AGI – L’arresto per alto tradimento dell’influente ex capo dei servizi di sicurezza del Kazakistan (Knb), Karim Masimov, è l’ultimo episodio di quella che appare come una guerra all’interno dell’elite, scatenata dalla tentata rivoluzione di popolo contro l’autoritarismo e i privilegi del trentennale sistema di potere in vigore in Kazakistan dal crollo dell’Urss.
A scontrarsi sarebbero il circolo del potente ex presidente Nursultan Nazarbayev e quello del suo delfino, l’attuale capo di Stato Kassym-Jomart Tokayev, da anni fedele collaboratore del padre padrone del Paese, ma che sembra aver repentinamente cambiato rotta.
Le ipotesi su questa svolta, spiega all’AGI Niccolò Pianciola, storico esperto di Kazakistan e professore associato all’Università di Padova, sono avanzate da vari analisti e sono difficilmente verificabili, ma partono tutte da un’unica evidenza: ad Almaty, la capitale economica del Paese, dove si sono concentrati i disordini e le violenze di questi giorni, “gli apparati di sicurezza si sono dileguati e la città è rimasta in balia di saccheggiatori e gruppi di manifestanti violenti, che hanno bloccato l’aeroporto e preso d’assalto la sede del municipio senza trovare vera resistenza”.
“Si è assistito al collasso totale delle forze di sicurezza e di polizia, controllate fino a tre giorni fa da Masimov, fedelissimo di Nazarbayev: un collasso che ha allarmato a tal punto Tokayev, da portarlo a invocare in modo repentino l’inedito intervento dei russi nel quadro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto)”, spiega Pianciola, che per quasi due anni ha insegnato in Kazakistan all’Università Nazarbayev.
Tokayev in cerca di fedeltà
Secondo Joanna Lillis, giornalista di Eurasianet, in un quella che è diventata la maggiore crisi di sicurezza in Kazakistan dall’indipendenza, Tokayev sta cercando di garantirsi la fedeltà di forze dell’ordine e d’intelligence: ha destituito Nazarbayev da capo a vita del Consiglio di sicurezza, prendendo su di sé l’incarico, e il 5 gennaio ha licenziato anche Masimov, che durante la presidenza di Nazarbayev era stato il primo ministro più longevo (servendo due mandati, dal 2007 al 2012 e dal 2014 al 2016), e che da quasi sei anni era a capo dei servizi eredi del Kgb.
Masimov è accusato ora di alto tradimento: le autorità kazake stanno suggerendo che dietro i violenti disordini innescati dal rincaro del carburante ci sia stata una regia legata ai più alti livelli dei servizi segreti. La teoria ufficiale, se mai venisse provata, secondo cui le proteste sono opera di “terroristi” implica un fallimento del Knb, su cui viene così scaricato il prezzo politico della crisi.
Il fiasco degli apparati di sicurezza, sottolinea Pianciola, ha aggravato la situazione ad Almaty e ha fornito un pretesto per reprimere con forza, dovunque nel Paese, una movimento di protesta che era nato, e continua a essere almeno in alcune regioni del Kazakistan, “pacifico”. Secondo uno scenario più machiavellico, ma da alcuni analisti ritenuto plausibile, gli apparati di repressione controllati da Nazarbayev avrebbero deciso di far andare in scena il caos, in modo da costringere Tokayev a dimettersi in un vero e proprio tentativo di golpe.
Dubbi sulla lealtà
“La rimozione simultanea di Nazarbayev e Masimov fa pensare che il presidente dubitasse della loro lealtà e abbia agito per evitare un possibile colpo di Stato durante il caos creato dalle proteste: in questo contesto l’intervento della Csto, a guida russa, va visto come uno strumento per rafforzare la propria posizione contro i rivali interni”, sostiene Lillis.
Dando prova di non controllare in modo efficace l’apparato di sicurezza, chiamando i militari russi in casa, “Tokayev si è però fortemente delegittimato”, conclude Pianciola, “sia che rimanga in sella, sia che alla fine della crisi sia costretto a dimettersi (eventualità però remota), sicuramente ha portato più di prima il Kazakistan sotto l’ala di Mosca”.
Ora gli occhi sono puntati sulle sorti di Nazarbayev: dopo voci di una sua fuga all’estero, il suo entourage ha dichiarato che si trova a Nur-Sultan, la capitale a lui intitolata ma che da giorni non viene più chiamata col suo nome. “Il fatto che l’ex presidente dica di essere in Kazakistan e venga chiamato anche col titolo di Elbasy (Leader della nazione) nei comunicati del suo portavoce”, conclude Pianciola, “fa pensare a un tentativo di riappacificazione con Tokayev, oppure che non c’era mai stato conflitto”.
Source: agi