Quando gli agenti dei Servizi segreti sono saliti sul tetto dell’edificio, da cui erano partiti i colpi indirizzati a Donald Trump, hanno trovato il corpo disteso di Thomas Matthew Crooks, 20 anni, e un fucile stile Ar-15, l’arma da guerra che negli Stati Uniti chiamano “America’s rifle”, il fucile d’America più amato e temuto. Crooks, ultimo giovane a legare il proprio nome all’ennesima sparatoria, era nato quando negli Stati Uniti è stato reintrodotto sul mercato questo tipo di fucile, una volta scaduta la messa al bando federale delle armi da guerra. In vent’anni Crooks è diventato un aspirante killer e l’Ar-15 l’arma più famosa d’America. Erano giovani quelli che hanno fatto una strage a Parkland nel 2017 e a Uvalde nel 2022, e tutti imbracciavano un’arma d’assalto. Sono i ragazzi della “generazione Ar-15″. Dieci anni era durato il divieto, sancito da una legge firmata il 13 settembre del 1994 dall’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Il 13 settembre 2004 era scaduto il termine e per celebrare l’evento il mercato delle armi aveva rilanciato il fucile calibro 22 e 308, originariamente progettato per sostituire quello usato nella guerra del Vietnam. Ar sta per “ArmaLite Rifle”, a indicare la praticità dell’arma, piccola e potente. Durante i dieci anni della messa al bando le stragi erano diminuite ed era rallentato l’incremento costante degli episodi. Ma soprattutto, secondo gli esperti, era calata del 70 per cento la probabilità che qualcuno facesse ricorso a fucili da guerra per compiere una strage. Clinton aveva spinto per una misura d’urgenza dopo una serie di eventi tragici che avevano sconvolto il Paese: nell’89 una sparatoria in una scuola elementare a Stockton, California, con un fucile semiautomatico tipo Kalashnikov, aveva colpito una maestra e 34 bambini, in gran parte immigrati asiatici, dei quali cinque erano morti. Nell’ottobre del ’91 un altro fucile da guerra venne usato per una strage alla Luby’s Cafeteria, a Killeen, Texas: 23 morti e 27 feriti. Due anni dopo, a luglio, una strage avvenne in un edificio al numero 101 di California Street, a San Francisco: otto morti e sei feriti. A novembre del ’93 una legge per la messa al bando delle armi da guerra venne approvata dal Senato. Nel maggio del ’94 gli ex presidenti Gerald Ford, Jimmy Carter e Ronald Reagan scrissero ai rappresentanti della Camera perché dessero il via libera definitivo al divieto di vendita. Nella lettera avevano citato un sondaggio realizzato da Cnn/Usa Today/Gallup da cui emergeva come il 77 per cento degli americani fosse a favore. La National Rifle Association, l’organizzazione che riunisce produttori e possessori di armi, si oppose, ma senza successo. Scaduto il decennio, i fucili da guerra sono tornati sul mercato, le stragi sono aumentate e i giovani aspiranti killer hanno trovato il loro feticcio. Tra il 2004 e il 2017 le stragi sono passate, in media, da 5,3 all’anno a 25. Secondo ricercatori citati dalla noprofit Everytown, che monitora i dati legati all’uso di armi, se una legge federale avesse continuato a vietare l’accesso ai fucili da guerra tra il 2005 e il 2019, si sarebbero evitate almeno trenta stragi di massa e il ferimento o l’uccisione di 1470 persone. Tra il 2015 e il 2022 le stragi sono aumentate di sei volte. Al momento la vendita di armi d’assalto è vietata in soli nove Stati su cinquanta: Washington, California, Illinois, New York, Massachusetts, New Jersey, Connecticut, Maryland e Delaware. La Pennsylvania non ha nessun divieto: bastano 18 anni per comprare un fucile da guerra. Brooks, ex studente modello bravo in matematica, non ha avuto nessun problema a procurarsi il suo. (AGI)
NWY/MAL