Tutta la crudeltà del mondo e un po’di utopia nell’epica di Julio Cortázar


Si dimentichino il gioco metafisico di Rayuela e le presenze fantastiche di Bestiario quando ci si avvicina a Libro di Manuel di Julio Cortázar (Sur, tradotto per la prima volta in italiano da Ilide Carmignani). All’interno di un’opera che si è mossa tra poesia, narrativa e teatro, Libro di Manuel si trova infatti in una posizione peculiare: seppure all’apparenza lontano dai libri più celebri, questo romanzo, a cui Cortázar lavora dal 1970, racconta molto del suo autore, innanzitutto perché si inserisce tra i rovelli dello scrittore engagé in anni di forti sommovimenti politici nei suoi due paesi (la Francia con le proteste degli studenti e l’argentina con la dittatura di Lanusse), dall’altra perché segna il passaggio da una letteratura intesa come un “mondo estetizzante” e “individualista” a una presa di coscienza storica che significa “la scoperta che non siamo soli” e che l’esser parte di una società “suppone automaticamente una responsabilità”. Si potrebbe immaginare allora un romanzo impegnato in cui lo scrittore esprime attraverso i personaggi il suo credo politico ma, trattandosi di Cortázar, la faccenda non è così lineare e il romanzo declina gli elementi fondamentali della sua opera (le possibilità combinatorie della letteratura, la sperimentazione linguistica, il pastiche di materiali diversi) in una storia stratificata dove trovano spazio un gruppo di intellettuali latinoamericani di stanza a Parigi che costruisce con ritagli di giornale un libro che testimoni la violenza nel mondo a chi verrà dopo (il Libro di Manuel, compilato dai suoi genitori), alcuni esuli che si lanciano in “microagitazioni” situazioniste in stile épater les bourgeois e un gruppo pseudo terrorista che architetta un sequestro internazionale che deflagrerà in una vera e propria battaglia. Leggendo il romanzo appare evidente che il destinatario del libro sulla crudeltà umana è il lettore stesso, che si trova così tra le mani la possibilità di salvare la memoria di chi, in ogni tempo, subisce angherie e soprusi. Libro di Manuel è infatti anche la risposta di Cortázar a chi lo accusava di interessarsi poco di politica preferendo questioni di carattere estetico, perché è portatore di un’idea rivoluzionaria della letteratura come rappresentazione di un mondo pronto a esplodere: attraverso un intenso lavorio sulla forma le schegge che compongono il libro demoliscono ogni certezza e diventano emblema di un postmoderno fatto di labirinti interpretativi, voci polifoniche e di un’invenzione linguistica estrema che è ricerca di una parola nuova capace di raccontare le follie del mondo. “So che è tempo / di metamorfosi ricorrenti” recita una poesia di Cortázar e in effetti Libro di Manuel è la prova plastica di un cambiamento, dello scarto dal fantastico che ha costellato l’immaginazione dello scrittore franco-argentino. Questo tour de force strabordante in realtà si pone in una zona di confine tra finzione e realismo (“I sostenitori della realtà lo troveranno abbastanza fantastico, mentre quelli arroccati sulla letteratura di finzione deploreranno il suo deliberato contubernio con la storia dei nostri giorni”), ed è proprio il soggiorno in questa soglia a offrire a Cortázar la possibilità di avvicinare il lettore all’idea di un’arte in grado di combattere per “un mondo finalmente libero da questo orizzonte quotidiano di dollari e zanne”. In Libro di Manuel Cortázar trasforma questo spazio di passaggio in un luogo di permanenza dove ogni evento oltrepassa i confini dell’immanente e diventa strumento di qualcosa di ben più astratto, la letteratura come specchio, incrinato e perfettamente rispondente, della realtà.

 

Fonte: Il Riformista