Un sito di rifiuti radioattivi in Puglia aspetta da 20 anni la bonifica 


A pochissimi chilometri da Taranto e dalle acciaierie ex Ilva, c’è un vecchio capannone industriale, Cemerad, che contiene rifiuti radioattivi che da 20 anni attende di essere definitivamente bonificato. È a Statte, nella stessa provincia dove c’è Laterza, il Comune al confine con la Basilicata indicato nella mappa nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare rifiuti nucleari che tante proteste sta sollevando. A Cemerad, che ha custodito anche parte delle scorie di Chernobyl ed è stata oggetto di indagine di diverse commissioni parlamentari, ci sono ancora 3mila fusti radioattivi da portare via. E servono altri 3 milioni per ultimare l’intervento.

Un lungo abbandono

Il sito, su 3.840 metri quadrati, è stato sequestrato dalla Procura di Taranto nel 2000, affidato in custodia al Comune di Statte e per lungo tempo è rimasto abbandonato. La società Cemerad è invece fallita. Una legge del 2015 – quella che ha istituito il Contratto di istituzionale di sviluppo per Taranto – ha consentito due anni dopo l’avvio della rimozione dei fusti. Previsti 10 milioni di euro ed affidato l’intervento all’allora commissario di Governo per la bonifica di Taranto, Vera Corbelli.

“Oggi ci sono ancora 3mila fusti da portare via – dichiara ad AGI il sindaco di Statte, Franco Andrioli -. Rispetto ai 16mila inizialmente conteggiati, ne sono risultati circa 2mila in più. Sono a bassa radioattività, sono stati tutti infustati, cioè il fusto è stato collocato in un altro fusto, e collocati su pedane”. “Quando saranno portati via, non lo so, ma la prossima settimana riprenderò a sollecitare – prosegue Andrioli -. Chiederò al prefetto di Taranto, Demetrio Martino, divenuto nel frattempo commissario alla bonifica al posto di Corbelli, di occuparsi della questione. Nel passaggio di competenze, per ora ho perso un riferimento certo e il sito ex Cemerad non è più vigilato”.

Per il sindaco, “a rimuovere gli altri rifiuti dovrà essere ancora Sogin, ma la società va pagata. Il materiale più pericoloso – precisa – è stato già allontanato dall’area, portato all’estero, trattato e poi rientrato in Italia dove è stato stoccato in siti autorizzati”. Mesi addietro Andrioli sperava che la bonifica Cemerad potesse completarsi a luglio 2020, ma così non è stato. Causa Covid soprattutto e perché l’ultima fase è coincisa con la scadenza del mandato commissariale di Vera Corbelli, nominata dal ministro dell’Ambiente nel 2014.

La mappa dell’Ispra

Quando Ispra ha censito il sito Cemerad, ha riscontrato la presenza complessiva di circa 16.500 fusti dei quali circa 3.480 potenzialmente radioattivi e 13.020 potenzialmente decaduti. L’origine di tali fusti, rilevò Ispra, è costituita da: fusti di rifiuti (potenzialmente radioattivi e/o decaduti) provenienti da attività sanitarie (ospedali e cliniche pubbliche e private, laboratori Ria ecc.);  fusti radioattivi contenenti filtri di condizionamento contaminati dall’evento Chernobyl (radionuclidi Cs-137 e Cs-134) ritirati da strutture pubbliche e private; infine, fusti con sorgenti radioattive (parafulmini, rivelatori di fumo, sorgenti di taratura, fili di Iridio, vetrino con uranio naturale, ecc.). Il 15 maggio 2017 sono cominciate le operazioni di rimozione dei filtri Cernobyl e delle sorgenti.

I fusti complessivamente trasportati a maggio 2017 sono stati 86 (27 fusti con sorgenti e 59 fusti con filtri dell’evento Cernobyl).

Altri 3mila fusti risultati radioattivi

L’ultima relazione del commissario di Governo risale al 27 novembre 2020. Vi si legge tra l’altro che “sulla base delle ultime verifiche effettuate (in precedenza non è stato possibile eseguire tali verifiche in quanto i fusti erano collocati in parte retrostante rispetto alle pile rimosse), nel deposito ex Cemerad sono ancora presenti 3.074 fusti, tutti contenenti materiale radioattivo.

Si registra quindi che, rispetto all’inventario iniziale (fusti totali 16.421 di cui 3.401 radioattivi e 13.020 potenzialmente decaduti), erano depositati un numero di fusti maggiori (16.747)”. “Inoltre – precisa il commissario – ulteriori 2.271 fusti sono risultati “radioattivi” invece che “potenzialmente decaduti”. Ad oggi, sono stati allontanati 13.672 fusti di cui 2.532 radioattivi (di cui 93 con sorgenti e filtri contaminati da evento Chernobyl) e 11.140 decaduti”. Il commissario dichiara che, dopo il primo step, le attività sono continuate il 27 novembre 2017 e dopo un periodo di sospensione connesso all’acquisizione dei pareri ed autorizzioni, sono riprese ad ottobre 2018 ad esclusione dei rifiuti radioattivi che non possono essere allontanati senza l’autorizzazione del Mise all’esportazione all’estero dei rifiuti liquidi organici non trattabili in Italia. Quest’ultima è stata ottenuta ad agosto 2019.

Servono 3 milioni di euro

La rimozione dei restanti fusti radioattivi è quindi ripresa dal 4 dicembre 2019 ma per l’emergenza Covid 19 è stata sospesa dall’8 marzo 2020 e poi ripresa dal 21 aprile 2020. Le criticità riscontrate e le ulteriori variazioni non prevedibili hanno però causato, scrive il commissario, un aumento dei costi di gestione a seguito del reinfustamento dei fusti e dell’aumento del numero dei trasporti. Si è così determinato uno slittamento dei tempi previsti nel cronoprogramma precedente e un ulteriore importo pari a circa 3 milioni di euro. Ora l’importo complessivo dell’intervento è stimato infatti in 13 milioni e non più in 10.

Fonte: economia agi