Sale l’attesa in Tim in vista di domani, 15 ottobre, giorno in cui scade il termine concesso al fondo statunitense Kkr per presentare l’offerta vincolante per Netco, la costituenda società del gruppo in cui confluiranno la rete primaria, la rete secondaria (Fibercop) e Sparkle, quest’ultima società un vero e proprio ‘gioiellino’ che possiede e gestisce una rete in fibra di circa 550 mila chilometri che contribuisce a garantire i collegamenti internet tra Europa, Africa, Americhe e Asia.
La rete di accesso primaria, in rame e fibra ottica, serve invece i cabinet (quegli armadietti che si vedono sui marciapiedi delle nostre città) nonchè i collegamenti ultra-broadband (cioè con accesso a internet con velocità superiori a 30 Mbps) dei clienti finali. Questo asset è completamente e direttamente detenuto da Tim.
In vista della scadenza di domani, il titolo di Tim a Piazza Affari, ieri a fine contrattazioni, ha segnato un progresso dell’1,48% a quota 0,2746 euro per azione.
La cosiddetta rete di accesso secondaria, anch’essa sia in rame sia in fibra ottica, completa il servizio arrivando dai cabinet alle singole case degli italiani; in questo caso l’infrastruttura è posseduta indirettamente dalla principale compagnia telefonica del Paese tramite Fibercop, il cui capitale è nelle mani di Tim per il 58%, il 37,5% è di Kkr (attraverso la società ‘Teemo’) mentre il restante 4,5% è di Fastweb.
Kkr, secondo le ipotesi fin qui circolate, valuta Netco circa 23 miliardi di euro. Al fianco del fondo statunitense è pronto a scendere in campo il governo italiano, con il ministero dell’Economia che entrerebbe nell’offerta per Netco per rilevarne una quota tra il 15 e il 20 per cento, a valle di un investimento fino a 2,5 miliardi di euro. Valori ancora distanti dai desiderata di Vivendi che sin dall’inizio dell’iter per la cessione della rete ha fatto sapere che le loro stime valutano l’intero asset circa 31 miliardi di euro. Il colosso francese dei media è il primo azionista di Tim con quasi il 24% del capitale, una quota che gli conferisce un potere di veto decisivo qualora l’operazione debba passare per ‘le forche caudine’ dell’assemblea per la sua definitiva approvazione. Tuttavia, i pareri legali raccolti finora dal management di Tim sembrano scongiurare questa ipotesi, per cui potrebbe bastare il via libera del cda, dove Vivendi da tempo non esprime più la maggioranza dei membri.
In ogni caso le “interlocuzioni” tra i vertici della società francese e il governo non mancano, con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, dopo l’incontro del 5 ottobre, si è detto disponibile – “se necessaria” – a una nuova riunione con Vivendi ribadendo la necessità di trovare soluzioni che tutelino l’interesse strategico dell’infrastruttura senza danneggiare alcun azionista, incluso ovviamente i francesi.
Si avvicina intanto anche la scadenza della terza trimestrale (i conti usciranno l’8 novembre). Gli analisti di Equita si aspettano una dinamica molto simile a quella del secondo trimestre (e coerente con le guidance), ovvero con una sostanziale stabilità dei ricavi e dell’ebitda ‘domestici’ e una solida crescita del Brasile. Nel dettaglio, i ricavi di gruppo dovrebbero attestarsi a poco più di 4 miliardi di euro (+1,8%), di cui ‘domestico’ a 2,916 miliardi (-0,1%) e Brasile a 1,134 miliardi (+7%). L’EbitdAl di gruppo è stimato da Equita a 1,377 miliardi (+4,6%), con ‘domestico’ a 959 milioni (+0,1%) e Brasile a 418 milioni (+17%). (AGI)