UNA BUSSOLA PER IL TERZO POLO


Il confronto, le baruffe, il carattere dei leader spiegati con le Vite parallele di Plutarco. Gli errori della campagna elettorale 2022: dalle spaccature ai messaggi contraddittori. Le battaglie possibili. Idee in vista delle europee 2024

Di Oscar Giannino

Vedete voi quanto di Aristide e Catone, e Pericle e Fabio Massimo, ci sia nei profili caratteriali e nelle reciproche accuse che si rivolgono i leader di Azione e Italia viva. Il massimalismo produce più contraddizioni e meno duraturi successi in politica di chi sa conciliare valori e toni meno aspri. Questo ci dice Plutarco Alle ultime regionali il copione si replica: il Terzo polo sostiene per la presidenza del Lazio l’ex assessore Pd alla Sanità Alessio D’amato, in Lombardia Letizia Moratti, dimessasi dalla giunta di destra in cui anch’ella era assessore alla Sanità. Risultato: in entrambe le regioni il Terzo polo scende a poco più del 4 per cento dei voti
Terzo polo, di te si parla in queste note. Vergate con spirito di osservatore, evitando ogni informazione riservata che derivi a chi scrive dall’essere contemporaneamente tra i quattro fondatori dei liberaldemocratici europei, che una settimana fa hanno tenuto a Bologna un’assemblea nazionale lanciando un appello esplicito a tutte le forze di ispirazione liberaldemocratica e riformatrice presenti in Parlamento – cioè Azione, Italia viva e + Europa – volto a convergere e lavorare insieme in vista delle elezioni europee della primavera 2024. Sotto il comune simbolo di Renew Europe, visto che il gruppo liberaldemocratico al Parlamento europeo è il comune approdo di chi oggi appare molto diviso. Le osservazioni di queste note sono così organizzate: una premessa letteraria, sull’analisi dei caratteri; una sintesi delle divergenze politiche manifestatesi; una di ciò che oggettivamente, per chi si occupa professionalmente di campagne elettorali, può essere definita lista degli errori; di conseguenza, considerazioni sui punti di forza e di debolezza da mettere a fuoco e superare, se si punta a una prima affermazione alle europee in vista delle politiche di là da venire; infine, conclusioni probabilistiche tirando i dadi, visto che chi scrive, tra la tante sue lacune, non è versato in arte mantica.
La parola a Plutarco
Direte voi: perché scomodare lo storico di Cheronea, che sotto gli Antonini scrisse le Vite parallele, 22 biografie di coppie appaiate (la 23esima è pressoché certamente spuria), un romano e un greco che nella storia avevano lasciato gran segno di sé? Perché Plutarco è l’archetipo della moderna analisi dei caratteri degli uomini pubblici, e la sintesi comparata alla fine di ogni endiadi è volta proprio a sottolineare come i caratteri dell’uno e dell’altro fossero risultati decisivi, per successi e insuccessi. Alcune di queste coppie plutarchiane hanno molto da dirci, sulle asperità recenti nel Terzo polo. Prendiamo il parallelo tra Aristide e Catone il censore, cioè due uomini che in armi e in politica fecero della loro aspra integrità di principi la bandiera inammainabile della propria linea. Aristide, campione di giustizia e lealtà, di spirito di sacrificio e legalità, è fondamentale per condurre Atene dalla vittoria di Maratona alla fondazione del suo impero marittimo e commerciale che proietta la sua prevalenza sull’intera Grecia e nel Mediterraneo orientale, con la nascita della lega delio-attica poi protagonista con Pericle dello scontro con Sparta nella guerra del Peloponneso. Ma Aristide conosceva anche l’arte del compromesso: sconfitto da Temistocle su come finanziare la flotta ateniese, viene esiliato e quando torna, amnistiato sotto la nuova minaccia persiana, evita accuratamente ogni vendetta e ritorsione e si dedica solo a realizzare le decisive vittorie contro i Persiani di Salamina e Platea. Al contrario Catone (il censore o Catone maggiore, non il pronipote nemico acerrimo di Cesare che si suicida a Utica in nome dei valori repubblicani del suo avo) in tutti i suoi incarichi militari e pubblici fonda il mito romano del mos maiorum – i sacri costumi di morigeratezza dei fondatori della repubblica – attaccando con durezza gli Scipioni e tutti i magistrati di Roma che scialacquavano denaro pubblico. Ma nella sua foga maniacale prima inizia a sparare a zero contro ogni commistione con la cultura greca considerata lubrica e depravata, infine in vecchiaia finisce tutto centrato suoi propri averi, accrescendoli con ogni disinvoltura. Altro che frugalità. Le accuse contro i denari offerti da potenze straniere a politici che disprezza ricorrono spesso nell’oratoria catoniana, e nel lettore si accenda una lampadina perché l’accusa ricorre eccome anche nelle traversie del Terzo polo in forse. Non è un caso che a erigere il mito di Catone Maggiore fu proprio Cicerone, che di contraddizioni e spirito vanesio e ondeggiamenti politici fu campione, negandole esattamente come sempre fece Catone. Conclusione plutarchiana: Aristide fece compromessi ma non deviò per questo dalla virtù, Catone nel prosieguo della sua vita contraddisse in pratica ogni fondamento su cui aveva eretto la sua presunta superiorità etica. E Cartagine fu sconfitta e rasa al suolo dagli Scipioni, non da lui.
Ha qualcosa da dirci sul Terzo polo anche la vita parallela plutarchiana di Pericle e Quinto Fabio Massimo. A farla breve, Pericle sfruttò abilmente le concessioni popolari di estensione dei diritti di partecipazione alle magistrature di ampi ceti meno abbienti cui prima erano negati. Ma la sua rottamazione dei leader oligarchici costruiva in realtà un regime di potere personale, in grado di reggere per i trent’anni della più spettacolare preminenza economica e culturale di Atene sulla Grecia intera, riuscendo (quasi) ogni volta a battere in assemblea i suoi oppositori che lo accusavano di demagogia e populismo. Però, imboccando con decisione la via della guerra contro Sparta, pose le basi per lo sfacelo di Atene, dilaniata dai contrasti tra popolari e ottimati e sconfitta dai lacedemoni. Al contrario, Fabio Massimo il temporeggiatore seppe sempre piegarsi di fronte a tutti i bellicosi consoli romani che credevano di sconfiggere Annibale dilagato in Italia, ma ogni volta ne venivano umiliati con enormi perdite. Finché alla fine, dopo anni, Annibale fallì la sua impresa proprio perché, evitati altri disastri campali come Canne, fu seguendo la strategia di Fabio Massimo che Roma si liberò dei cartaginesi in Italia. Vedete voi quanto di Aristide e Catone, e Pericle e Fabio Massimo, ci sia nei profili caratteriali e nelle reciproche accuse che si rivolgono i leader di Azione e Italia viva. Il massimalismo produce più contraddizioni e meno duraturi successi in politica di chi sa conciliare valori e toni meno aspri. Questo ci dice Plutarco, e secondo me vale ancora e sempre. Fate voi, cari lettori.
Gli errori oggettivi
Torna utile a questo proposito la rilettura del Commentariolum Petitionis di Quinto Tullio Cicerone, un testo di consigli rivolti al fratello che allora era in corsa per l’elezione al consolato. Tutto è cambiato da allora, ma per chi si occupa professionalmente di posizionamento e campagne elettorali il Terzo polo ha compiuto dall’estate 2022 errori oggettivi. Il claim è il messaggio elementare identitario di ogni posizionamento e campagna: dev’essere semplice, secco e preciso. Molti ricordano il “meno tasse per tutti” di Berlusconi ai suoi esordi. Oppure, quando nella campagna elettorale del 2006 Berlusconi era in forte difficoltà di fronte a Prodi, la genialata dell’ultima sera in tv in cui era possibile parlare, quando il Cavaliere segnò il punto annunciando “con noi via l’ici sulla prima casa”. Ottenne così una rimonta enorme, alla fine solo per pochissimi voti non batté Prodi, azzoppandolo tuttavia al Senato con una maggioranza appesa ai senatori a vita che non durò due anni. Oppure il claim “Adesso!”, con cui Renzi si presentò alle primarie di coalizione del 2012, con un avverbio che annunciava da solo la sua volontà di rottamazione del passato. Renzi perse le primarie per venti punti nel ballottaggio con Bersani, ma da quel momento in tutta Italia nacquero comitati poi decisivi per l’affermazione di Renzi alla leadership del partito e del governo. Ecco, diciamo che il Terzo polo avrà pure – dicono – bei soldi da spendere in ricerche elettorali e consulenti di posizionamento, ma gli effetti non si vedono: nelle scelte concrete dall’estate scorsa ha lanciato messaggi molto contraddittori. Carlo Calenda aveva ottenuto una grandissima affermazione alle comunali di Roma del 2021, sfiorando il 20 per cento dei voti in posizione nettamente distinta sia da Michetti candidato delle destre che ottenne il 30 per cento, sia da Gualtieri del Pd che raccolse il 27 per cento ma vinse poi il ballottaggio, sia ovviamente dalla Raggi 5s che ottenne meno consensi del leader di Azione. La scelta dell’irriducibilità ad alleanze col Pd è ovviamente tale per Italia viva, visto che il Pd ha vissuto e continua a vivere con la Schlein trovando nell’inesauribile damnatio memoriae di Renzi l’unico residuo vero collante delle sue divergenze interne. E questa irriducibilità, per dar voce a un’area di astensione estesissima che non si identifica né con questa destra né con questa sinistra, Azione l’ha praticata al suo esordio, di straordinario successo alle comunali romane. Poi però ha continuamente rilanciato l’idea di accordi col Pd. A una condizione: che il Pd rinunciasse alla strategia del campo largo coi Cinque stelle che pure è nata non certo con Schlein ma sotto Enrico Letta, e che portò al governo Conte 2 giallorosso, cui mezzo Pd rinunciò malmostosamente con l’arrivo di Draghi. Di qui l’alleanza di Azione col Pd in vista delle politiche del settembre scorso con tanto di plateale bacio in fronte a Letta, nella convinzione fallace che l’enfasi con cui quel patto veniva annunciato avrebbe impedito al Pd un accordo anche coi Cinque stelle. Ma in verità Letta aveva sempre fatto chiaramente intendere che l’intesa con le forze del “campo largo” più a sinistra avrebbe seguito quella con il leader di Azione. Come puntualmente avvenne. A questo punto, a pochissime settimane ormai dalla presentazione delle liste elettorali, ecco nascere precipitosamente l’accordo del Terzo polo tra Azione e Italia viva, mentre + Europa rompe sdegnosamente con Azione accusandone il leader di tradimento degli impegni perché era sempre stato chiaro che occorreva concorrere alla più ampia coalizione possibile col Pd per battere le destre. Vista la fretta della decisione assunta all’ultimo momento ribaltando le alleanze, il risultato del Terzo polo alle urne è comunque abbastanza soddisfacente, tra il 7,7 per cento e i 7,8 per cento dei voti tra Camera e Senato, mentre +Europa ottiene il 2,9 per cento. In città e zone pedemontane del Nord, il Terzo polo sfiora o addirittura supera anche il 20 per cento. Ma l’analisi del voto confermerà che il magnete verso i delusi del centrodestra non ha funzionato troppo, nell’astensionismo record delle elezioni del 25 settembre scorso ci sono non solo moltissimi delusi da Conte e 5s, ma anche ex elettori di destra che del Terzo polo non si fidano. E infatti il più dei voti guadagnati dal Terzo polo viene dai riformisti delusi dal Pd. Che dopo il governo Draghi resta attaccato a Conte, con Salvini e Berlusconi decisivo per la caduta di Draghi. Anche le candidature alle politiche del Terzo polo appaiono agli elettori anomale, rispetto a una presunta volontà di attirare liberaldemocratici astensionisti. Nell’incertezza del risultato di un’alleanza dell’ultim’ora, i partiti terzopolisti blindano i loro stati maggiori. Non ci sono innesti di rilievo provenienti dalla società civile. Non mancano poi scelte figlie della fretta e della mancata capacità di selezionare i candidati: si va non solo da uomini di Emiliano in Puglia, a veri e propri infortuni con candidati impresentabili in Campania, Calabria, Sardegna che naturalmente finiscono dritti dritti nel frullatore di tutti i media. Nasce però subito in Parlamento la federazione tra le forze del Terzo polo, con gruppi parlamentari unificati.
Alle ultime regionali però il copione si replica ancora: il Terzo polo sostiene per la presidenza del Lazio l’ex assessore Pd alla Sanità Alessio D’amato, in Lombardia Letizia Moratti, dimessasi dalla giunta di destra in cui anch’ella era assessore alla Sanità. Risultato: in entrambe le regioni il Terzo polo scende a poco più del 4 per cento dei voti, cui in Lombardia si aggiunse un 10 per cento della lista Moratti. Le scelte incrociate nascono forse dalla convinzione che l’elettorato premi scelte che pesano e sposano il meglio di qua e di là dei contrapposti schieramenti. Ma questo calcolo, se c’è stato, ha poco o nulla a che fare con le modalità reali di scelta degli elettori. E’ un classico peccato di elitismo, aspettarsi dal più degli elettori il calcolo razionale. E infatti alle urne prevale la diffidenza. Ai più, la scelta uno a destra e uno a sinistra fa pensare solo che il Terzo polo non abbia le idee chiare.
Due mesi dopo le regionali, si infittiscono le indiscrezioni secondo cui stia saltando per aria la trattativa per far evolvere in partito unico la federazione parlamentare tra Azione e Italia viva. Vengono smentite fino a metà aprile. Poi, in poche settimane il contrasto invece esplode. Furibondo. Con fortissime accuse reciproche. Che lasciano stupefatti anche molti quadri e dirigenti locali dei due partiti, che avevano iniziato a lavorare insieme sui territori. Ma la risposta dei leader non si fa attendere: la federazione in Parlamento a malapena si rabbercia e tiene, il partito unico non si fa più. In una forza politica del Terzo polo vengono commissariate un bel po’ di proprie articolazioni territoriali e i terzopolisti dissidenti alla rottura sono accompagnati alla porta. Nell’assemblea nazionale dell’altra forza terzopolista, si annunciano da una parte congressi territoriali in cui voteranno gli iscritti, dall’altro una coordinatrice nazionale che nessuno ha votato ma gode della piena fiducia del leader e tanto basta. Chi dissente, subisce randellate sui social media. L’accusa a Renzi è di essere totalmente inaffidabile, di essersi rimangiato ogni impegno sul conferire al partito unico la propria quota parte di finanziamento pubblico, di aver accettato la direzione del Riformista solo per usarlo come strumento vendicativo di campagna personale. E di continuare a incassare compensi dalle sue attività professionali eticamente inaccettabili. L’accusa a Calenda è che se la Leopolda era stata spostata in avanti sotto le prossime europee era su sua personale richiesta, non certo per avere una propria tribuna in vista di una campagna separata per le europee. E che la diffidenza di Calenda è doppiamente smentita dai fatti, perché alle politiche nel simbolo del Terzo polo il suo solo nome accompagnava i simboli di Azione e Italia viva. C’è poi anche un’accusa velata ma strisciante a +Europa, sospettata di scegliere il Pd solo per eleggere qualcuno dei propri. In questo volar di stracci, l’intera comunità dei professionisti del political campaign resta allibita. Nessuno può credere che prima di decisioni e urlate simili siano stati usati gli strumenti più elementari del framing, cioè della tecnica di come impostare ex ante la prospettiva di lettura di una scelta, né del gaming change, che di fronte a guai improvvisi nella prospettiva che hai presentato agli elettori insegna a reagire rilanciandola alla grande, piuttosto che rimangiartela urlando e perdendo credibilità.
L’intera crisi esplosiva del Terzo polo sembra a tutti una cavalleria rusticana di Mascagni adattata alle taverne plautine, senza un solo tocco di patos epico o tragico.
Eppure, a lavorarci sopra…
Tutto ciò detto e ricordato, e fatto stato dell’attuale incomunicabilità tra i leader di Azione e Italia viva, restano alcuni dati fattuali difficilmente negabili. Ci sono undici mesi di qui alle europee. Un lasso di tempo molto più lungo delle decisioni repentine che hanno accompagnato i primi travagliati passi elettorali del Terzo polo. A volerlo sfruttar bene questo tempo, s’intende. Primo dato di fatto: i milioni di italiani che non si riconoscono in questa destra e sinistra continuano a esistere, le percentuali di consenso ai partiti nei sondaggi non decollano spettacolarmente a destra ma sono sempre – come da decenni – la somma travasata del loro elettorato. Né decolla spettacolarmente il Pd di Schlein, al massimo guadagna da uno a due punti con la sua linea movimentista che continua a inseguire Conte ai cortei. Le elezioni europee si svolgono con legge proporzionale e tetto minimo di rappresentanza del 4 per cento dei voti. Ciò fa piazza pulita per definizione di ogni ipotesi di alleanza del Terzo polo con la destra o con il Pd, a meno di concepire tali alleanze come estrema scialuppa per eleggere uno o due propri parlamentari europei nelle loro liste, perché altrimenti si è convinti di non superare il 4 per cento. Altro dato di fatto è che la scomparsa di Berlusconi metterà forse in libertà alcuni parlamentari, che una delle forze del Terzo polo sospetta essere fortemente voluti dall’altra per provare a entrare a gamba tesa da destra in qualche incidente parlamentare che possa accadere alla maggioranza di governo. Ma allo stesso tempo un’ipotesi di maggioranza diversa da quella uscita dalle urne alle politiche di settembre 2022 semplicemente non esiste, se non nella fantasia alimentata dai sospetti reciproci. In primis il presidente del Consiglio non l’accetterebbe mai. E Salvini, detta in cinque parole, non se lo può permettere. Se si sfila, gli elettori di destra gliela fanno pagare cara. Il ribaltone europeo che i media italiani si sforzano di avvalorare alle urne l’anno prossimo è molto più complicato di quanto venga detto, anche se è bene aspettare le prossime elezioni spagnole a luglio e poi quelle polacche in autunno. Ma, almeno a stare alle loro dichiarazioni, sia i leader di Azione che di Italia viva non vogliono in Europa l’alleanza tra popolari e conservatori e magari anche con qualche partito del gruppo in cui siedono Salvini, Le Pen e i tedeschi di AFD, che della nuova maggioranza europea dovrebbero costituire i pilastri. Esattamente come a tale alleanza sono indisponibili i liberaldemocratici di Renew Europe, a forte traino macroniano francese. Tutto questo consiglierebbe fattualmente al Terzo polo di riconsiderare molti dei suoi recenti toni. Nella stessa direzione vanno gli sviluppi politici italiani. Checché dicano i sondaggi, fattualmente il governo è in difficoltà: grande ritardo nell’adottare proposte formali di revisione del Pnrr da presentare n Europa; inevitabile attuazione nella prossima legge di Bilancio della stretta finanziaria già promessa nel Def, per tornare al più presto a un avanzo primario pari ad almeno il 2 per cento di pil l’anno, una stretta sinora non presa sul serio da Salvini che continua a chiedere pensionamenti e flat tax che pure in Parlamento lo stesso governo ha già cominciato a smontare, ma stretta sui saldi che sarà obbligata visto che dal primo gennaio entra in vigore il nuovo patto di stabilità europeo. Sui cui ultimi dettaglj è prezioso il rapporto di convergenza tra Italia e Francia rispetto alla Germania, malgrado tutti gli scontri tra Roma e Parigi cui la recente visita a Parigi del presidente Meloni ha cercato di porre riparo, fortemente spinta in tal senso dal Quirinale.
Fin qui, i fatti. Esistono poi corpose opportunità, su cui chiarirsi magari riservatamente le idee. Una delle forze del Terzo polo – dicono – è convinta che distaccherà sempre più l’altra tanto da non aver bisogno né di lei né di nessun altro. E a muoverla a tale convinzione è la propria capacità di presentare ogni settimana dettagliati documenti e proposte improntate a grande competenza. Continuando magari a proporli instancabilmente al Pd, a patto della solita condizione irrealizzabile, e cioè che rinunci ai 5s. Non solo c’è già abbondate evidenza dei fatti, a testimoniare che Schlein non lo farà mai. Ma soprattutto ci sono temi su cui un posizionamento corretto e ben visibile agli astenuti in cerca di certezze impone di non aver niente a che fare con chi gioca sporco sul sostegno all’ucraina. O ha proposte sul salario minimo per legge vicine a quelle della Cgil e dell’ex ministro Orlando, cioè un salario per legge non relativo al trattamento minimo lordo contrattuale, bensì al Tec cioè all’intero trattamento economico, Tfr ferie e premi di produzione e welfare compresi. Il che significherebbe segare le gambe alla contrattazione privata centrale e aziendale, lasciano decidere tutto alla politica. Per riposizionarsi credibilmente non servono programmi di centinaia di pagine, ma innanzitutto poche scelte chiare e nette che rendano credibile l’irriducibilità rispetto alle attuali destra e sinistra. I temi non mancano, su cui destra e sinistra sono assai più continuiste che alternative: spesa pubblica immane, fisco, concorrenza da non declinare accademicamente ma con esempi concreti dai taxi ai balneari alle farmacie alle società in house degli enti locali alle gare tagliate dal nuovo codice appalti, fino alle follie di credere che riusciremo a ottenere in breve tempo emissioni zero solo con fonti rinnovabili, mentre ad esempio se si guarda al livello di diffusione al 2030 cui ambisce la Commissione europea per pannelli fotovoltaici o elettrolizzatori, la produzione attuale europea è, rispettivamente, appena all’1,9 per cento e 9,2 per cento del necessario. Non bisogna enciclopedicamente battere tutti i temi. Vanno scelti tra tutti quelli più identitari e chiari per l’elettorato liberaldemocratico cui si mira, e per farlo non mancano gli strumenti di indagini e focus group riservati per testarli. Troppi messaggi, nessun messaggio, dice un mantra diffuso tra i professionisti dell’image building politico. Ricorrendo anche a tecniche forti di negative campaign, di cui gli specialisti da anni in Italia sono solo Salvini e Cinque stelle. Mentre negli Usa da vent’anni segnano le campagne per le primarie e le presidenziali. Non ne è stato l’inventore Donald Trump, che pure della belvizzazione dell’avversario è maestro, Anche Obama vi ricorse nel 2012, per distruggere il repubblicano Romney accusandolo a martello di delocalizzare le industrie di mezzo Massachusetts. Tra Conte, Grillo, Salvini e Schlein, c’è solo l’imbarazzo della scelta per produrre meme e card che li inchiodino ai loro spropositi, indicando con chiarezza all’elettorato “mai come loro”. E avviando subito uno scouting per candidati autorevoli e noti, espressione di competenza e serietà nella società civile e che accettino di metterci la faccia, non già eletti in Parlamento. Un tema serissimo sarebbe proporre uno schema di garanzie contro i partiti leaderistci che sono tipici ormai a destra e sinistra della politica populista italiana e di vasta parte dell’occidente. I partiti personali sono la morte della politica seria, i cui i partiti sono contendibili dall’interno. Il che non implica affatto partiti non diretti da forti personalità: significa invece leader che abbiano visibilmente e costitutivamente intorno a sé non yesmen ma donne e uomini scelti anche per la capacità critica che ogni vero consigliere deve avere verso il suo leader, come spiega benissimo Antonio Funiciello nel suo bel libro Il metodo Machiavelli. Il tempo per lavorare c’è, e bisogna sfruttarlo per riprendere credibilità dopo il seppuku primaverile del Terzo polo. Credere che il momentumdecisivo venga due mesi prima del voto è un errore esiziale. Una delle scelte tecniche azzeccate di Zingaretti segretario Pd, ad esempio, fu dichiararsi pronto alle primarie del partito con larghissimo anticipo. Tutti gli altri, candidati tardivi come Minniti e Martina, si trovarono spiazzati e i media si concentrarono solo su di lui.
Riusciranno i nostri eroi?
Di sicuro, non ha molto senso che un ex presidente del Consiglio e un suo ex ministro di primo piano, che vicendevolmente hanno parlato benissimo della loro reciproca collaborazione al governo, diventino improvvisamente cecchini reciproci come i peggiori nemici. Solo ai nemici dichiarati, scrive Cicerone al fratello in lizza per il consolato nel 64 avanti Cristo, solo a loro vanno riservate accuse velate o esplicite di “crimini, dissolutezze e tangenti”. Ma i nemici di Renzi e Calenda sono altrove. Di sicuro poi non ha senso alcuno, che magari si dividano con uno dei due che pensi di superare il tetto del 4 per cento magari varando alle europee una variopinta imbarcata di ex Dc di centrodestra che non fanno mistero di pensare poi di aderire al Partito popolare europeo, o di politici pop trash isolani capaci di costruire disinvoltamente significativi pacchi di voti. Una strada per non autosmentirsi in toto ci sarebbe, per riprendere a lavorare insieme in vista delle europee. Varare e partecipare insieme alla nascita di comitati di Renew Italy-renew Europe in ogni regione italiana, per gettare le basi di una grande lista elettorale comune. Se invece si continua il surplace rinviando le decisioni al 2024, si fanno del male. Non solo in vista delle europee, ma anche delle prossime politiche qualunque sia la loro (non prossima) data. Le alternative di rappresentanza si costruiscono nel mediolungo tempo, quando si parte da zero con una grande novità. Ma le strade nuove si imboccano se si fa strame degli errori compiuti. Altrimenti ci penserà qualcun altro, a colmare il vuoto di rappresentanza di un’area liberaldemocratica che è sicuramente minoritaria o iperminoritaria oggi nel paese, ma che si è quasi azzerata perché non ha visto più da anni niente che la convincesse ad andare alle urne.

Fonte: Il Foglio