Universitari italiani fra i piu’ studiosi al mondo


Libero 27 febbraio 2021 TIZIANA LAPELOSA

Hanno la testa china sui libri, tanto da risultare tra i giovani più studiosi del mondo nell’anno di pandemia appena attraversato. A fargli compagnia, nello studio “matto e disperatissimo”, ci sono tedeschi e messicani. (…)

(…) Non sono stressati come gli adulti, ma nel futuro che i “grandi” stanno disegnando per loro ci credono poco. Anzi, per niente. Sul pessimismo se la battono con i coetanei giapponesi, tutti, in ogni caso, lontani anni luce da cinesi, indiani e kenioti, che il futuro lo vedono roseo.

La fotografia sui nostri giovani che si sono lasciati le turbolenze dell’adolescenza alle spalle e hanno gambe su cui vorrebbero davvero costruirsi un avvenire, è stata scattata Chegg.org, società tecnologica della Silicon Valley che si occupa di fornire libri di testo sia digitali che fisici nonché di monitorare lo “stato di salute” di chi sui libri ci studia. Dall’ultimo sondaggio, che ha riguardato 21 Paesi, è emerso che durante il lockdown da pandemia, gli universitari italiani hanno dedicato allo studio 27 ore alla settimana, al pari di tedeschi e messicani. Un’ora in meno per gli argentini, due per russi e spagnoli. Il fatto di non frequentare le aule – nonostante gli sforzi dell’ex ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina di dotare le classi di banchi a rotelle – non ha gravato poi tanto sulla loro salute mentale: soltanto il 25% degli intervistati, infatti, si è detto “risentito” per le chiusure, il dato più basso tra tutti i Paesi insieme alla Russia.

SMANIOSI

Smaniosi di apprendere, agli universitari piacerebbe poi tradurre in esperienza e lavoro le proprie capacità alimentate dallo studio. Ma, in un Paese in cui la meritocrazia è poco contemplata, sono consapevoli di trovarsi nella parte sbagliata rispetto alle proprie aspettative. Da qui il pessimismo che abita in più del 50% di quella che dovrebbe essere l’ossatura del futuro. Soltanto il 45%, infatti, nutre qualche aspettativa sulle finanze future. Peggio di noi solo il Giappone, che vede speranzosi appena il 31% dei giovani. L’opposto di quanto avviene in Cina e Kenya. Qui l’84% degli universitari vede un futuro brillante che corrisponde ad un buon stipendio. E dire che appena il 6% dei 700 italiani presi a campione (su un totale di 17mila intervistati nel mondo con un’età compresa tra i 18 e i 21 anni) risulta indebitato per potersi permettere di studiare. In genere ci pensano i genitori e, ottenuta la pergamena, difficilmente possono sdebitarsi succhiati come sono in un Paese dove il futuro non viene disegnato da chi di dovere, ma soltanto sognato e promesso. Da qui il pessimismo per la difficoltà di veder riconosciuto il proprio valore e l’idea che espatriare possa essere la soluzione per svoltare. Pochi di quelli che hanno fatto i bagagli tornerebbero indietro. Perché dovrebbero? Una sola cosa accoGli universitari italiani sono tra i più studiosi al mondo, insieme a tedeschi e messicani. Lo rivela un sondaggio pubblicato da Chegg.org: gli italiani sostengono di aver dedicato in media, durante il lockdown, 27 ore a settimana allo studio, dato più alto di tutti i Paesi sondati. Ma sono i più pessimisti in quanto a guadagni futuri muna gli universitari di tutto il mondo in attesa di pergamena, almeno secondo Chegg.org, e cioè l’importanza della didattica a distanza a partire dalle scuole superiori e come opzione all’università in cambio di tasse più basse (altro campo in cui è difficile essere battuti).

CAMBIAMENTO EPOCALE

Certo, la pandemia ci ha sbattuto in faccia corsi e lauree online. Dan Rosensweig, presidente e Ceo di Chegg, dice che si è trattato della «più grande rivoluzione dell’istruzione che il mondo abbia mai conosciuto» e che «il modello di istruzione superiore deve essere ripensato, più breve, su richiesta, personalizzato e fornire un supporto scalabile». Sarà, ma forse gli studenti italiani sono rimasti sui libri più degli altri forse memori della passione che i propri insegnanti hanno manifestato loro in presenza. Una passione per il sapere difficile da trasmettere da uno schermo, che ci rende italiani. Da esportare.