"Un accordo sul nucleare è possibile prima delle presidenziali in Iran"


AGI – L’auspicio di un nuovo accordo sul nucleare con gli Stati Uniti da chiudere “prima delle elezioni presidenziali” iraniane del 18 giugno, la “speranza” che con l’attesa revoca delle sanzioni Usa anche i rapporti tra Iran e Italia  “si amplino in vari ambiti, dall’economia, alla politica”, ma anche le aspettative “disattese” dell’amministrazione Biden la cui strategia sul conflitto israelo-palestinese “è rimasta invariata” rispetto a quella dell’ex presidente Donald Trump. In un’intervista all’AGI, l’ambasciatore della Repubblica islamica d’Iran in Italia, Hamid Bayat, affronta alcuni dei dossier che vedono il suo Paese protagonista sulla scena regionale e internazionale.

A Vienna sono ripresi i negoziati per riportare Usa e Iran al pieno rispetto degli impegni presi nel’ambito dell’accordo sul programma nucleare (Jcpoa), pensa che un’intesa possa essere raggiunta prima delle presidenziali iraniane? 

 A nostro avviso, un accordo può essere raggiunto anche prima delle elezioni presidenziali iraniane, ma dipende dalla serietà degli Stati Uniti nell’accettare i propri impegni per l’attuazione del Jcpoa e la revoca di tutte le sanzioni imposte all’Iran imposte dall’amministrazione Trump.

Di recente, l’audio rubato di un colloquio del ministro degli Esteri, javad Zarif, in cui critica tra le altre cose i Guardiani della Rivoluzione e la loro influenza nella politica, ha dominato il dibattito in Iran. Secondo alcuni analisti si tratta del segno dell’intensa competizione politica interna al Paese in vista delle elezioni, ma anche una possibile arma per complicare la strada verso un accordo a Vienna. Quale è il suo punto di vista?

Ciò che è stato pubblicato non era un’intervista o un colloquio con i media, ma stralci di conversazioni riservate dette nell’ambito dell’attuale governo volte a trasferire le esperienze del presidente e dei ministri al governo successivo. A seguito del fallimento della politica di massima pressione dell’amministrazione Trump, la nuova amministrazione statunitense ha ritenuto di non dover più essere isolata sul programma nucleare pacifico dell’Iran, quindi ha espresso la volontà di tornare al Jcpoa e di rispettare la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Repubblica islamica dell’Iran ha subordinato il rientro di quel Paese nell’accordo alla revoca di tutte le sanzioni statunitensi contro l’Iran.

A Vienna sono iniziati i negoziati per definire il ritorno degli Stati Uniti al Jcpoa dopo la revoca di tutte le sanzioni statunitensi oppressive contro il popolo iraniano. Gli stessi Paesi e regimi che fin dall’inizio si erano opposti all’ accordo hanno lavorato per impedire nuovi accordi e la revoca delle sanzioni contro la Repubblica islamica dell’Iran. Sembra che uno degli scopi principali della divulgazione di questa intervista sia stato quello di avere un impatto negativo sui negoziati in corso a Vienna, obbiettivo che non sarà raggiunto.  Le parole della Guida Suprema hanno peraltro posto fine alla  questione.

Da Israele sono arrivati moniti sul fatto che “un cattivo accordo sul nucleare farà precipitare la regione in guerra”. Quale ritiene sia oggi il maggior ostacolo alla sigla di un’intesa e quale il rischio maggiore per la pace nella regione?

Il regime sionista guarda con preoccupazione all’ eventuale successo dei colloqui  di Vienna e al ritorno degli Stati Uniti all’ accordo, dopo la revoca di tutte le sanzioni contro l’Iran. Anche in passato, durante i  negoziati , questo regime ha fatto del suo meglio per impedire al Jcpoa di attuarsi con successo. L’insicurezza psicologica nella regione favorisce gli interessi del regime israeliano, che quindi non promuove pace , stabilità e sicurezza nell’ area; proprio come ha cercato di minare qualsiasi possibilità di un accordo a Vienna, assassinando scienziati nucleari iraniani e sabotando gli impianti dell’ Iran, potrebbe ricorrere a ulteriori azioni di disturbo. Pur considerando ridicole le minacce delle autorità sioniste contro l’Iran, siamo comunque preparati ad affrontarle.

Il regime con il più grande arsenale nucleare del Medio Oriente non rispetta leggi e regolamenti internazionali e oltre ad opprimere brutalmente il popolo palestinese occupandone le terre,  viola la sovranità di altri Paesi e minaccia azioni militari, il peggior danno alla pace, alla stabilità e alla sicurezza regionale e globale. Il sostegno, il compromesso e il silenzio rendono più audace un tale regime e sottopongono la regione e il mondo ad un rischio maggiore di insicurezza.

In caso si arrivi a un accordo, come questo si rifletterà nei rapporti tra Iran e Italia? 

I rapporti tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica italiana godono di un prospero passato storico, culturale e di tradizioni: nelle terre ereditate da due grandi popoli e imperi dell’antichità, essi possono definirsi un’ “amicizia tra antiche civiltà” e questo fattore è stato molto importante e determinante nel promuovere le relazioni bilaterali in tutte le epoche storiche. Le relazioni bilaterali, nonostante la posizione ostile dell’Occidente nei confronti del pacifico programma nucleare dell’Iran, sono sempre state soddisfacenti. Certo, alcune nuvole scure, come l’esistenza di sanzioni oppressive da parte degli Stati Uniti, hanno determinato una contrazione nelle transazioni, ma le relazioni non si sono mai interrotte e l’amicizia mai offuscata.

Guardando agli orizzonti futuri nei rapporti Teheran-Roma, soprattutto nel 160esimo anniversario delle relazioni ufficiali tra i due Paesi, è necessario cogliere ogni occasione in grado di rendere il futuro più fecondo del passato. I rapporti tra i due Paesi sono sempre stati caratterizzati da un profondo rispetto reciproco e questo nobile atteggiamento può portare a un rapporto più fruttuoso tra le nostre nazioni.

Dopo la finalizzazione dell’accordo nucleare, le relazioni commerciali tra i due Paesi sono aumentate rapidamente, tanto che l’Italia è diventata il primo partner commerciale dell’Iran in Europa. Indubbiamente, alla luce delle capacità oltre che dell’interesse e della brillante storia delle relazioni esiste la speranza che con la revoca delle sanzioni vengano rimossi gli ostacoli esistenti ai rapporti tra i due Paesi, che potranno ampliarsi sempre di più in vari ambiti: economico, politico, culturale e scientifico. La Repubblica Islamica dell’Iran accoglie con favore l’espansione delle relazioni con l’Italia in più settori e considera ciò utile e vantaggioso per entrambi i nostri popoli.

Parlando della situazione più ampia in Medio Oriente, come valuta gli effetti degli Accordi di Abram, che hanno portato alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi? 

Al momento della presentazione del Piano o Patto di Abramo, si è  affermato che “è stato compiuto un passo importante verso un Medio Oriente più pacifico, sicuro e prospero”. Alcuni Paesi hanno accolto favorevolmente il Piano, tuttavia è opportuno chiedersi se esso si basi sulla realtà connessa alla risoluzione della questione palestinese. La risposta è no, ed è per questo che gli abitanti originari della Palestina l’hanno interpretata come un tradimento della causa palestinese e una pugnalata alle spalle.

Questo piano non solo non pone fine all’occupazione dei territori palestinesi, all’oppressione o all’ingiustizia contro il popolo di Palestina e non realizza i suoi diritti, ma sostiene anche l’occupazione e porta al perdurare e all’intensificazione dell’oppressione e dell’ingiustizia contro il popolo palestinese. Il piano viola persino l’Iniziativa per la pace araba, approvata dalla Lega araba nel 2002. Esso prevedeva che Israele, accettando uno Stato palestinese indipendente nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, con la sua capitale a Gerusalemme Est, avrebbe raggiunto  la pace e la normalizzazione delle relazioni con i 22 membri della Lega araba.

In altre parole, il ritiro dai territori palestinesi occupati era una condizione per la normalizzazione delle relazioni con gli altri Paesi arabi. Il Patto di Abramo, come il cosiddetto Patto del Secolo, è destinato al fallimento perché anziché risolvere il problema, lo ignora. Il fatto è che la radice della crisi risiede nell’occupazione della terra palestinese e nel disprezzo per i diritti del popolo palestinese. Ora, se alcuni Paesi arabi stabiliscono relazioni con il regime israeliano, questo porterà a risolvere la radice della crisi? Indubbiamente, la risposta a questa domanda è no, e la crisi palestinese continuerà, finché continueranno l’occupazione della terra palestinese e le politiche aggressive del regime israeliano.

L’aggressione del regime israeliano non ha limiti e qualsiasi piano che non prenda in considerazione i diritti del popolo palestinese è destinato al fallimento. La Repubblica islamica dell’Iran ritiene che l’unica soluzione per la Palestina sia rispettare il suo diritto all’autodeterminazione, promuovendo un referendum dopo il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi e il ritorno dei profughi da tutto il mondo in patria. A sostegno della liberazione della Palestina dall’inizio della rivoluzione islamica, il Leader Supremo della Rivoluzione, l’Imam Khomeini ha dichiarato l’ultimo venerdì del Ramadan Giornata di Qods  un simbolo del sostegno di tutti i popoli del mondo alla Causa palestinese.

Come valuta l’Iran la politica dell’amministrazione Biden nei confronti del conflitto israelo-palestinese? 

L’ elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti ha indotto ad immaginare la possibilità di un cambio delle politiche di Washington rispetto alla questione palestinese, ma la politica estera Usa nei confronti del regime israeliano prescinde dal cambio di amministrazione. In altre parole, la strategia rimane invariata anche se è possibile che vengano utilizzate tattiche diverse.

La gestione delle macro politiche americane tra le quali quella nei confronti della questione della Palestina è determinata da lobbies sioniste in quel Paese e pertanto la garanzia della sicurezza del regime sionista diventa  prioritaria per ogni presidente americano, a spese della causa palestinese. L’ arrivo di Biden forse aveva suscitato l’aspettativa che egli avrebbe annullato le decisioni dell’ amministrazione Trump nei confronti dei palestinesi, ma le decisioni adottate da  nuovo presidente – come quella di non annullare il riconoscimento di Gerusalemme capitale e il mancato ritorno dell’ ambasciata americana a Tel Aviv – hanno deluso i palestinesi. Biden non ha nemmeno compiuto i passi auspicati come la riapertura del consolato Usa a Gerusalemme . Gli Stati Uniti si considerano un alleato strategico di Israele e tutte le loro politiche non prescindono dal sostegno a questo regime.

L’Iran ha accolto con favore il “cambio di tono” da parte dell’Arabia Saudita, suo rivale regionale. Il principe ereditario, Mohammed bin Salman, ha lanciato un appello a buone relazioni con Teheran e ci sono stati contatti diretti tra i due Paesi in Iraq volti ad allentare le tensioni. Da cosa deriva, secondo lei, l’apertura di Riad e come si rifletterà sulla regione?

L’Iran ha sempre accolto con favore il dialogo con vari Paesi, anche vicini, per risolvere ogni eventuale malinteso. Il dialogo è il modo migliore per stabilire accordi regionali per la pace, la stabilità e la sicurezza a vantaggio di tutti i popoli  della regione. Il cambio di tono dell’Arabia Saudita e l’ offerta di punti di vista costruttivi, basati  sul dialogo, è sicuramente nell’interesse del Medio Oriente, e questi due importanti Paesi dell’ area e del  mondo islamico possono entrare in una nuova stagione di interazione e cooperazione, superando le divergenze a vantaggio della  pace, della stabilità e dello sviluppo regionale. La Repubblica islamica dell’Iran, presentando proposte e piani per il dialogo e la cooperazione nella regione del Golfo Persico, come l ‘iniziativa per la pace di Hormoz (Omid), fa da pioniere sulla via della cooperazione regionale e accoglie con favore il cambio di tono dell’Arabia Saudita. Ci auguriamo che questo nuovo approccio sia un inizio positivo per la convergenza dei Paesi della regione e porti con sè la fine della guerra, degli sfollamenti e dell’insicurezza di questo territorio .Qualunque sia la ragione, il nuovo approccio dell’Arabia Saudita è la strada giusta che è stata scelta e l’Iran islamico lo accoglie, perché può essere nell’interesse di tutte le popolazioni della regione.

 

 

 

 

Source: agiestero