Un giornalista indipendente cubano ci ha raccontato le proteste dall'interno


AGI – Gli effetti economici della pandemia hanno esacerbato il malcontento del popolo cubano per le proprie condizioni di vita. Le proteste dei giorni scorsi sono però prive di una piattaforma e un’organizzazione chiara e devono scontrarsi con la reazione del governo, che ha militarizzato le strade. È la testimonianza consegnata, in un’intervista all’Agi, da Mauricio Mendoza, firma del ‘Diario de Cuba’. Più volte arrestato e aggredito per il suo lavoro, Mendoza è tra i più noti giornalisti indipendenti dell’isola.

Come sono iniziate le proteste? Quali sono, in concreto, le richieste dei manifestanti?

“Le proteste sono cominciate l’11 luglio a San Antonio de los Baños e si sono poi allargate ad altre province del Paese. La gente protesta per tutta la situazione que viviamo a Cuba da 60 anni, un sistema che ci ha sottoposto a una grande povertà e, con il passare del tempo, ha esacerbato le carenze economiche e la penuria di medicinali e cibo. La pandemia è stata un elemento chiave nell’aggravare queste necessità. A Cuba c’è una crisi politica, sociale ed economica e credo sia questa crisi socioeconomica e politica che ha spinto le persone a scendere nelle strade. Per quanto riguarda le richieste concrete, non c’è un manifesto con rivendicazioni. Chi protesta vuole quello che tutti i cubani vogliono: la libertà, la fine della repressione, un maggiore sviluppo per potersi alimentare meglio e avere servizi medici migliori, la fine delle menzogne propagandate dai mezzi di comunicazione di massa ufficiali. I dimostranti chiedono la fine del comunismo a Cuba e le dimissioni del presidente Miguel Diaz Canel, che ha ricevuto l’investitura in un momento di grave crisi, segnato da molti problemi che durante il suo mandato si sono aggravati. Il popolo è stanco di tutto questo”.

Come si sono organizzati i manifestanti? Qual è il ruolo delle reti sociali?

“Al momento c’è una grande carenza organizzativa, non c’è un’organizzazione reale, le manifestazioni sono state, per così dire, spontanee. Le reti sociali ovviamente sono state un mezzo per diffondere le informazioni su dove si sarebbero raccolte le persone, per metterle in contatto. Questo genere di comunicazione è importantissimo perché le persone siano connesse e informate e, per questo, il governo cerca di restringere l’accesso a internet perché le persone non si uniscano e comunichino”. 

Il governo è in grado di controllare piattaforme come Facebook, Twitter e WhatsApp? E in che modo?

“Il governo controlla internet perché l’unica compagnia di telefonia mobile, l’Etecsa, è pubblica. Il governo può bloccare la rete o restringere le frequenze. In questo modo, le persone non hanno accesso alle reti sociali. Non sono un esperto di informatica, quindi non so esattamente come intervengono nelle reti sociali e se riescono a interferire con un servizio specifico. Quello che fanno è interrompere il servizio e ridurre la frequenza. In questo modo la comunicazione rallenta e costa fatica. Tramite l’uso di Vpn, riusciamo a ottenere accesso ma senza Vpn è quasi impossibile navigare su internet”. 

I media ufficiali stanno coprendo le proteste? In che modo?

“Durante le proteste, che sono state raccontate dai media indipendenti e stranieri, ho incontrato un giornalista dei media ufficiali, del quale non posso rivelare il nome, che le stava coprendo e gli ho chiesto se lo avrebbero lasciato pubblicare quello che aveva visto davvero. Mi rispose che non sapeva cosa gli avrebbero lasciato scrivere e che stava cercando una soluzione per fare in modo che le informazioni di cui era in possesso fossero pubblicate dai media indipendenti”. 

Le proteste stanno continuando? Com’è la situazione ora? 

“Le proteste sono finite. Si ha notizia di mobilitazioni in alcune parti del Paese, piccoli fuochi che stanno venendo spenti. Al momento le strade sono pesantemente militarizzate. Il 16 luglio il governo ha convocato una pseudo manifestazione a favore della rivoluzione durante la quale è intervenuto il presidente. Questa manifestazione è stata una menzogna totale perché la gente vi era stata portata a forza. La sicurezza quel giorno aveva contattato alcuni giornalisti, me compreso, per invitarci a non uscire in strada, dicendoci che era un giorno perfetto per restare nelle nostre case. Nelle strade principali ci sono ancora molti militari”. 

Quante persone sono state arrestate? Ci sono stati morti?

“Uno degli arrestati mi ha raccontato che quando sua moglie era andato a trovarlo le avevano consegnato una lista di oltre 600 arrestati, che sono quelli di cui si ha certezza. Non ho idea di quale sia la cifra esatta e spero che un giorno si sappia. Per strada a L’Avana c’erano molte persone. Il corteo che si era avvicinato a Plaza de la Revolucion comprendeva almeno 10 mila persone e non era l’unico. Ci sono state altre manifestazioni in altre aree della capitale e in altre province. Credo che sia molto più alto il numero di persone che sono state prelevate nelle loro case dopo le proteste. Non ho conferma che ci sia stata una vittima ma è la stampa ufficiale stessa che ha riferito di un morto nel municipio di La Guinera. Si dice che ci siano stati altri morti ma non ho alcuna conferma concreta di ciò”. 

Quali sono le organizzazioni della società civile che stanno sostenendo le proteste?

La comunità artistica ha preso una posizione politica attendista rispetto a quanto sta accadendo. Gli attivisti stanno facendo il loro lavoro e sono molto mobilitati i giornalisti indipendenti che stanno coprendo queste manifestazioni. La maggioranza delle persone che protestano non appartengono però a nessuna organizzazione della società civile, sono persone che si sono stancate di quello che sta accadendo e hanno deciso di protestare e reclamare i loro diritti. 

Cosa chiedono i manifestanti agli Stati Uniti e alla comunità internazionale?

“Ci sono persone che hanno chiesto agli Usa di intervenire, persone che sono sempre state a favore dell’intervento. Quello che viene chiesto è, però, soprattutto appoggio in termini di visibilità per fare pressione sul governo perché allenti la repressione di questi giorni. Serve molta visibilità per le persone che non sono figure pubbliche come giornalisti o artisti e che il sistema può reprimere con maggiore durezza proprio perché non hanno visibilità. Voglio aggiungere che in questo momento la sicurezza sta facendo pressione su noi giornalisti indipendenti per porci limiti, per non farci scrivere di quanto sta avvenendo nel Paese. Oggi la mattina presto la sicurezza è venuta a cercare un altro giornalista indipendente, Maykel González Vivero (direttore di ‘Tremenda Nota’, nda). Non abbiamo aperto la porta ma questo è quello che sta accadendo”.

Source: agi