Il 29 luglio del 1976 è una data storica per l’Italia. Tina Anselmi viene nominata ministro: è la prima donna in Italia. Occuperà il dicastero del Lavoro e delle previdenza sociale fino all’11 marzo 1978, data in cui passerà a ministero della Sanità, rimanendovi fino al 4 agosto dell’anno successivo e contribuendo a far approvare tre leggi che rivoluzionarono la Sanità italiana: la legge 180, per la riforma dell’assistenza psichiatrica, quella che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale e la legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza, che pur con le perplessità di una donna profondamente credente, firmò senza esitazioni, dimostrando un profondo senso dello stato e una laicità che non tutti mostrarono di avere.
Erano passati 30 anni dalla proclamazione della Repubblica e dalla prima volta che le donne poterono votare nel nostro paese. Dovettero passarne altri tre per avere, con Nilde Iotti, la prima presidentessa della Camera e addirittura altri 42 perché Maria Elisabetta Alberti Casellati diventasse presidentessa del Senato. A oggi ancora nessuna donna è stata capo del governo o presidente della Repubblica.
Tina Anselmi avrebbe avuto tutte le qualità e le capacità per ricoprire entrambe le cariche: aveva preso parte attiva alla Resistenza; nel 1944 si era iscritta alla Democrazia Cristiana; nel dopoguerra si dedicò dapprima all’attività sindacale e poi a quella di partito.
Nel 1978 fu incaricata dalla DC di tenere i contatti con la famiglia Moro durante i giorni difficili del sequestro e dell’uccisione del leader democristiano.
Nel 1981 fu presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica Propagnda 2, la famigerata P2 di Licio Gelli, incarico che svolse con fermezza fino al 1985, anno della conclusione dei lavori, e che gli costò insulti ripetuti e isolamento politico, tanto che quando, prima nel 1992 e poi nel 2006, fu proposta per la presidenza della Repubblica non riuscì a trovare in Parlamento il numero di sostenitori necessari per essere eletta.
Nel 1985 a un giornalista del Corriere della Sera che le chiese se l’Italia era matura per avere una donna Presidente, così rispose: “L’Italia, non so … Mi chiederei piuttosto se sono matura io … A parte ogni merito o gratificazione personale, penso che sarebbe interessante dal punto di vista del costume. E soprattutto, significativo per le donne. Vede, una donna che riesce, riesce per tutte le altre. Me ne sono accorta dalle lettere, dalle adesioni che ho avuto come presidente della commissione P2. Le donne hanno bisogno di trovare in un’altra donna la dimostrazione che è loro possibile essere e fare. L’esempio le aiuta ad acquistare una maggior fiducia in se stesse”.
La sua elezione sarebbe stata sicuramente un passo in avanti importante per la storia di questo paese oltre che il coronamento di una straordinaria carriera politica.
Fonte: archivioluce.com/