Il premier ungherese, Viktor Orban, ha ceduto: ha dato il via libera alla revisione del bilancio pluriennale dell’Unione europea con lo stanziamento di cinquanta miliardi di euro a favore dell’Ucraina per i prossimi quattro anni. In cambio ha ottenuto qualche garanzia: un rapporto annuale della Commissione europea sugli aiuti forniti a Kiev e la possibilità, fra due anni, per il Consiglio di richiedere “se necessario” una nuova revisione del bilancio in vista di quello nuovo. L’accordo è arrivato qualche minuto prima dell’avvio dell’atteso vertice europeo straordinario convocato proprio per uscire dall’impasse creata dall’ostinazione di Orban. I leader Ue hanno dovuto mettere in campo tutta la loro capacità negoziale. E in questo ha avuto un ruolo – riconosciuto – anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Il governo italiano – sottolineano fonti della presidenza del Consiglio – ha avuto un ruolo di primo piano e Giorgia Meloni è stata protagonista in prima persona delle mediazioni che hanno consentito di arrivare alla soluzione che ha messo d’accordo tutti. Un’opera diplomatica avviata mesi fa e intensificata negli ultimi giorni. Da martedì a oggi Meloni ha avuto tre colloqui con Orban. Il più importante probabilmente è stato il faccia a faccia di ieri sera all’hotel Amigo in centro a Bruxelles. Ma ce n’è stato un altro nella mattinata prima dell’avvio del vertice a cui è seguito un mini-summit a cui hanno partecipato, oltre Meloni e Orban, il presidente francese, Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e i capi delle Istituzioni Ue, Charles Michel (Consiglio) e Ursula von der Leyen (Commissione).
Parlando con i giornalisti al termine del vertice, Meloni ha ribadito la sua linea: “Abbiamo sempre detto che in politica estera bisogna parlare con tutti ed è stato dimostrazione che questa applicazione funziona meglio di altre”. Orban ha avuto anche la rassicurazione che il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto verrà applicato nei suoi confronti in modo “equo” e allo stesso modo rispetto ad altri Stati. Nulla di diverso rispetto a quanto previsto dal regolamento. “La storia è molto semplice: c’è la legge. C’è la legge sui fondi di coesione, una legge sul Next Generation Eu e c’è la legge sul meccanismo di condizionalità. Queste leggi non hanno nulla a che fare con lo strumento per l’Ucraina e la revisione di medio termine. Questo è stato ribadito oggi e dunque no”, Orban non ha ricevuto alcuna rassicurazione sui fondi congelati, ha precisato von der Leyen nella conferenza stampa conclusiva.
Il summit rischiava tuttavia di prendere il via con gli animi surriscaldati. In particolare i più agguerriti erano il premier polacco, Donald Tusk, e la premier estone, Kaja Kallas. “Non c’è un piano B. Sta a Orban decidere se l’Ungheria faccia parte o no della nostra comunità. E’ chiaro, è nero o bianco”, ha detto il primo al suo arrivo. “La questione ucraina è esistenziale non solo per la Polonia, ma per tutti. Oggi la posizione di Orban minaccia la nostra sicurezza. Credo sia ovvio ed è inaccettabile. Per questo dobbiamo pensare a ogni possibile conseguenza e misura nel futuro, ma non oggi”, ha minacciato lasciando intendere un possibile ricorso all’articolo 7 per sospendere il diritto di voto dell’Ungheria. “Se ogni volta qualcosa viene offerta in cambio, questo copione andrà avanti. Dobbiamo superare questo tipo di ricatti, non mi vengono parole migliori”, ha criticato Kallas. “L’Ungheria non ha l’euro. Il tasso d’interesse della banca centrale ungherese è al 9%, che dimostra come sta andando la sua economia. L’Ungheria ha bisogno dell’Europa. Dovrebbe anche guardare i vantaggi dell’essere in Europa”, ha evidenziato.
“Missione compiuta. I fondi dell’Ungheria non finiranno in Ucraina e disponiamo di un meccanismo di controllo alla fine del primo e del secondo anno. La nostra posizione sulla guerra in Ucraina rimane invariata: abbiamo bisogno di un cessate il fuoco e di colloqui di pace”, ha scritto su X il premier ungherese preparando il suo rientro in patria. (AGI)
BRA