Un voto per l’Europa federale (ovvero: viva le regole dell’Ue!)


di Marco Leonardi

A giugno in tanti paesi Europei, molti partiti per la prima volta niente affatto marginali, chiederanno un voto esplicito contro l’Europa federalista. Il loro argomento è che l’Europa è troppo intrusiva nelle leggi nazionali e questo infastidisce cittadini e imprese (il motto “più Italia, meno Europa” è rivelatore). Esempi recenti sono il regolamento sugli imballaggi (di plastica e non solo), la direttiva sulle case green, molte direttive sui temi sociali e anche il nuovo patto di stabilità e crescita.

Oggi il dibattito è giustamente concentrato sulle grandi sfide del futuro dell’Europa, ma il voto rischia di essere dato sulla base delle norme recenti che vengono attribuite all’Europa “matrigna”. Queste invece spesso meritano di essere difese e tra l’altro sono condizione necessaria per poter procedere verso sfide ben più impegnative.

La prossima Commissione UE ha davanti a sé sfide molto importanti: la guerra in Ucraina, l’allargamento, il cambiamento dei Trattati, la discussione sul debito e sulle tasse comuni.

L’integrazione è incompleta: c’è la moneta unica ma il mercato unico è incompleto, c’è Schengen ma non c’è la politica dell’immigrazione, c’è la politica estera embrionale ma non c’è la difesa, ci sono le regole fiscali ma non c’è l’unione bancaria, sull’energia non ci sono approvvigionamenti comuni (un bel pasticcio che ha procurato l’aumento del prezzo del gas, cosa che non è successa in USA e Cina).

Un recente rapporto del Parlamento europeo ha valutato il costo della non-Europa: non completare il mercato unico costa 3 trilioni di euro all’anno o il 18% del PIL della UE. Il rapporto di Enrico Letta è sul completamento del mercato unico: finanza, telecomunicazioni, energia. Oggi è ovvio che questi settori non possono più essere mantenuti divisi per difendere gli interessi nazionali che anzi -nella divisione- vengono penalizzati. Poi esiste un problema di sistema come sostiene Draghi: non possiamo più guardare solo alle regole interne ma anche pensare a come si compete con Cina e USA nei confronti delle quali siamo rimasti indietro in questo decennio.

Per poter fare molto di più, devi però continuare a uniformare il mercato interno e regolare le finanze pubbliche dei singoli paesi. Allora la domanda è: l’Unione che adotta direttive e regolamenti che incidono sui paesi membri, propone riforme e stanzia risorse (PNRR e SURE per esempio), rafforza la solidarietà tra paesi, fa così male come dicono gli euroscettici?

Prendiamo alcune ultime direttive e regolamenti. Alla fine anche quelli più controversi come quelli sugli imballaggi o sulle case green hanno trovato un punto di compromesso che lasciano ragionevolmente soddisfatte anche le aziende del settore. Tutto fa pensare che si troverà un nuovo compromesso anche sullo stop alla produzione delle auto con motore termico. Direttive e regolamenti aprono nuovi mercati per nuovi prodotti e danno una direzione alla ricerca industriale. In più fanno un altro lavoro prezioso: armonizzano i mercati interni all’UE.

Il regolamento imballaggi impone una riduzione dell’immissione al consumo di plastica ma lascia libero ogni paese di ottenerlo attraverso il riuso o il riciclo. Un regolamento che era partito molto rigido solo a favore del riuso ha trovato in Europa un compromesso prezioso che uniforma le regole e accontenta la maggior parte dei produttori (tranne alcuni prodotti di plastica monouso che pare giusto siano eliminati). La filiera italiana delle macchine per imballaggi e degli imballaggi stessi è una delle più forti al mondo e esporta più della metà della produzione. Sarebbe impossibile esportare nei paesi europei senza regole comuni.

Per le case green alla fine si vincolano i paesi a ridurre i consumi del parco immobili ma li si lascia liberi di raggiungere l’obiettivo come vogliono purché si parta dagli immobili meno efficienti. Anche in questo caso un prezioso assist per l’edilizia per poter ottenere incentivi che siano molto più efficaci nell’efficientamento energetico del superbonus 110%. Senza il vincolo europeo ad efficientare gli immobili, credo che il governo italiano farebbe volentieri a meno di pensare ai nuovi incentivi per l’edilizia e al loro finanziamento dopo il buco del superbonus 110%.

In ultimo molte direttive in tema sociale. Il pilastro sociale europeo è un manifesto programmatico che predica un “equo accesso al mercato del lavoro e eque condizioni di lavoro” e deve essere attivato da direttive e regolamenti. Esempi concreti sono la direttiva sui congedi parentali, sul salario minimo, sulla trasparenza, sul lavoro su piattaforma, garanzia giovani, garanzia infanzia, il quadro di regole sul reddito minimo garantito e quello sulla protezione sociale per i lavoratori autonomi. L’Italia non avrebbe mai fatto tutti i progressi che ha fatto su questi temi (un esempio per tutti i congedi parentali obbligatori) se l’Europa non avesse imposto un intervento o comunque forzato il dibattito pubblico.

Che i partiti euroscettici votino contro i compromessi raggiunti in Europa è comprensibile, ma che votino contro o si astengano (come sul patto di stabilità) i partiti che si candidano a far procedere l’Europa in senso federale, no. L’astensione sulla riforma delle regole è elettoralismo cinico, perché tanto la approvavano comunque, o pia illusione per richiedere di fare più debito.

Libertà Eguale