Truppi: "Vado a Sanremo con la canzone che mi racconta meglio"


AGI – Il largo pubblico generalista in queste settimane si è chiesto più volte chi è Giovanni Truppi; una figura che invece risulta fondamentale per un mondo, l’altra metà del cielo, quella magari più invisibile e per questo meno considerata, quel mondo che ormai convenzionalmente chiamiamo “indie”.

Ennesima conferma dunque della suddivisione in compartimenti quasi stagni del mercato musicale italiano: non è più una questione di scelta, di gusti, di generi, ma la musica che ascoltiamo dice qualcosa di noi, per cui non solo quello che ascolta il nostro vicino non ci piace, ma nemmeno sappiamo di che si tratta; ma sappiamo perfettamente che rappresenta qualcosa fuori dai nostri confini, dunque non solo eventualmente brutta, ma anche certamente sbagliata.

Giovanni Truppi, così come diversi altri cantautori della sua generazione, rappresenta un intellettualismo che sa di vintage, di hipster, di cultura intesa come noia, alle volte addirittura come tristezza, quasi una questione politica. Questo dovuto alle suddette barriere che il pubblico, di qualsiasi estrazione ed entità, ama issare quando possibile, ma anche alla pigrizia provocata dalla rivoluzione fluida del mercato musicale moderno: o il pezzo mi prende subito o in una bracciata sto dall’altra parte dell’oceano e sparisci per sempre dalla mia.

Anche per questo la scelta di Amadeus di invitare Truppi al suo terzo festival acquista valore, chissà, magari anche inconsapevolmente, perché Truppi non è un cantautore semplice, merita ascolti, introspezione, attenzione, tempo. Ed è altrettanto vero che Truppi è indiscutibilmente uno dei più raffinati cantautori in circolazione in Italia, ha scritto dei veri e propri capolavori e la percezione che il pubblico avrà del suo brano “Tuo padre, mia madre, Lucia”, aldilà del premio della critica per il quale parte in pole di default (o almeno si spera per il buon nome di un’intera categoria), ci restituirà la misura di quanto gli italiani siano ancora affezionati alle canzonette orecchiabili, ai pezzoni orchestrali in puro stile sanremese, al bel canto (e magari nulla più di contorno) e quanto storto invece guardino chi non faccia varietà.

Ma il festival è ormai dietro l’angolo e chi non lo conosce sarà in qualche modo obbligato a conoscerlo, quando sei in gara tra i big di Sanremo funziona così; allora Amadeus, che ha dichiarato di aver cercato brani da classifica radiofonica, imporrà al pubblico del festivàl una perla rara, che non si divora, come la maggior parte del pop in circolazione, ma si accarezza, e che soprattutto, dopo quattro album in studio e una valanga di concerti in giro per i club della penisola tutta, in alta rotazione radiofonica non c’è mai finito nemmeno per sbaglio.

È chiaro che si tratta di un contentino a quella fetta di pubblico vagamente più intellettualoide (o convinta di esserlo), colta (o convinta di esserlo), sinistroide (ma nata e cresciuta all’ombra della tomba di certi ideali e tutte le relative conseguenze in termini culturali); ma va bene così, Truppi è lì e chi ama la musica, il cantautorato impegnato, illuminante, visionario, non può che esserne contento. 

Perché a questo punto della tua carriera Sanremo?

Perché no? (e ride) In realtà penso di avere la canzone adatta per fare questa esperienza, nel senso che è una canzone che mi racconta bene, ha tante caratteristiche di quella che è stata fino adesso la mia musica e allo stesso tempo non è tra le cose più ostiche che io abbia scritto finora. In realtà poi è andata anche un po’ per gioco, mi hanno chiesto se avevo delle cose, questa canzone mi piace molto, l’ho data, non potevo immaginarmi che davvero l’avrebbero presa per questa manifestazione.

Facendo questo mestiere è logico che prima o poi capiti di considerare l’opzione Sanremo, c’avevi pensato in passato?

Si, c’avevo pensato. In realtà da ragazzino potevo immaginarmi la mia carriera non per forza nella linea che ha preso. Ogni tanto è una cosa alla quale ho pensato, anche più recentemente mi sono detto: “Boh, se dovesse succedere facendo quello che sono, senza dovermi cambiare (che è una filosofia che provo ad applicare in generale), dove posso portare quello che faccio ed è accolto per quello che è, perché non portarlo?”

Proprio rispetto quello che è il tuo lavoro e come lo hai portato avanti, ti senti rappresentante di un certo movimento, di un certo modo di fare musica di un certo ambiente che l’anno scorso era ampiamente rappresentato e quest’anno invece no?

Mi sento rappresentante per questioni oggettive, perché vengo da un certo tipo di mondo, poi però non mi sento alcuna responsabilità, perché vorrebbe anche dire che quel mondo è meglio di altri mondi ed è una cosa un po’ pericolosa come postura, non mi piace tanto averla. Forse mi sento rappresentante, per ragioni anagrafiche, di un certo modo di pensare alla musica, legata agli strumenti…ma mentre te lo dico penso ai Maneskin e quindi non ha senso nemmeno questo. L’unica responsabilità che mi sento è verso me stesso e il percorso che ho cercato di fare, seppur piccolo ma ho cercato sempre di avere un certo tipo di atteggiamento.

Qual è l’emozione che prevale in questo momento?

Credo la paura. Sono un po’ preoccupato, oltre che per l’esibizione, alla quale ancora non sto pensando tanto, per tutte le cose alle quali bisogna pensare in questo momento e in pochissimo tempo, tante decisioni da prendere…

Ci racconti la tua canzone?

È una canzone d’amore, una dichiarazione d’amore, non ne ho tante così nel mio repertorio, tranne forse “Quando ridi” o “Conoscersi in una situazione di difficoltà”…ma le mie canzoni parlano sempre di affetti problematici delle relazioni, in questo caso è una dichiarazione d’amore e dal mio punto di vista non avrei potuto scriverla fossi stato più giovane di così.

Come mai?

Mi sembra che il sentimento che descrive ha delle caratteristiche che magari emergono quando cominci a vedere le cose in maniera più complessa, cominci ad inquadrare un sentimento all’interno di un percorso di vita insieme con una persona, e queste cose io le lego, almeno per quanto mi riguarda, all’aver varcato una certa soglia anagrafica.

Nella serata delle cover canterai insieme a Vinicio Capossela “Nella Mia Ora di Libertà” di Fabrizio De Andrè…come mai questa scelta?

Per completare il racconto di quello che io sono e credo di essermi andato a cercare qualche rischio, che è una cosa che bene o male cerco di fare quando lavoro.

Debutterai in un Sanremo ancora condizionato dalle restrizioni dovute al Covid…come stai affrontando la cosa?

Già sono messo sotto chiave, le ultime notti, per paura di contagi, le ho passate in un albergo a fianco a casa mia, quindi non insieme alla mia compagna; ma è talmente assurda questa cosa, siamo tutti talmente appesi ad un filo per quanto riguarda la possibilità di contagiarci, che sto attento, ma non mi sento particolarmente in ansia. Per quanto riguarda il festival mi dispiace, perché tante cose che possono essere divertenti del festival, come conoscere Massimo Ranieri o cose simili, saranno meno possibili. Però sarà anche meno stressante, resterò chiuso in albergo, così la parte pantofolaia di me è contenta.

Cosa penserai un attimo prima di entrare in scena?

Se sbaglio, se mi ricordo le parole, se suono male la chitarra…credo questo.

Source: agi