Viene presentato come il gioco che “rivoluzionerà il calcio” ma anche il “caos in campo”. Il suo nome è Omegaball e sta impazzando negli Stati Uniti: è un ibrido tra calcetto e sfide a basket da playground con poche interruzioni e poche regole, solo che il campo è tondo e non rettangolare, ha tre porte e non due, tre squadre e non due, formate da cinque giocatori per parte, in tutto quindici. Ogni giocatore può segnare, ogni squadra può cambiare continuamente avversario e porta da attaccare. Non ci sono pause, si tira nelle porte, regolari, da ogni posizione e, in media, ogni dieci secondi. Le partite, di tre tempi di tredici minuti, vedono dribbling, conclusioni, rimpalli, rovesciate, colpi di tacco a un ritmo forsennato da partita di basket. Dopo ogni gol si deve ripartire entro cinque secondi, con la rimessa del portiere.
Il riferimento alla pallacanestro è una delle chiavi per capire che cosa sia questa variante del calcio, inventata da Anthony Dittmann, ex manager del network sportivo Espn, lanciata in Usa l’anno scorso, con la prima partita giocata a marzo, e diventata così di moda da vedere le sfide trasmesse sui canali nazionali, tra cui la stessa Espn. Campionati interstatali stanno nascendo ovunque, dall’Illinois al Missouri, dal New Jersey alla California. I giovani si stanno appassionando. Stanno nascendo società maschili e femminili dai nomi tipo “Rush”, “Crazy”, “Bulls”. L’idea di mettere insieme tre squadre e non due non è una novità per chi frequenta i playground di basket americani: negli Stati Uniti quando al campetto si trovano in tre, non si lascia nessuno fuori. La soluzione è giocare tutti contro tutti, un avversario alla volta, con azioni senza interruzioni. E’ quello che succede con Omegaball. Il principio risponde anche all’esigenza degli americani, che sono poco amanti di tempi morti e lentezze tattiche più legate alle vecchie radici europee: basket, football e baseball sono gli sport più popolari in Usa perché “veloci”, perché si fondano su sfide uno contro uno e azioni che durano pochi secondi. Il calcio tradizionale non ha queste qualità apprezzate in Usa: una partita fatta di passaggi che non porta a niente avrà sempre qualche difficoltà a diventare sport nazionale nella cultura yankee. Certo, il calcio tradizionale sta crescendo, e lo conferma l’ingaggio a Miami, nella lega Mls, di Leo Messi, il giocatore più forte al mondo, ma neanche lui potrà fare molto per convincere gli americani a cambiare le loro classifiche di gradimento. A meno che Messi non scarti a ogni partita tutti gli avversari, per diventare il “one man show” che tutti sognano, ma l’ipotesi appare irrealizzabile.
In attesa, c’è questa variante flipper del calcio più vicina ai canoni americani, ma che potrebbe attecchire anche in Europa, soprattutto con un pubblico giovane, più “veloce” di quello di una generazione passata, e desideroso di vedere tiri e gol a un ritmo da partita di basket. (AGI)