Un “new deal per il Mezzogiorno”


Un “new deal per il Mezzogiorno”, una strategia di governo mirata ad eliminare gli squilibri territoriali non è la petulante istanza dei soliti terroni, piagnucolosi e scialacquatori, ma una necessità oggettiva e prioritaria dell’Italia e della stessa Unione Europea

di Xavier Mancoso

L’intero Mezzogiorno d’Italia manca o è molto carente delle strutture necessarie per sviluppare l’economia, i territori sono devastati dal dissesto idrogeologico e ambientale, i disservizi sono cronici, disoccupazione e disagio sociale sono già al livello di guardia. E le mafie sono più forti che mai per peso economico e nel consenso popolare.

Se anche l’occasione offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza dovesse andare sprecata, per il Sud non ci sarà altra prospettiva che il sottosviluppo. Ma, con una palla al piede così pesante, l’intero Paese verrà rallentato nel suo cammino.

Un “new deal per il Mezzogiorno”, una strategia di governo mirata ad eliminare gli squilibri territoriali non è la petulante istanza dei soliti terroni, piagnucolosi e scialacquatori, ma una necessità oggettiva e prioritaria dell’Italia e della stessa Unione Europea.

Al di là del piano straordinario di interventi europei, nelle manovre finanziarie di questi anni il governo, sia sotto la guida di Giuseppe Conte che, poi, di Mario Draghi, ha scelto di frammentare, la spesa in una serie di “bonus”. Ma, per il Sud, il provvedimento più importante resta l’introduzione di un consistente credito d’imposta per le imprese che, nel Mezzogiorno, investono nell’acquisto di beni strumentali nuovi funzionali ad innescare processi di innovazione tecnologica. Le norme vigenti, in pratica, si sostanziano in un contributo in conto impianti; una misura utile che, però, da sola non può bastare.

L’avvenire del Sud si gioca molto sulla capacità di spendere utilmente i fondi comunitari. Il Pnrr non sostituisce quel necessario strumento di programmazione in concerto con gli enti territoriali, della spesa dei fondi europei che ordinariamente spettano alle regioni del Mezzogiorno.

I fondi europei non sono un’elargizione del governo centrale e i patti territoriali per il loro impiego sono già da anni negli orientamenti e nelle normative della Commissione Europea.

I fondi UE non sostituiscono l’impegno dello Stato italiano per interventi di carattere strutturale nel Mezzogiorno. Una strategia per riequilibrare il sistema-Paese non può fondare solo sulle risorse comunitarie né, tanto meno, sulle promesse mirabolanti proiettate in un futuro indefinito e indefinibile. Per ridurre il gap che separa le regioni del meridione da quelle settentrionali, più vicine all’Europa, occorre agire anche sulla gestione ordinaria del bilancio statale, nel quale i provvedimenti di spesa destinati al Mezzogiorno sono sempre nettamente inferiori a quelli per il Nord, mentre i tagli e i risparmi nella spesa pubblica (veri e presunti) riguardano il Sud esattamente quanto il Nord.

Un capitolo a parte riguarda i trasferimenti dello Stato (derivanti da obblighi costituzionali) verso la Sicilia. Ai tempi del governo Renzi fu annunciato un “master plan”, che è per circa 95 miliardi, fino al 2023.

In tutto il panorama politico italiano, sinistra compresa, non si vede tensione, e spesso nemmeno attenzione, per i problemi del Mezzogiorno. Non esiste la sbandierata unità di sistema. Solo retorica, stucchevole propaganda, paternalismo, pregiudizi arroganti e banali sciocchezze sul Meridione. Non c’è alcun dubbio, le responsabilità dei ceti dirigenti locali, non solo politici, sono immense e spaventose, ma quelle delle classi dirigenti nazionali non sono da meno e niente autorizza governi e forze politiche a giocare con il popolo del Sud.

Un “new deal per il Mezzogiorno” deve accompagnare e seguire il Pnrr. Lamenti? No: parole di accusa e di proposta.

(Nella foto: un articolo del Corriere della Sera del 13 settembre 1972, che riporta una previsione del celebre meridionalista Prof. Pasquale Saraceno, rivelatasi troppo ottimista)