AGI – Una coppia di turisti cinesi, 67 anni lui 66 lei, in ambulanza, i volti terrorizzati, già con la maschera dell’ossigeno. Tra lampeggianti, le luci delle telecamere, i giornalisti assiepati (ancora era possibile) sotto un vento gelido. È l’immagine choc con cui, la notte del 30 gennaio 2020, esattamente un anno fa, il Covid si è presentato ufficialmente in Italia.
Chi da cronista seguiva già con preoccupazione in quei giorni l’andamento dell’epidemia di quello strano, sconosciuto e letale virus nato – si pensava – nel mercato del pesce di Wuhan, ricorda il clima plumbeo di quei momenti.
Gli aeroporti militarizzati dai controlli della febbre (alla fine saranno decine di migliaia, ma i risultati nulli: non sapevamo che il vero problema del contagio sono gli asintomatici), i falsi allarme che spuntano come funghi da varie città italiane, le smentite dell’Istituto Superiore di Sanità, chiamato a processare i tamponi (procedura allora seguita praticamente minuto per minuto, e oggi diventata di pura routine con oltre 200mila test processati al giorno), le comunità cinesi in Italia tempestate di interviste per prevenire le sporadiche pulsioni razziste.
E insieme, le rassicurazioni: l’allarme in Italia non c’è, e l’Oms ancora stenta a dichiarare l’emergenza globale. L’aria, insomma, era che fosse solo questione di tempo. E il momento arriva, è chiaro a tutti, quando il 30 gennaio in serata si diffonde la notizia: un pullman di turisti cinesi è stato bloccato in autostrada dalle forze dell’ordine, e riportato a Roma a sirene spiegate, direzione Spallanzani.
Due di loro, si scoprirà, marito e moglie, hanno accusato sintomi sospetti (soprattutto l’uomo, la donna si aggraverà nei giorni successivi), e il tampone ha confermato il timore peggiore: è Sars-Cov-2. I due venivano proprio dalla provincia di Wuhan, erano sbarcati a Malpensa la settimana prima, avevano viaggiato da turisti su e giù per l’Italia. Sigillata e igienizzata la stanza all’Hotel Palatino, nel cuore di Roma, dove i due cinesi avevano soggiornato, scatta la psicosi.
La coppia viene ricoverata allo Spallanzani, mentre miracolosamente i tamponi sui loro compagni di viaggio danno tutti esito negativo. Inizia tutto da qui. Lo stesso 30 gennaio, a tarda sera, il premier Conte annuncia agli italiani che il virus è in Italia.
Il giorno dopo viene dichiarato lo stato d’emergenza, e vengono bloccati i voli da e per la Cina. Ed esce il bollettino numero 1 dell’ospedale romano: le condizioni dei due sono soddisfacenti.
Diventerà un rito quotidiano, letto in diretta intorno a mezzogiorno dai vertici dell’ospedale di fronte a una selva di telecamere: sono i primi e gli unici due casi Covid nel nostro Paese, ed è la prima volta che possiamo osservare praticamente in diretta il virus, capire se davvero è “poco più di un’influenza”, come troppi esperti nostrani si affannavano a dire, o se i lockdown di massa decisi in Cina significavano davvero che stavolta, a differenza delle varie Sars, Mers, aviaria, suina e via allarmando, il problema era drammaticamente serio.
Passano alcuni giorni di “condizioni stazionarie”, poi il 4 febbraio la doccia fredda: le condizioni si sono aggravate. I due, recita il bollettino, “nelle ultime ore hanno avuto un aggravamento delle condizioni cliniche a causa di una insufficienza respiratoria”.
È l’inizio di un calvario che dura settimane: tutti, in qualche modo, fanno il tifo per il mite ricercatore sessantenne e la moglie, che si erano regalati un viaggio in Italia. Si tentano le strade degli antivirali sperimentali, si passa all’intubazione, è l’iter tragico cui siamo ormai ampiamente abituati, e che solo un anno fa sembrava un incubo inaspettato, quasi un brutto film catastrofista divenuto non si sa come realtà.
Poi il lento miglioramento, l’uscita dalla terapia intensiva e dalla sedazione, la ripresa. Bisognerà aspettare il 19 marzo per le dimissioni dallo Spallanzani, seguite da altre lunghe settimane di riabilitazione. Quasi due mesi in cui abbiamo capito qualcosa del virus: la sua estrema aggressività, i peggioramenti repentini, gli alti e bassi, la fame d’aria che può portare alla ventilazione assistita, i farmaci sostanzialmente impotenti.
Ma anche, come dimostra la storia dei due coniugi, la scoperta che si può battere anche senza farmaci, che se si garantisce un’ossigenazione accettabile al sangue, in tutti i modi possibili, a volte il nostro sistema immunitario nel frattempo riesce a vincere.
I due cinesi ce l’hanno fatta, e lasciando lo Spallanzani hanno consegnato un messaggio di ringraziamento per gli italiani e per i medici che li hanno salvati. Era marzo, il loro calvario finiva. Il nostro era appena iniziato.
Vedi: Un anno fa iniziava l’incubo Covid in Italia col ricovero della coppia cinese allo Spallanzani
Fonte: cronaca agi