AGI – Il Giardino della memoria sarà ‘piantato’ nella nuova darsena di Augusta e il relitto del tragico naufragio del 18 aprile 2015, che provocò un migliaio di morti, diventerà presidio e testimonianza delle tragedie delle persone migranti. “Entro la fine dell’anno sarà pronto”, assicura ad AGI il sindaco Giuseppe Di Mare.
Il 20 aprile scorso, dopo l’esposizione alla Biennale d’Arte di Venezia, il peschereccio, che affondò nel Canale di Sicilia – solo 28 i sopravvissuti – aveva concluso il viaggio su una chiatta. Il 13 giugno è stato ufficialmente accolto con una commossa cerimonia dalla città-approdo del Siracusano, per essere il cuore del Giardino della memoria e del Museo dei diritti, tassello importantissimo di una rete diffusa nel Mediterraneo.
Ed esattamente una settimana dopo, nella Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno, si definisce l’orizzonte temporale del percorso che consentirà di realizzare questo obiettivo che non riguarda solo Augusta: la fine del 2021 diventa, così, un appuntamento storico significativo. Lo ha già fatto capire con chiarezza Papa Francesco: il barcone del naufragio di migranti dell’aprile 2015 è un simbolo che deve “continuare a interpellare le coscienze di tutti e far crescere una umanità più solidale”.
Un progetto che non si è mai fermato, assicura il sindaco Di Mare, “come non si è mai fermata la collaborazione” tra il Comune, la Capitaneria di porto, l’Autorità di sistema portuale del mare di Sicilia orientale, la Marina militare, il Comitato 18 aprile. “Il nostro obiettivo immediato – spiega – è stato preservare il relitto e, poi, definire la cessione al Comune, da parte dell’Autorità di sistema portuale del mare di Sicilia orientale dell’area in cui verrà realizzato il Giardino della memoria, cioè nella nuova darsena, e siamo a buon punto. Entro l’anno il Giardino sarà pronto”.
“Abbiamo innanzitutto raggiunto l’obiettivo – conferma Enzo Parisi, vice presidente del Comitato 18 aprile – di fare di questo barcone, impedendone la demolizione, il simbolo tutte le tragedie e delle genti costrette ad attraversare deserti e mari per cercare la felicità, affinché spinga tutti a vedere e ad affrontare la questione delle migrazioni nel modo giusto e umano. Quelle vittime usciranno dall’anonimato e in questo Giardino della memoria avranno un nome”.
Yoro Ndao, migrante diventato operatore di accoglienza e di diritti, paragona l’atto di salvare vite umane “alla pioggia nel deserto” e il recupero del barcone rappresenta “la rinascita dell’umanità”. “Nero non vuol dire colpevole… gli strumenti per lottare contro il razzismo ci sono, ma manca la volontà politica. Proprio ad Augusta Yoro era arrivato dopo essere stato salvato dalla Marina militare, “e da qui bisogna ripartire per un percorso di memoria e cittadinanza attiva che non crei nuovi esclusi”.
Per volontà del governo italiano, l’anno dopo il naufragio, il barcone fu recuperato dal fondo del mare con una complessa operazione e portato alla base navale di Augusta per la rimozione dei resti mortali delle centinaia di vittime che vi erano rimaste intrappolate. Nell’impresa di dare un volto e un nome ai naufraghi che hanno perduto la vita, sono da tempo impegnate diverse istituzioni italiane e internazionali.
Su sollecitazione del Comitato 18 aprile, costituitosi nel 2016, l’amministrazione comunale di Augusta ha chiesto che il peschereccio non fosse distrutto o spostato altrove, ma rimanesse nella cittadina per realizzare il “Giardino della memoria”.
Nel 2018 il Consiglio Comunale di Augusta ha approvato all’unanimità una mozione con la quale ha impegnato l’amministrazione comunale a compiere tutti i passi necessari affinché il relitto rimanesse ad Augusta “come arricchimento del patrimonio culturale dell’intera regione, quale elemento significativo e fondante di quel Giardino della memoria posto a presidio e testimonianza delle tragedie delle persone migranti, oltre che segno di rispetto per le vittime e dall’alto valore per le nuove generazioni”.
Nell’aprile 2019 il relitto è stato ceduto dal ministero della Difesa alla città di Augusta che a sua volta, subito dopo, lo ha concesso in comodato d’uso per un anno all’artista Christoph Buchel per esporlo alla Biennale d’Arte di Venezia. La sua esposizione ha suscitato grande interesse e il barcone è adesso noto come “Barca Nostra”.
Attorno a esso e alla sfida che rappresenta si sono raccolte varie esperienze, come l’associazione Glomere: “Ogni minuto sprecato in inutili chiacchiere – afferma la presidente Maria Grazia Patania – ci costa vite umane. Mentre noi parliamo, le persone muoiono. Muoiono nel deserto, in Libia, in mare spesso senza alcuna speranza di venire intercettate. Muoiono in violazione di qualsiasi norma internazionale che vieta i respingimenti divenuti ormai consolidata routine. Proprio in un’ottica di impegno fattivo, Glomere intende coltivare la cultura della pace fra popoli, della legalità e del contrasto a qualsiasi forma di razzismo e discriminazione tramite campagne di advocacy, sensibilizzazione e raccolta fondi al fine di intervenire dove vi sia bisogno”.
“Su questo barcone – ricorda Kamal El Karkouri, operatore dell’Arci Porco Rosso, mettendo a fuoco forse la questione centrale – c’erano persone piene di sogni che avevano un progetto oltre i confini. Erano partite per aiutare questo Paese e il loro Paese di origine. La barca è stata recuperata, ma bisogna ancora recuperare la coscienza europea che è annegata in mare“.
Source: agi