Un velo di tristezza nel giorno dell'enciclica


AGI – Nemmeno nel giorno in cui si consegna al mondo quella parola di speranza che è l’enciclica dedicata ai ‘Fratelli Tutti’, Papa Francesco riesce a staccare la mente dalle pene, che devono essere enormi, di una lotta nelle Sacre Stanze in cui si è pronti a divorarsi gli uni gli altri. Non ha mai parlato, Bergoglio, prima d’ora del caso che gli scuote la casa con la forza di un temporale, quella storia di usi più che disinvolti di fondi, di porporati costretti a cedere, alla fine, le loro prerogative, di transazioni e personaggi opachi e avventati.

L’amarezza deve essere tanta, e non solo del Papa. Chi in queste ore ha avuto contatti oltre Porta Sant’Anna parla di toni sconsolati, di sguardi abbassati, di teste che vengono scosse ogni volta che su una testata giornalistica appaiono nuove rivelazioni o belligeranti dichiarazioni. Che pena, che tristezza. Se poi il respiro della Chiesa è universale, così come i suoi messaggi sono per l’Uomo e guardano lontano, la cronaca si incarica di parlare di uomini e di particolare. Stride la quotidianità con il sogno di bellezza che Francesco propone alle genti. Loro, le genti, sarebbero forse disposte ad ascoltare. Intanto pero’ la gente – quella che gira tra le stanze e nelle anticamere – sembra solo mossa da attese molto più terrene, molto meno accettabili.

Un nuovo umanesimo

Coraggio, dice Francesco rivolgendosi a tutti gli esseri del Creato, la pandemia non è stata un castigo di Dio. Possiamo trasformare la sofferenza in opportunità, riscoprire il bene profondo della nostra natura umana. Essere, in una felice espressione, tutti fratelli. Certo, non è facile: bisogna mettere in discussione le proprie facili certezze, riconoscere come reale quella fragilità che proprio il coronavirus ha messo a nudo. Rifiutare la cultura dello scarto, che produce schiavitù, razzismo e sfruttamento e mette ai margini i deboli: vecchi, bambini e donne. Ma una ripresa è possibile e concretamente realizzabile: lo si è visto, proprio mentre infuriava il morbo, con i santi della porta accanto. Persone in carne ed ossa, semplici e concrete. Umili. Donne delle pulizie, addetti ai supermercati, per non parlare dei medici e degli infermieri. Quindi forza: la fraternità sia la cifra del nuovo mondo che possiamo edificare. Si ridia respiro alle Nazioni Unite, si lotti contro le diseguaglianze tra i popoli, ci si renda conto che la finanza irresponsabile crea fame e stragi, e si rimedi.

Una nuova etica, chiede il Pontefice, un nuovo umanesimo. E quasi avverti, al leggere quelle pagine, una voce che si alza, un respiro che si fa più profondo, braccia che si tendono, occhi che si illuminano vedendo quello che potrebbe essere questa povera Terra, se i suoi abitanti la amassero con l’amore semplice e perduto di San Francesco. Ma poi, d’improvviso, il Papa venuto dagli estremi confini della Terra deve fare i conti con gli uomini che stanno a Roma, e con le loro pochezze. Ecco allora che, all’Angelus che precede la pubblicazione del testo della “Fratelli tutti”, lo coglie un pensiero e lo frena un’angoscia.

“La vera autorità è nel servire”

“È brutto vedere quando nella Chiesa si vedono persone che hanno autorità cercare i propri interessi” quasi sussurra, “La vera autorità è nel servire, non nello sfruttare gli altri”. “Tutto quello che è nobile giusto puro amabile ed onorato, questo è l’oggetto quotidiano del nostro impegno. Questa è l’autorità. L’autorità è un servizio, e come tale va esercitata”. Anche per questo, nella “Fratelli tutti”, non ha mancato di esaltare la buona politica. Non quella populista della denigrazione dell’avversario, della chiusura ai migranti, dell’odio sui social. Quella semmai del dialogo, della comprensione delle altrui ragioni e dell’altrui cultura. La politica che cerca il bene di tutti e per tutti (che è realizzabile, oh se è realizzabile: non esiste nessun gioco a somma zero e due più due può fare cinque).

Un uomo compì un viaggio in partibus infidelium, e degli infedeli volle conoscere il capo: tornò piu’ forte nelle sue certezze e più ricco nella sua cultura. Si erano capiti. Un altro volle che tutti gli uomini fossero uguali anche di fronte alle leggi del suo paese. Un terzo predicò la non violenza. Un quarto fu la coscienza del suo Paese in lotta per l’uguaglianza tra i suoi cittadini. A loro Francesco dedica le sue riflessioni, e ad un altro che volle essere fratello di tutti, ma proprio tutti, gli esseri umani.

Solo che poi una preoccupazione riemerge, un cruccio si ripresenta. E Francesco, come Charlie Chaplin che esorta nel “Grande Dittatore” gli uomini ad essere uomini e non macchine, deve constatare che c’è qualcosa di terribile contro cui si dovrà sempre lottare: la miseria delle cose terrene. 

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Fonte: cronaca agi