Un chiodo e un dado, Valle Templi racconta vita antichi greci


(di Fabio Greco) Un chiodo viene piantato nel suolo e un fuoco viene acceso, prima di rifare il pavimento di una stanza; qualche mese più un là un dado è tirato sul tavolo, nella stessa stanza, e una voce allegra esclama di un punto conquistato: la vita degli antichi greci di Akragas riaffiora pian piano nella Valle dei Templi, dove si scava tra il tempio di Giunone e quello della Concordia. La pazienza degli archeologi, e la loro cura e decisione nel maneggiare palette, secchi, spazzole, e cazzuole (l’attrezzo indispensabile è la trowel, una sorta di cazzuola inglese con lama da 10 cm e piatto a forma di rombo, robustissima ma elastica e con una punta arrotondata per non danneggiare i reperti) riportano alla luce gli oggetti della quotidianità greca, che non hanno la spettacolarità di altri grandiosi ritrovamenti ma raccontano, forse più di questi, come si viveva nel V secolo avanti Cristo e in cosa noi possiamo riconoscerci in chi ci ha preceduti, nella loro esistenza.
Il chiodo, racconta il sacro. Il team di scavo, diretto dall’archeologa Maria Concetta Parello nel Parco Archeologico diretto da Roberto Sciarratta, lo ha trovato nella casa settima B. Era sotto una coppetta in ceramica. “Si tratta di una casa – spiega Parello all’AGI – le cui ultime fasi si concludono alla fine del V secolo avanti Cristo. È un edificio che ha una storia e come tutte le case ha visto rifacimenti, restauri, tanti interventi che ne hanno modificato l’aspetto. Tutte le volte che i greci dovevano passare dal disordine all’ordine, intervenivano con un’azione rituale. Nel mondo greco, e anche in quello romano, il rito voleva propiziare il favore degli dei e veniva fatto nel momento precedente l’avvio del restauro o del rifacimento di una parte: nel nostro caso, un pavimento che di lì a breve avrebbero innalzato. Piantato il chiodo, che simbolicamente, sigilla il momento dell’azione rituale, vi hanno acceso sopra un fuoco di legna e, probabilmente, di essenze; poi lo hanno spento con una coppetta rovesciata. In una casa come questa i greci del V secolo avanti Cristo vivevano la loro quotidianità: sono gesti che ci raccontano una vita in cui oggi potersi riconoscere”. “Chi visita i resti di una città o un museo – dice all’AGI Sciarratta, che guida il più grande parco archeologico d’Europa – vuole sapere, guardando un cratere (un antico vaso usato per mescere vino e acqua per i banchetti, ndr), chi erano e cosa facevano i proprietari di quel cratere, com’era quella città a quei tempi. Abbiamo la fortuna di avere trovato in quest’area di scavo, quasi perfettamente conservate, testimonianze di un’epoca di grande vitalità, che oggi possiamo narrare e far vedere attraverso cantieri aperti al pubblico”. Così, con lo stesso approccio divulgativo e rigoroso al tempo stesso, il Parco racconta la storia antica attraverso progetti educativi per bambini e ragazzi; con il Giadino della Kolymbetra, il paesaggio e le sue colture producendo prodotti come vino, olio, farine e, ultimamente, un panettone con canditi e mandorle della Valle dei Templi. “Questo panettone – dice Sciarratta – racconta 2.600 anni di storia”.
È dal 2019 che gli archeologi si concentrano sull’area residenziale a nord della Via Sacra. “Qui sorgeva la città antica e qui non si era estesa la città romana”, sottolinea Parello. La ricerca è partita da alcuni sondaggi esplorativi per il posizionamento della nuova conduttura idrica: da allora gli studiosi comprendono meglio sia la topografia e la struttura urbanistica della città, la sua organizzazione in isolati, sia cosa succedeva tra quelle strade e dentro le case, dove si svolgeva gran parte della vita greca. “Erano più le donne – spiega l’archeologa, che da diversi anni studia le forme dell’abitare degli antichi greci ed è un punto di riferimento autorevole e certo per gli studiosi della Valle dei Templi – a trascorrere la vita dentro casa, svolgendovi anche attività come la tessitura, ma pure gli uomini vi passavano abbastanza tempo”. Talvolta, giocando a dadi. Quello trovato è “un racconto, anche questo, di vita quotidiana”. “Il gioco dei dadi – sottolinea Parello all’AGI – apparteneva al mondo greco e ne abbiamo una rappresentazione in alcuni vasi, tra cui il più bello e famoso è quello di Exekias, con Achille e Aiace intenti a giocare”. I due eroi tiravano i dadi e gareggiavano, rilassandosi prima o dopo una battaglia. Così, allo stesso modo, si riposavano “stando in compagnia” gli abitanti di Akragas, prima o dopo una fatica di lavoro, come la ristrutturazione della propria casa. (AGI)