USA e Regno Unito lavorano per la pace o per la guerra?


L’Europa, nella presente congiuntura, ha ampiamente dimostrato di non riuscire a perseguire autonome iniziative e si è supinamente accodata, di fatto, a quelle unilateralmente assunte dagli USA del Presidente Biden. L’UE corre il rischio di divenire politicamente ed economicamente “una colonia”, specie se gran parte delle sue componenti nazionali seguiteranno ad essere imbavagliate, come, ad esempio, l’Italia, da stratosferici “debiti nazionali”

di Augusto Lucchese

Da un attento obiettivo esame degli avvenimenti concernenti il conflitto in Ucraina e dalle decisioni adottate da parecchi Paesi in materia di aperto sostegno militare e finanziario a quest’ultima, sembra che particolarmente taluni esponenti di spicco della NATO (Stati Uniti, Gran Bretagna) stiano facendo di tutto per ostacolare qualsivoglia tentativo di dialogo fra i belligeranti mentre, con parole e fatti, incentivano la corsa verso una pericolosa escalation bellica di portata internazionale, se non proprio mondiale.

Una mossa calcolata (svigorimento delle capacità offensive russe) o un inqualificabile atto di imperdonabile leggerezza tenuto anche conto del rischio di una guerra nucleare?

Ciò a prescindere dal fatto che negli anni passati (dal 1991, in prima fase e dal 2014 in seconda fase) i due Stati prima citati nulla hanno fatto (forse perché agiscono, più che altri Paesi, in forza di secolari torbide tendenze egemoniche) per impedire che la situazione determinatasi in parecchie zone dell’Europa orientale e del Caucaso dopo il dissolvimento dell’URSS staliniana e la caduta del muro di Berlino, degenerasse in contrasti territoriali, in lotte di potere, in guerre fratricide fra comunità ed etnie prima sottomesse, magari controvoglia, al cinico potere assoluto e repressivo del Cremlino.

Vieppiù attraverso la NATO (risaputamente dominata e controllata dagli USA) è stata adottata una politica di espansione politica e militare verso l’est europeo con il chiaro scopo di creare una cintura di “controllo” (o di “assedio” ?) attorno alla zona europea della Federazione Russa. Quest’ultima, di contro, nella qualità di erede – pur se non tanto legittima – del potere staliniano a suo tempo acquisito mediante gli assurdi, vessatori e inqualificabili accordi di Yalta (11 febbraio 1945), stilati con la connivenza di Frankilin Delano Roosevelt (Presidente USA) e Winston Churchill (Primo Ministro dell’allora esistente Impero Britannico), non ha preso a buon cuore tale politica e recalcitra alla sua maniera.

È notorio che la ribollente tensione esistente dagli anni ’90 nell’estremo est europeo e in Caucaso sia stata fomentata in gran parte, oltre che da forti aspirazioni nazionalistiche, dalla lotta per il potere portata avanti da dispotiche e poco francescane fazioni esistenti all’interno dei molti Stati e staterelli venuti fuori dal citato disfacimento dell’URSS, datato 1991.

Piuttosto recentemente tale tensione s’è notevolmente accresciuta per effetto dei contrasti insorti fra Russia e Ucraina (Crimea / Donbass / corridoio verso il Mar d’Azov e il Mar Nero) nell’ambito dei quali s’è inserita la spavalda e alquanto intransigente politica – ben poco conciliante e in certo senso autolesionista – di Volodymir Zelens’kyj che, volendo sostenere a spada tratta la pur sacrosanta sovranità della nazione ucraina, non ha saputo valutare gli evidenti rischi di un inasprimento dei rapporti con la confinante Russia di Putin e ha fatto sì che il suo popolo corresse il rischio di finire sbranato fra le fauci del crudele e feroce orso ex sovietico.

Piuttosto che avanzare (su sollecitazione?) la richiesta di entrare a fare parte della NATO, annullando di fatto la “neutralità” fra le righe prevista dai disattesi “accordi di Minsk” del 2014 e 2015, sarebbe stato forse sufficiente, per evitare la carneficina e le distruzioni della inumana guerra in corso, riprendere un conciliante dialogo e definire la posizione della Crimea e delle province russofile del Donbass, magari a fronte della eventuale applicazione del principio della “autodeterminazione dei popoli”. Ingiustificata guerra che sta apportando disastrose conseguenze per la stessa Ucraina oltre che per tutte le Nazioni direttamente o indirettamente coinvolte su scala europea e mondiale.

L’alquanto tracotante Zelens’kyj, fra l’altro assurto al ruolo di “eroe nazionale”, ha dimostrato di essere un bravo imbonitore e comunicatore (in linea con la sua carriera artistica) ma in molti ritengono che non è riuscito a porre in campo una sufficiente preparazione diplomatico-politica e una adeguata sensibilità precorritrice di parecchi palesi quanto pericolosi risvolti e circostanze.

Tuttavia, a sua parziale discolpa, è da dire che la effettiva responsabilità del suo atteggiamento inconciliante non è tanto sua quanto di chi lo ha convinto (o illuso) di potere affrontare e addirittura “vincere” l’impari scontro con il massiccio apparato militare (convenzionale e nucleare) della adiacente superpotenza militare russa.

Il divario di potenzialità bellica fra i due belligeranti è inoppugnabile, pur se i fatti hanno posto in luce che l’apparato russo s’è dimostrato affatto efficiente e addestrato in materia di “blitzkrieg” alla Guderian, il famoso Generale tedesco che già nel 1929 aveva ideato la rinomata tecnica militare della “guerra-lampo” e che, dal 1933 in poi, ne fu fautore e attuatore in Polonia, in Francia e, inizialmente, anche in Russia, pur se con esito del tutto disastroso per effetto di altre e diverse circostanze.

Alla luce di quanto avvenuto in Ucraina dal 24 febbraio ad oggi, si potrebbe ben dire che il protervo e psicotico Putin sia caduto nella rete dei suoi tronfi, supermedagliati ma ben poco validi generali, alla stregua di quanto accadde nel 1940 ad un dittatorello da strapazzo di casa nostra.

Mercé il concatenarsi dei vari fattori prima accennati il popolo ucraino è stato mandato allo sbaraglio, verso una catastrofica avventura a fronte della quale i danni materiali e le vittime (civili e militari) stanno raggiungendo livelli iperbolici ed esponenziali. Qualcuno asserisce, e sembra avere ragione, che l’Ucraina, pur se animata da strenuo coraggio e da forti sentimenti di difesa della propria integrità nazionale, stia conducendo una guerra “su commissione” e “per procura”.

Fatta questa premessa che in ogni caso non giustifica e non copre la premeditata, spietata e irresponsabile aggressione russa alla Ucraina, non è certo edificante assistere, in campo europeo, allo spettacolo di 27 Capi di Governo, di 27 Ministri degli Affari Esteri, di 27 Ministri della Difesa (oltre che della Economia) che, sotto l’ombrellone non si sa quanto protettivo della NATO, si affannano sistematicamente nel correre dietro ad incontri, magari solo virtuali, per discutere prolissamente di iniziative e di “pacchetti di sanzioni” da adottare a carico dell’assalitore Putin, “criminale” per antonomasia. Inseguono, così facendo, l’illusoria speranza di ottenere una efficace pressione dissuasiva. Non hanno però saputo valutare, tuttavia, l’effetto “boomerang” o “zappa sui piedi” che dir si voglia, che tali confusionari provvedimenti hanno apportato e apportano proprio ai Paesi che li hanno decretati, facendo la voce grossa sulla scia di ben altri protagonisti.

L’Europa, nella presente congiuntura, ha ampiamente dimostrato di non riuscire a perseguire autonome iniziative e si è supinamente accodata, di fatto, a quelle unilateralmente assunte dagli USA del Presidente Biden, da qualcuno definito “ il peggiore di tutti i Presidenti che l’hanno preceduto”. Giudizio che non inficia comunque il più assoluto rispetto per gran parte del popolo statunitense, funzionalmente laborioso, all’avanguardia nella scienza e nella tecnica, ricco di progettualità e produttività, a prescindere dai potentati affaristici, speculativi, più o meno sotterranei, e talvolta biasimevoli che lo governano.

Si legge e si sente frequentemente che il discusso Presidente è parecchio predisposto alle “gaffe” e agli insulti. Si dice peraltro che, mentre la situazione internazionale va sempre più a deteriorarsi – anche per sua pochezza – e forse illudendosi di possedere il più efficiente apparato militare del Mondo, non rifugge dall’accettare le pressioni di chi gestisce a proprio vantaggio, pur se parecchio spregiudicatamente, il grosso affare delle industrie americane degli armamenti, magari finanziandole sotto la dicitura di “aiuti militari alla Ucraina” o di “ammodernamento degli apparati bellici dei Paesi NATO”.

I vari esponenti di spicco del variegato comparto di Stati europei, Macron, Scholz, Johnson, Sánchez, Duda, per citarne solo alcuni, in uno al nostro amletico Draghi, non fanno altro che seguire ubbidientemente la linea “atlantista” della “politica NATO/USA”, pur a fronte di qualche fievole voce dissonante quali quelle di Orban o di Erdoğan.

Manca, in effetti, una forte autonoma politica “europea” ed “europeista” (cui, in teoria, non sarebbe male che aderisse anche la Russia) che, in prospettiva e prima che sia troppo tardi, faccia da contraltare a quella squisitamente americana/canadese, a quella australe del sud Pacifico o, principalmente, a quella asiatica dell’invadente colosso che si chiama Cina (PIL 5,50% malgrado l’imperversante Covid) e dell’emergente “gemello” che si chiama India (PIL 2022 all’8%).

L’Europa corre il rischio di divenire politicamente ed economicamente “una colonia” dei citati poteri globali, specie se gran parte delle sue componenti nazionali seguiteranno ad essere imbavagliate (come, ad esempio, l’Italia) da stratosferici “debiti nazionali” o da atrofici “PIL” tendenzialmente in ribasso.

Un sogno nel cassetto che difficilmente potrà divenire realtà sin quando le sorti dell’Europa unita saranno in mano ai modesti personaggi politici e manageriali di stanza a Strasburgo o Bruxelles o ai chiacchieroni politicanti delle varie Nazioni europee fra cui emergono i nostri Salvini & c. , tutti inclusi e nessuno escluso.