Il turismo responsabile punta l’accento sulle ripercussioni che il viaggio causa sulla vita sociale ed economica degli abitanti del posto, pensiamo alla povertà e allo sfruttamento che la presenza di un certo tipo di centri vacanze, troppo artefatti e decontestualizzati, può causare al paese ospitante, come minimo la sua cultura si riduce a stravaganti souvenir. Oggi chi pratica l’ecoturismo si preoccupa di tutti questi aspetti e ricerca il contatto con la natura non solo come atto conoscitivo, ma soprattutto come esperienza rigenerativa e contemplativa
di Giusy Floridia
È nozione di tutti che il turismo rappresenta un settore trainante del nostro sistema economico, in grado di dare nuovo impulso e ricchezza alle località ed è logico che le amministrazioni si adoperino per convogliare tali energie nelle zone di loro competenza, specialmente se si tratta di un tipo di turismo che assicura meno rischio di degrado per le destinazioni. In questa direzione, il turismo ecologico è capace di fare molto perché educa i viaggiatori al rispetto dei luoghi e a sentirsi in armonia con la natura. Si tratta di modo diverso di fare vacanza e di un concetto molto vicino ad espressioni come “turismo sostenibile” e “turismo responsabile,” ma in realtà da queste distinto. Infatti il termine sostenibile, nel turismo, fa riferimento all’esame dell’impatto che esso procura a livello ambientale, che può essere l’inquinamento o la rovina del patrimonio artistico. Il turismo responsabile punta l’accento sulle ripercussioni che il viaggio causa sulla vita sociale ed economica degli abitanti del posto, pensiamo alla povertà e allo sfruttamento che la presenza di un certo tipo di centri vacanze, troppo artefatti e decontestualizzati può causare al paese ospitante, come minimo la sua cultura si riduce a stravaganti souvenir. Oggi chi pratica l’ecoturismo si preoccupa di tutti questi aspetti e ricerca il contatto con la natura non solo come atto conoscitivo, ma soprattutto come esperienza rigenerativa e contemplativa.
Una risorsa importante e strategica è rappresentata nel calatino dal bosco di Santo Pietro. Un’area boschiva che costituisce attualmente il residuo di un’area molto vasta della Sicilia centro meridionale dell’estensione di circa 6.500 ettari, dista 20 chilometri a sud-ovest di Caltagirone ed è circoscritto, ad ovest ed a nord dai Valloni Terrano ed Ogliastro, a est dal torrente Ficuzza e a sud dal territorio del comune di Acate. Il clima è mediterraneo caratterizzato da periodi di siccità. Il bosco adibito alla coltivazione di querce da sughero, era compreso nel possedimento feudale di Fatanismo esistito in Sicilia dal XII al XIV secolo, per un’estensione di circa 30.000 ettari. Il territorio venne riconosciuto, dal Re Ruggero d’Altavilla, ad alcuni nobili di Caltagirone, in seguito alla nota vicenda che li vide partecipare alla riconquista dell’altura di Iudica in cui si erano barricati i Saraceni.
Nel tempo, lo sfruttamento civico del bosco divenne sempre più intensivo e sregolato e gli incendi, soprattutto dolosi, un avvenimento frequente. In questo modo si spezzò l’integrità di un luogo che da secoli rappresentava una risorsa e un riferimento per tutti gli abitanti della zona, cioè di un mondo storico in cui una comunità era riuscita a vivere armonizzandosi con la natura. Attualmente nel comprensorio del bosco sono osservabili i resti di alcune antiche strutture utili all’attività contadina, come masserie, abbeveratoi e diversi mulini installati lungo i corsi d’acqua. Queste opere furono realizzate in base ai principi di un’architettura rurale che rifiuta lo spreco e il superfluo e predilige l’utilizzo della pietra locale e di altro materiale povero. Il loro esserci, crea un paesaggio unico, che racconta un modo di vivere antico, una quotidianità e una laboriosità sintonizzata con i ritmi della natura. I turisti appassionati di storia e di arte potranno giudicare interessante visitare la chiesetta di Santa Maria di Betlemme in Terrana, che emerge serena nel bel mezzo di una campagna limitrofa al bosco. L’edificio sacro faceva parte di un’antica abbazia medievale e ricadeva sotto la giurisdizione del vescovo di Betlemme già nel 1227. Di particolare pregio sono gli affreschi ancora conservati e altri elementi architettonici in stile romanico. In corrispondenza della parte più settentrionale del territorio boschivo, in contrada Renelle, sorge un’altra chiesa di epoca più recente, fu edifica infatti nel 1900 per essere dedicata al culto della madonna dell’Itria (o Santa Maria di Costantinopoli). La nascita di tale venerazione è riconducibile a 36 San Luca e al mondo bizantino. Altro elemento distintivo del bosco è il borgo di Santo Pietro, situato nella parte più a sud del territorio di Caltagirone, di fatto ne costituisce la frazione. Ad oggi si tratta più che altro di un luogo di villeggiatura, appare come piccolo agglomerato di case rurali che si aprono intorno ad uno spiazzo su cui si affaccia anche la chiesa dei santi Pietro e Paolo. Negli anni 50, per rilanciare la funzione agricola del borgo, furono eseguiti alcuni lavori pubblici e costruite alcune strutture, per cui, nel 1951 un orfanotrofio, nel 1954 una scuola rurale e nel 1956 la stazione dei carabinieri. Attualmente questi istituti non esistono più, gli edifici in parte ristrutturati, sono ad uso dei privati, di associazioni e di enti pubblici, come ad esempio, l’attuale sede della Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura. Il progetto originario, di epoca fascista, era più ambizioso, prevedeva la costruzione di un di una fiorente cittadella rurale che in onore del duce avrebbe preso il nome di Mussolinia. Tutto questo rientrava nel vasto programma di ruralizzazione nazionale annunciato dal governo nel 1925. Purtroppo a causa di alcuni eventi tra cui, una faida interna al PNF (Partito Nazionale Fascista), brogli amministrativi e in ultimo lo scoppio della seconda guerra mondiale, i lavori per il borgo non furono portati a termine e quella che doveva essere una città-giardino rimane una vicenda ampiamente trattata da storici e letterati per svariati motivi. Fortunatamente, gran parte della foresta è sopravvissuta a tutte le traversie amministrative e alle molteplici aggressioni dei piromani, e negli ultimi anni si è fatta avanti la volontà sociale di preservare il bosco e di recuperare ciò che è andato perduto.
Grazie al maggiore interesse che i cittadini continuano a dimostrare nei confronti delle tematiche ambientali, si è verificato un cambiamento anche nell’azione delle istituzioni, ora più propensa all’introduzione di misure che favoriscano il ripristino degli ecosistemi.
Il bosco di Santo Pietro si presenta come un grande parco, dove agli alberi d’alto fusto si alternano a tratti di terreno adibito ad attività agro-pastorale.
Nel patrimonio verde di Santo Pietro sono riconoscibili tre habitat principali: la sughereta, la lecceta e la gariga.
Il bosco di Santo Pietro è un chiaro esempio di un ecosistema complesso e fragile. Possiamo pensarla come una realtà piccola, in termini di estensione territoriale eppure grande e straordinaria, per ciò che rappresenta per l’umanità. Certamente è un bene da amare e custodire pensando ai nostri figli.