Truss e Meloni


I provvedimenti fiscali annunciati dal nuovo governo sono un chiaro compromesso al ribasso tra le fantasmagoriche richieste della Lega e l’evidente paura della presidente del consiglio per la situazione che si presenta ad un paese con un debito come il nostro. Compromesso che tuttavia è da condannare per l’incostituzionalità della flat tax e per la evidente espressa tolleranza per l’economia sommersa

i Renato Costanzo Gatti

Il governo Truss ha approvato un piano di tagli alle tasse in deficit da 45 miliardi di sterline – con una parte sostanziale a beneficio alle fasce più ricche della popolazione – e un piano biennale di sussidi “generalizzati” ai consumi energetici di famiglie e imprese dai costi difficili da prevedere, ma che per i primi sei mesi sono stati stimati dallo stesso governo intorno ai 60 miliardi.

I mercati temevano una disastrosa politica economica, che mandasse l’inflazione fuori controllo, aggravasse la situazione di deficit delle partite correnti (attualmente al 5,5% del prodotto interno lordo), indebolisse ulteriormente la sterlina, facesse impennare i tassi di interesse e crollare conseguentemente gli investimenti pubblici e privati, con un impatto devastante anche sulle prospettive di crescita di lungo periodo.

I primi provvedimenti presi o annunciati dal governo Meloni sembrano ripercorrere la perigliosa strada percorsa dalla, ormai ex. premier inglese: pace fiscale, riduzione delle imposte per i forfettari fino a 85.000€, aumento dell’uso del contante fino a 5.000€, tre quarti della manovra destinata a sussidi ai consumi energetici di famiglie e imprese. La premier promette però una poderosa lotta all’evasione degli evasori totali, dei grandi evasori e agli evasori dell’iva.

La meticolosa elencazione degli evasori da perseguire sembra fatta apposta per tranquillizzare l’elettorato del centro destra (i piccoli e medi commercianti, gli artigiani e professionisti, etc.). Curioso l’accenno agli evasori dell’iva che, come noto, è una imposta che colpisce i consumatori finali e che non costa una lira al mondo delle imprese ma che serve come strumento per evidenziare, portare alla luce il fatturato e quindi il reddito delle stesse.

I provvedimenti annunciati sono un chiaro compromesso al ribasso tra le fantasmagoriche richieste della Lega e l’evidente paura del presidente del consiglio per la situazione che si presenta ad un Paese con un debito come il nostro. Compromesso che tuttavia è da condannare per l’incostituzionalità della flat tax e per la evidente espressa tolleranza per l’economia sommersa.

Recita l’art. 53 della Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Mi si spieghi allora perché a parità di capacità contributiva (ovvero di reddito) un forfettario paga il 15% ed un lavoratore paga sul primo scaglione il 23% e successivamente ad aliquote progressive.

Ma ciò è vero non solo per i forfettari ma la flat tax colpisce con una aliquota del 26% gli utili di capitale, interessi, rendite, speculazioni finanziarie etc. Qui oltre alla differente tassazione in funzione della diversa fonte dell’imponibile c’è l’insulto al primo articolo della Costituzione, quello che dice che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

L’applicazione di questo articolo alla materia fiscale consiste nel fatto che il nostro paese riconosce come primaria la creazione di valore a mezzo del lavoro, così come statuito dal maestro della dottrina economica Adam Smith. Ciò significa che il nostro paese deve contare sulla sua forza produttiva e non sulla speculazione finanziaria né su tutti gli altri profitti non generati dal lavoro come la rendita e la speculazione. Non si capisce allora perché, violando il primo articolo della nostra legge fondamentale, si penalizzino proprio i redditi creati dal lavoro. Non includo, avrete notato, i redditi sul reddito di impresa che, pure lui, è tassato con una flat tax e quando è distribuito è tassato con un’altra flat tax portando l’onere complessivo al 43.76; non è un onere progressivo – pagato dal piccolo azionista nella stessa misura del paperone nazionale, ma è un onere abbastanza simile ai redditi soggetti a progressività. Non lo stesso si può dire dell’imposta di successione che è internazionalmente ridicola né di quella sui redditi da fabbricati.

L’altro punto riguarda la destinazione annunciata del 75% della finanziaria per sussidi di carattere energetico. Anche qui, si ripresenta l’incongruenza nel trattare in modo diverso il finanziamento fatto alle imprese a seconda che il soggetto finanziatore sia: a) un privato cittadino o una società commerciale e/o finanziaria; b) la collettività.

Nel primo caso il soggetto finanziatore riceve in cambio dei fondi forniti un corrispondente numero di azioni che vanno ad aumentare il capitale sociale delle imprese; nel secondo caso i finanziatori (i contribuenti) non ricevono in cambio nulla mentre il capitale porta il finanziamento regalato ad aumento delle riserve societarie aumentando il valore delle azioni in possesso del capitale.

Non nego che sia necessario e conveniente aiutare le imprese colpite dal caro bollette; contesto solo il fatto che tale aiuto sia fatto secondo la filosofia capitalistica senza riconoscere i sacrifici fatti dalla comunità dei contribuenti.