferree, scappa, si rifugia da una zia di Bologna, la prima, la seconda volta, finchè il padre, che era solo preoccupato di preparare il figlio ad una vita che comprendesse meno sacrifici di quelli che era costretto a fare un camionista sul finire dei ’60, non decide di cedere ed iscriverlo all’Istituto Tecnico Commerciale “Tanari” del capoluogo, affidandolo di fatto alla suddetta zia.

I brividi anarchici e il teatro

Tempismo perfetto, sono gli anni delle contestazioni studentesche, non è che il giovane Vasco sia particolarmente attratto dalla lotta politica ma lo è certamente dello spirito anarchico che dominava il pensiero dei giovani universitari dell’epoca, è attratto dalla libertà insomma, e cerca un modo per metterla al centro della propria vita. Ed è allora che gli viene in mente il teatro, un’iscrizione al DAMS, ma nel frattempo si sono arrivati i ’70 e il padre lo costringe al corso di laurea in Economia e Commercio.

E la musica? Sta lì, e nemmeno da sotto fondo, con Marco Gherardi, amico d’infanzia, anche lui dentro i “Little Boys”, aprono un locale nei pressi di Zocca, si chiama “Punto Club”, e lui si occupa dell’organizzazione degli spettacoli. Ma sono ancora anni turbolenti, si sa, e Bologna è il centro nevralgico di un certo tipo di contestazione giovanile, Vasco lascia casa della zia, va a vivere con qualche amico, frequenta di nascosto il Teatro Evento di Bologna, per il quale firmerà qualche regia e qualche presenza come attore, ma soprattutto si fidanza con una femminista con la quale instaura una relazione tossica dalla quale uscirà a pezzi e che lo costringerà dunque, anche per risparmiare, a trasferirsi a Modena.

Il salto in radio

Un periodo importante però, perché è proprio lì che Vasco scopre la musica, scopre il cantautorato italiano, quindi Battisti, De Gregori, Guccini e De André, e scopre il rock anglosassone dei Sex Pistols e, soprattutto, dei Rolling Stones. E forse proprio grazie a questo rinnovato interesse che Vasco si lascia convincere ancora da Marco Gherardi, in un’impresa che sa di salto nel vuoto: la fondazione di una radio libera.

Si tratta di un progetto illegale, solo la sentenza del pretore di Vignola del 1976, un anno dopo la prima messa in onda, Vasco verrà assolto come direttore responsabile e amministratore, ed è in quel momento che nasce il fenomeno delle radio libere in tutta Italia; Vasco, manco a dirlo, ha nettamente anticipato tutti. Punto Radio è una svolta fondamentale nella storia del giovane Vasco, perché le radio libere diventano il punto focale attorno alla quale circuita tutto l’ambiente musicale dell’Emilia- Romagna, così in quel periodo nascono le amicizie con Gaetano Curreri, Maurizio Solieri, Massimo Riva e Red Ronnie.

Arriva “Jenny”

Si organizzano serate nelle discoteche e qualche volta Vasco, che ha già cominciato a scrivere qualcosa, imbraccia la chitarra e suona dinanzi ad un pubblico. Curreri, che ai tempi aveva già fondato gli Stadio, lo spinge all’incisione del primo EP per la Borgatti Music, che comprende “Jenny”, una sorta di primissima versione di “Jenny è pazza”, e “Silvia”, è il 15 giugno del 1977, ne vengono stampate 2500 copie. L’anno successivo è il momento di provarci sul serio, così viene registrato “…Ma cosa vuoi che sia una canzone…”, stampato invece in 20mila copie, passato più che altro dalle radio libere di Emilia-Romagna e Lombardia, ancora una volta importante la presenza di Gaetano Curreri, che si cimenta a lavorare il disco in prima persona, prestando dagli Stadio anche Giovanni Pezzoli e Ricky Portera.

Nel brano “Ed il tempo crea eroi” le chitarre le suona Maurizio Solieri, da lì in poi accanto a Vasco per oltre trent’anni. Nel 1979 esce “Non siamo mica gli americani!”, forse il vero esordio del Vasco che conosciamo noi, forse il primo Vasco a trovare una propria poetica, dentro infatti ci troviamo almeno tre dei più bei brani della sua discografia: “Sballi ravvicinati del 3º tipo”, “Fegato, fegato spappolato” e, soprattutto, “Albachiara”, brano che il giovane Vasco scrive di getto osservano dalla sua finestra una giovane ragazza che ogni giorno aspettava la corriera.

La ragazza di “Albachiara”

Piccola curiosità: una volta ottenuto il successo, un giorno Vasco incontra quella ragazza, ormai diventata donna, e le svela che “Albachiara”, ormai già riconosciuto il capolavoro assoluto che è, l’ha scritta pensando a lei. Forse Vasco si aspettava chissà quale slancio di gioia ma resta deluso perché la ragazza non gli crede, nega, si imbarazza e fugge via.

Allora Vasco, di tutta risposta, ispirato da quell’incontro, scrive per lei un altro capolavoro: “Una canzone per te”. Anche se il successo pop non è ancora arrivato già si respira un’aria diversa, Vasco Rossi il 10 gennaio del 1979 esordisce in tv, a battezzarlo, nella trasmissione “10 Hertz”, è Gianni Morandi. Trova anche un manager, e non è un nome come tutti gli altri, si tratta di Bibi Ballandi, uno dei più importanti della storia dello spettacolo italiano, sua l’idea di farlo suonare per la prima volta in piazza, e non è una piazza come tutte le altre, è Piazza Maggiore a Bologna.

Pochi mesi più tardi, aprile 1980, solo pochi mesi dopo la morte del padre, colpito da un ictus mentre si trova a bordo del suo camion in Friuli,  esce “Colpa d’Alfredo”, anche da questo disco, oltre alla title track, altri brani che cominciano a rendere sempre più consistente il repertorio dell’artista, “Non l’hai mica capito” e anche “Anima fragile”, uno dei più struggenti dell’opera rossiana, dedicato al padre, riutilizzato in maniera altrettanto azzeccata da Daniele Luchetti nello splendido “La nostra vita”, con Elio Germano, premio per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes nel 2010.

Vasco varca i confini romagnoli

Il disco è ancora più graffiante dei precedenti, ma il successo viene impedito da una frase contenuta in “Colpa d’Alfredo”, eccessiva anche per le radio libere: “Ho perso un’altra occasione buona stasera, è andata a casa con il neg..o la tr…a”. Nonostante ciò si comincia a parlare di Vasco anche fuori dai confini regionali, si ritaglia anche un’ospitata a “Domenica In”, canta “Sensazioni forti” e Nantas Salvalaggio su Oggi lo etichetta subito come “ebete, cattivo e drogato”.

L’esperienza Sanremese

Vasco risponde due anni dopo direttamente dal palco del teatro Ariston del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, e lo fa con “Vado al massimo”, (“Voglio vedere come va a finire andando al massimo senza frenare / Voglio vedere se davvero poi si va a finir male / Meglio rischiare, che diventare come quel tale, quel tale che scrive sul giornale”). 

Un’edizione storica, non solo perché la prima nella quale viene assegnato il premio della critica, vinto da Mia Martini, al quale poi verrà intitolato; ma anche perché rappresenta anche l’esordio di Zucchero, che però viene scartato prima della fase finale della kermesse. Vasco lascerà il segno: prima della fine dell’esecuzione del brano, in segno di protesta verso la scelta del Festival di utilizzare il playback al posto dell’orchestra, lui infila il microfono in tasca e si avvia verso l’uscita, intento a passare subito il mic, ai tempi col filo, a Christian, che avrebbe cantato dopo di lui, ma il filo è corto e gli scivola via schiantandosi contro le assi del palco in un tonfo che fu percepito da tutti come un affronto nella Rai parecchio suscettibile di quegli anni. Per Vasco a questo punto è il momento di far uscire l’album della definitiva consacrazione e infatti nel 1981 propone “Siamo solo noi”.

La title track del disco, considerato tra i migliori in assoluto della sua carriera, è stata votata dai lettori della rivista specializzata “Rolling Stones” come canzone italiana rock del secolo. All’interno dell’album anche “Voglio andare al mare”, lieve citazione reggae, genere molto ascoltato in quel periodo nel nostro paese; mentre il brano “Ieri ho sgozzato mio figlio”, considerato dalla casa discografica un po’ troppo eccessivo, viene riportato sulla copertina come “Ieri ho sg. mio figlio”.

Vasco, nonostante il Festival di Sanremo non sia esattamente l’ambient per un rocker dichiarato come lui, decide di tornare, una mossa che probabilmente, col senno di poi, si rivelerà la più corretta della sua carriera, forse la scelta che farà la differenza nella creazione di un pubblico ampiamente più pop, e che gli permetterà di non restare incastrato nel sottobosco indipendente. Si presenta all’Ariston cantando “Vita Spericolata”, un brano manifesto della sua musica, del suo modo di intendere la vita e che permetterà ad intere generazioni, ancora oggi, di riconoscersi in quelle parole, declinazione perfetta di chi è convinto che la vita non sia fatta per cedere alle convenzioni sociali. La canzone ha anche creato il mito del “Roxy Bar”, citato nel testo, identificato col Roxy Bar di Bologna, dove i fan lasciano tuttora le loro firme (ne è stato tratto anche un libro: “Roxy bagno: caro Vasco ti scrivo”), ma l’autore in realtà alludeva al “Roxy Bar” inventato nel 1959 da Leo Chiosso nella canzone “Che notte”, portata al successo da Fred Buscaglione.

Il successo di “Bollicine”

Cantare in realtà è un termine che risulta esagerato, anche quest’anno niente orchestra a Sanremo, si utilizza il playback, e a Vasco la cosa ancora non va giù, così all’altezza dell’ultimo ritornello del brano, Vasco lascia improvvisamente il palco, con la sua voce che ancora gira nelle casse. Si classificherà penultimo, creando il mito relativo alla fortuna alla quale è destinato chi conclude la gara di Sanremo nelle ultime posizioni della classifica. Successivamente all’esperienza sanremese, nell’aprile del 1983, esce “Bollicine”, altro indiscusso capolavoro del rocker di Zocca, considerato, sempre da Rolling Stones, il disco italiano più bello di sempre. Certamente gli argomenti in tal senso non mancano: all’interno troviamo, oltre alla già citata “Una canzone per te”, “Bollicine”, brano che vincerà al Festivalbar, brano provocatore in cui vengono sbugiardate, prese in giro, alcuni slogan di un’epoca in cui esplode il marketing, la pubblicità, la tv commerciale; si vocifera, ma l’entourage dell’artista ha sempre smentito, che la Coca-Cola avesse perfino in mente di fare causa, salvo poi ripensandoci notando il successo del brano, ma si tratta solo di leggende, e sono tante quelle che circondano vite e musica di Vasco Rossi.

L’accusa di spaccio

Come quelle relative all’utilizzo di droghe del rocker, non si sa quanto immaginate filtrando, alle volte male, le sue canzoni e quante semplicemente derivanti dalla concettuale controtendenza in ogni modo possibile portata avanti da Vasco. Si parla di una dipendenza da anfetamina e Lexotan, per cui il manager Guido Elmi fu costretto ad annullare una serie di concerti, i riferimenti alla cocaina nelle sue canzoni sono netti, evidenti, e nell’aprile del 1984, durante una perquisizione in un casolare di Casalecchio, dove si è stabilito a vivere e lavorare insieme ad altri componenti della sua band, Rossi consegna spontaneamente 26 grammi ai carabinieri, si scopre un giro di spaccio che lega la Sicilia, Ancona e Milano; Vasco Rossi finisce in galera per 22 giorni, dei quali 5 addirittura in isolamento. Durante la detenzione riceve solo una visita, quella di Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi, l’amico Faber in seguito dichiarerà: “Vasco Rossi è l’unico credibile nel ruolo di rocker in Italia. L’unico ad essere riuscito a portare la canzone d’autore nel rock”.

L’accusa di spaccio cadrà definitivamente, ma il tribunale lo condanna a due anni e otto mesi con la condizionale per detenzione di sostanze stupefacenti. Fatto sta che l’album resta primo in classifica per 35 settimane e risulta il più venduto dell’anno, e il tour promozionale lungo dieci mesi è un successo clamoroso. Nel 1985 esce “Cosa succede in città”, registrato proprio nei mesi successivi alla detenzione, il disco, pur essendo considerato se non un passo indietro, un passo di lato, nella carriera di Rossi, contiene la title track, anche questa tra i maggiori successi del cantante e “Toffee”, cui chitarre tra l’altro sono registrate da Dodi Battaglia dei Pooh. Vasco Rossi a questo punto scompare dai radar per due anni, ha fatto 250 concerti in quattro anni, la presunta dipendenza, la prigionia, ha bisogno, come invoca la madre sui tabloid, di tornare a casa.

Gli album della conferma

Vasco torna nel 1987 con “C’è chi dice no”, che venderà nuovamente oltre un milione di copie, e nel 1989 con “Liberi Liberi”, il primo e unico album nella carriera del cantante a non godere del contributo di Guido Elmi, il suo storico produttore, e senza la Steve Rogers Band al completo (presenti solo Maurizio Solieri e Claudio Golinelli in un brano), la quale si è separata dal cantante in cerca di un’affermazione come gruppo indipendente prodotta proprio da Elmi.

Si tratta di due album che segnano un passaggio fondamentale nella storia di Vasco Rossi, che in qualche modo, forse anche non volendo, mette alla prova il proprio pubblico, deviando da quell’arroganza rock che ha contribuito a crearne il successo da bad boy; così, siamo nel 1990, inizia l’epoca di Vasco Rossi negli stadi.

Due date e la consacrazione

Si comincia con sole due date, a Milano allo stadio San Siro e a Roma allo stadio Flaminio. La data di Milano già inserisce Vasco Rossi nella storia della nostra musica, prima di lui solo Edoardo Bennato e Claudio Baglioni erano riusciti a riempire San Siro; ma non è tutto, quel 10 luglio, mentre Vasco suonava a Milano, a Roma, sempre dentro lo stadio, si esibiva Madonna, e i numeri ci dicono che Vasco vinse la battaglia a distanza a mani basse. Nel 1993 esce “Gli spari sopra”, altro disco dall’enorme successo, nuovamente oltre un milione di copie vendute, nuovamente altri singoli pronti a rimpinguare la lista di evergreen del cantautore ma, soprattutto, pronti ad esplodere nei live, diventati ormai la vera dimensione della musica di Vasco.

“Lo show”, le cui prime note riprendono “Child in Time” dei Deep Purple, la stessa “Gli spari sopra”, che cover di “Celebrate” degli An Emotional Fish, e poi ancora “Vivere”, e “Delusa”, brano dedicato al modello televisivo imposto dal successo di “Non è la Rai”, storico programma di Gianni Boncompagni. Il disco raccoglierà dieci dischi di platino. Nel 1996 esce “Nessun pericolo… per te”, album dove possiamo trovare “Sally”, uno dei più amati capolavori di Vasco, e “Mi si escludeva”, ma soprattutto “Gli angeli”, dedicata a Maurizio Lolli, grande amico e manager di Vasco, venuto a mancare il 21 agosto 1994 all’età di 43 anni per un cancro ai polmoni. Il video del brano è stato affidato a Roman Polansky ed è il più costoso mai realizzato nella storia della musica italiana.

Nel 1998 esce “Canzoni per me”, tra i lavori più intensi, intimisti e disincantati dell’intera sua produzione e in cui riprende anche vecchie canzoni, scritte all’inizio della carriera e mai pubblicate. Fra i brani più celebri si ricordano “L’una per te”, “Io no…” e “Quanti anni hai”. Trionfa per la seconda volta al Festivalbar con “Io no…” e ottiene per la prima volta la Targa Tenco nella categoria miglior album dell’anno. Dopo aver partecipato da headliner della prima edizione dell’Heineken Jammin’ Festival a Imola, un evento da record con 120mila spettatori, e dopo l’esordio al Concerto del Primo Maggio a Roma, a pochi giorni dalla prima tappa del tour allo stadio Renato Curi di Perugia, viene a mancare per un’overdose di eroina il compagno di avventure Massimo Riva, chitarrista della band e coautore di una parte del repertorio musicale di Vasco; così da quel giorno, a partire dal “Rewind tour”, verrà ricordato in ogni concerto.

Gli anni 2000

Il nuovo millennio si apre per Vasco nel 2001 con l’uscita di “Stupido Hotel”, nonostante Rossi non molli la sua vena rock si sente che si tratta di un album particolarmente ispirato e particolarmente vivace e accessibile, dentro hit come “Siamo soli”, “Ti prendo e ti porto via” e “Standing Ovation”. Sulla stessa scia si colloca “Buoni o cattivi” del 2004, album più venduto della stagione musicale che raccoglie 12 dischi di platino, all’interno altri successi ormai storici come “Come stai”, “E…”, “Senorita” e “Un senso”, canzone premiata con un Nastro D’Argento per essere stata utilizzata da Sergio Castellitto nel suo “Non ti muovere”.

All’album segue il tour “Buoni o cattivi”, articolatosi in due estati e che tocca gran parte degli stadi italiani, bissandoli dove richiesto e facendo registrare il tutto esaurito con quasi due milioni di spettatori totali. Il 28 marzo 2008 esce Il mondo che vorrei, ventunesimo album del cantautore, quindicesimo in studio e già premiato come disco di diamante con le sole copie vendute in prenotazione (oltre 350.000); forse il primo album di una nuova fase della carriera di Vasco Rossi. Guidato dal singolo “Eh… già”, nel 2011 esce “Vivere o niente”, nuovamente l’album più venduto dell’anno in Italia.

L’evento di Modena

Vasco Rossi ormai non conosce altra dimensione se non quella dell’evento, riempie gli stadi come fossero piccoli club, i tour di successo negli anni si moltiplicano e diventano, salvo rare defezioni dovute fisiologicamente all’età ma che mettono in continuo allarme i suoi fans anche quando si tratta di un normale check-up, protagonisti della sua carriera. Normale dunque che poi il tutto sfoci nel 2017 in un evento irripetibile: il Modena Park; la festa che Vasco si è immaginato per i 40 anni di carriera. Una festa ben riuscita infatti, con oltre 220mila biglietti venduti, Vasco Rossi ottiene così il record mondiale di spettatori paganti per un singolo concerto, superando un primato appartenente agli A-ha, che nel 1991 a Rio de Janeiro riunirono 198mila paganti.

Questo concerto sarà anche ricordato per altri record: dagli spettatori televisivi (poco più di 5 milioni) e nei cinema (oltre 50 000 biglietti emessi per seguire l’evento nelle sale), al record dei fan che, pur di essere in prima fila, si accampano al Modena Park già un mese prima dell’evento, come Steve Tomasin, un giovane di Casarsa della Delizia. E visto che parliamo di record, durante un incontro con il fan club a settembre 2018, Vasco annuncia il VascoNonStop Live 2019 che comprende sei date allo Stadio San Siro di Milano, nuovo record assoluto di date consecutive nello stadio milanese. Nel 2020 invece torna al Premio Tenco, stavolta per ricevere la Targa alla carriera.

L’ultimo lavoro

Nel 2021 il nuovo brano di Vasco Rossi, intitolato “Una canzone d’amore buttata via”, che anticipa l’ultimo album “Siamo qui”, viene presentato il primo giorno dell’anno nel corso del programma televisivo “Danza con me”, condotto da Roberto Bolle, che sancisce il ritorno dell’artista in televisione, a quindici anni dalla sua ultima apparizione televisiva come ospite. Poi la pandemia, il continuo rinvio dei concerti che colpiscono in prima battuta soprattutto i grandi eventi.

Come si fa dunque a considerare quella di Vasco Rossi una sola vita e quindi a quantificarne gli anni, 70 secondo l’anagrafe, in maniera così fredda. Vasco Rossi ancora oggi, soprattutto con i suoi classici, racconta la vita di innumerevoli generazioni, che si riconoscono non solo nel suo atteggiamento rock, nei problemi, nei disagi, nella non inclinazione al rispetto cieco per le regole; ma perché con la sua musica ha mostrato un nuovo modo di stare al mondo, ha messo in musica e poesia la sua imperfezione, la sua umanità, dentro la quale chiunque può ritrovarsi.

Source: agi