Una candida prostituta


Al Piccolo Teatro di Catania lo spettacolo “Immacolata concezione” di Joele Anastasi, da un’idea di Federica Carruba Toscano (anche attrice protagonista), storia di Concetta figlia d’una Sicilia arcaica, barattata dal padre con una capra e finita in una casa di piacere

 

di Alfio Chiarello

 

Lo Spirito Santo, stavolta non c’entra. E nemmeno la Madonna. Concetta, protagonista della pièce “Immacolata concezione”, approdata al Piccolo di Catania, è figlia svantaggiata di una Sicilia arcaica (per fortuna tenuta in vita solo dalla letteratura) in cui una donna val bene una capra. Barattata dal padre con un ovino, la ragazza finisce in una casa di piacere, dove esercita, ma in maniera molto singolare, la più antica professione, riscuotendo un successo esaltante e ammaliando tutti i clienti con le sue arti amatorie. Quali? Non quelle consuete della prostituta. bensì attraverso una genuinità naif che solo lei, donna un po’ ritardata, “babba”, o se si preferisce “ntontira” come si direbbe ai piedi del vulcano, riesce a esprimere. La sua malìa è quella di accendere il cuore e spegnere, o perlomeno sublimare, gli ardori virili. E’ qualcosa di più della puttana consolatrice o della lucciola per la quale perdere la testa. Questo sarebbe déja vu. La novità della pièce è un’altra, inedita e certo discutibile. Ma tant’è, Concetta, malgrado il suo impegno professionale si mantiene vergine e conserva intatta la sua purezza fino a quando non incontra il suo amore, del quale rimane incinta dopo esserglisi concessa. La trama, di cui sono evidenti le forzature, si sviluppa sul terreno della fantasia più sbrigliata e, strizzando l’occhio a vicende letterarie di maggiore fortuna, si rifugia in un mondo pastorale (ma qui crudo e a tratti brutale) dove l’innocenza esorcizza qualsiasi nefandezza e innesca meccanismi virtuosi e salvifici. La dimensione della pièce, si capisce, è quasi onirica, surreale. Non è un caso che il fil rouge della rappresentazione è la narrazione della storia di Colapesce, il mitico figlio di pescatori al quale siamo tutti grati per il fatto di tenere ancora in piedi la nostra bella Trinacria. Storia galeotta. Dalla sua narrazione scaturisce infatti l’innamoramento di Concetta per colui che diventerà il padre della sua creatura. E dal suo amore, la metamorfosi prima e la morte successivamente. La donna infatti, non avrà molto tempo per gustare la sua promozione dallo stato di “capra da sgozzare” a quello di “capra che figlia”, perché morirà di parto.  Finale stile “feuilleton”, condito da echi di propaganda fascista (tanto per fissare nel 1940 l’ambientazione della pièce)  e culminato in ieratico messaggio di pace e fratellanza universale lanciato da una risorta Concetta, in body color carne. Realizzato da Joele Anastasi da un’idea di Federica Carruba Toscano e prodotto dalla Fondazione Teatro di Napoli, lo spettacolo è messo in scena dalla Compagnia Vucciaria Teatro. Protagonisti sul palcoscenico la stessa Federica Carruba Toscano, Alessandro Lui, Enrico Sortino, Joele Anastasi, Ivano Picciallo. E’ a essi che si deve lo sforzo di celebrare in maniera perentoria la forza della semplicità, anche quando ha sembianze belluine, e di un mondo, per molti aspetti primitivo, crudo e sanguigno che appartiene al dna della nostra isola. Messaggio, questo, che arriva alla platea in maniera diretta e che coglie nel segno, sia pure per l’impegno totale degli attori, che – è proprio il caso di dire – riescono a mettere bene a nudo lo “scabroso” argomento.