UNA SCELTA INEVITABILE


Di Massimo Gaggi

Una decisione attesa, ormai inevitabile, ma che ha lasciato per troppo tempo non solo il partito democratico, ma tutti gli Stati Uniti alla mercé dell’umanissima reticenza di un leader planetario divenuto — non sappiamo quanto gradualmente o se per un crollo improvviso — un anziano ancora in grado di intendere e volere, lucido per la maggior parte del tempo, ma mentalmente sempre più lento.
Eforse non più in grado di valutare pienamente la conseguenza delle sue esitazioni. I racconti anonimi parlano di familiari da sempre sostenitori delle sue ambizioni politiche e della decisione di candidarsi per un secondo mandato, che da una settimana cercavano di prepararlo alla rinuncia. Trovando comunque difficile vincere la resistenza di un combattente che fin dall’adolescenza ha dovuto lottare contro la balbuzie e il dileggio dei compagni di scuola. E che ha reagito alle avversità dandosi il traguardo più ambizioso. «Diventerò presidente» disse presentandosi alla mamma della sua prima fidanzatina.
C’è riuscito quando sembrava ormai fuori tempo massimo dopo una vita di successi, tragedie, amarezze, sempre convinto di essere stato sottovalutato dal suo partito e perfino da quel Barack Obama che lo fece vicepresidente e, poi, fu il kingmaker della sua elezione, quattro anni fa.
La sua tenacia divenuta ostinazione, la volontà di restare sul palcoscenico, di sfidare di nuovo Trump anche se nel 2020 aveva promesso di essere solo un ponte verso le nuove generazioni della politica democratica. E, ora, le improvvise rigidità dell’anziano hanno trasformato quella che avrebbe potuto essere una difficile ma comunque gestibile fase di transizione politica in un dramma shakespeariano. Anomalie della democrazia di quello che abbiamo chiamato il Nuovo Mondo: la nazione giovane e dinamica nella quale si stavano sfidando per la Casa Bianca due ottantenni, mentre le importantissime sentenze della Corte suprema sono affidate a 9 giudici anziani, nominati a vita. Ancora: i personaggi che negli ultimi giorni si sono più agitati per spingere Biden a ritirarsi (Nancy Pelosi) o a resistere (Bernie Sanders) sono ultraottantenni.
Alla fine Biden si è arreso all’evidenza dei sondaggi commissionati dalla stessa Casa Bianca e verificati dai suoi fedelissimi. Rimasti fin qui in apnea, i capi del partito hanno tirato un sospiro di sollievo riconoscendo a Biden il merito di aver salvato, col suo sacrificio, la democrazia americana. Al di là delle forzature e dell’enfasi del momento, rimane tutto da vedere se, partendo con tanto ritardo e con la difficoltà di trovare un accordo sul vice da inserire nel ticket di Kamala Harris, i democratici riusciranno a imbastire una campagna efficace.
Dovranno trovare rapidamente un’intesa politica, lanciare una campagna efficace, evitare ostacoli e trabocchetti legali che i repubblicani stanno seminando sul loro cammino, cercando nelle pieghe delle leggi elettorali degli Stati dell’unione, tutte diverse tra loro, qualcosa che consenta di ostacolare o impugnare l’inserimento di nuovi candidati nelle liste per le presidenziali.
Donald Trump, sfuggito al martirio e reduce da una convention per lui trionfale, rimane difficile da battere. Ma, ora che Biden si è ritirato, anche lui appare improvvisamente molto vecchio, a volte confuso. Per il suo popolo è più di un leader carismatico, addirittura il messaggero dell’onnipotente. Ma le leggi della politica sono spietate e i tradimenti sempre dietro l’angolo. Al fedelissimo Tucker Carlson, a fianco di Trump per tutta la convention, hanno chiesto perché, alla fine, Donald ha scelto cone vice JD Vance: oggi un fedelissimo, in passato suo nemico giurato. Risposta: «Perché tra tutti quelli presi in considerazione per il ticket, JD è l’unico che non lo odia segretamente».

Fonte: Corriere