di Alessandro Scuderi
Impatto emotivo e aspetti sociali
Tra le tante definizioni che ho trovato circa il significato del termine “Terrorismo”, ho scelto questa:
“L’uso di violenza illegittima finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata ed a destabilizzarne l’ordine democratico mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti, sabotaggi, ecc…”
Tanto più feroce e sanguinaria è l’azione terroristica, quanto più forte e drammatico sarà il contrasto e lo scontro antagonista. Naturalmente, la percezione dell’atto terroristico accuserà e rileverà l’impotenza di opporsi ad esso, alimentando sfiducia e smarrimento. L’impatto emotivo è e sarà sempre negativo; l’elaborazione della violenza, patita o destinata a terzi, attiene alla formazione ed al vissuto di ognuno di noi.
Ciò indurrà a ad un diffuso scetticismo nell’ordinamento costituito; ed è esattamente l’obiettivo prefissato del terrorista; sostanzialmente il target vero è quello di minarne le fondamenta giuridiche. La finalità dell’azione è semplice: sovvertire l’ordinamento costituzionale, disarticolando la struttura portante della democrazia, ovvero pluralismo e libertà di pensiero. Quindi si deduce che l’obiettivo del terrorismo e dell’eversione, sia appunto il totalitarismo.
Ma com’è percepito il terrorismo? Dipende da diversi fattori; dalle proprie convinzioni politiche, dal proprio status, dall’estrazione socio-culturale ed anche dalla religione, e non ultimo dalla propria nazionalità. Più si è certi della forza del proprio Stato e/o del proprio Governo, più si è certi di essere, nonostante tutto, protetti. Ma una delle condizioni principali, per una corretta valutazione del fenomeno, è il tempo storico nel quale si concretizza l’evento e nel quale l’atto terroristico si genera.
Faccio un semplice e breve esempio: Un tipico atto terroristico, per come esso è recepito comunemente oggi, fu l’assassino dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando (e la moglie Sofia) a Sarajevo, il 28 giugno 1914. L’anarchico serbo Gavrilo Princip uccise entrambi a colpi di pistola, innescando di fatto la scintilla (pretestuosa) che accese i fuochi della I Guerra Mondiale. Questo fu un atto che oggi definiremmo terroristico, ma che all’epoca venne avvertito dalla popolazione e dalla stampa, come l’aggressione della Serbia all’Austria. Oggi non sarebbe successo e ciò deve indurci a capire che gli episodi terroristici, vanno sempre inquadrati nel contesto storico e temporale in cui avvengono, ciò ne condizionerà l’effetto.
In Italia il fenomeno terroristico inizia negli anni ’60; il trentennio buio e per certi versi ancora misterioso che ha attanagliato il nostro Paese in una morsa sanguinaria, è stato definito, nella sua accezione negativa del termine, nei c.d. “Anni di piombo”. Vuoi perché lasciarono precipitare la società nazionale in anni grigi, bui e pesanti, vuoi perché nell’immaginario collettivo, il piombo delle pallottole riporta alla plumbea atmosfera del fenomeno medesimo. Vi fece da miccia la c.d. “strategia della tensione”, artatamente preconfezionata per fini golpistici, elaborati nelle menti malate di militari infedeli, massoni, neofascisti e mafiosi. Ma questa è un’altra storia…
Era l’epoca in cui Brigate Rosse, Prima Linea e N.A.P. (Nuclei Armati Proletari) da una parte, e Ordine Nuovo, N.A.R. (Nuclei Armati Rivoluzionari) e Rosa dei Venti dall’altra, insanguinavano le nostre piazze, le nostre Università e le nostre fabbriche, i nostri Sindacati, le nostre Forze dell’Ordine, provocando centinaia di morti.
In tutto questo bailamme, si creò terreno fertile per qualsiasi intrigo nazionale ed internazionale, nel quale alcuni apparati dello Stato si dovettero confrontare uno contro l’altro. Ma anche questa è ben altra storia….
Il terrorismo che oggi ci fa paura, è senz’altro quello radicale islamico, inutile negarlo, ma ciò che succede oggi e che succederà domani, è strettamente collegato a ciò che è già accaduto e che, forse, non abbiamo scorto. All’epoca non si volle (o non si poté) comprendere a dovere, che la minaccia incombente del terrorismo palestinese, fu prodromica alla minaccia islamica intesa in senso più generale; ovvero non si riuscì a vedere oltre.
Dopo avere colpito al cuore la Germania (già afflitta dalle azioni della banda Baader-Meinhoff affiliata alla R.A.F.) durante i giochi olimpici di Monaco del 1972, assassinando 11 atleti israeliani, il terrorismo di matrice araba rivolse tutta la sua ferocia contro l’Italia. A tal riguardo vorrei rammentare i seguenti attentati:
17 dicembre 1973 Aeroporto di Fiumicino – i terroristi di Al Fath si dirigono sul volo Pan Am110 in rientro da Beirut –Teheran e vi lanciano bome a mano al fosforo. Rimarranno uccise 34 persone tra cui quattro italiani e l’agente della G. di F. Antonio Zara, lasciato agonizzante a terra.
27 dicembre 1975 – Aeroporto di Fiumicino – Terroristi palestinesi dell’O.L.P. guidati da Abu Nidal irrompono nell’area internazionale e dopo aver lanciato bombe a mano verso gli astanti dei banchi di check in della TWA e della El Al, aprirono il fuoco con i loro Kalshnikov. Si conteranno 13 morti, tra cui due italiani (Contemporaneamente un altro commando di terroristi della stessa fazione, attaccherà l’aeroporto di Vienna) e decine di feriti.
9 ottobre 1982 – Roma – Cinque terroristi di Al Fatah attaccano la Sinagoga di Roma durante una celebrazione religiosa. Rimane ucciso un bimbo di due anni, (Stefano Gay Tachè ricordato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento) ed altri 37 tra genitori e ragazzini rimangono feriti.
7 ottobre 1985 – Nave passeggeri “Achille Lauro” in acque territoriali egiziane – Cinque terroristi palestinesi aderenti al F.L.P., prendono possesso della motonave italiana in crociera sul Mediterraneo. Fu scelto un passeggero di 69 anni, ebreo, costretto sulla sedia a rotelle, Leon Klinghofer, di nazionalità statunitense, che venne ucciso e gettato in mare.
In buona sostanza, il nostro Paese dovette affrontare quell’emergenza terroristica con un impianto normativo non all’altezza della situazione, sebbene già nella possibilità di schierare eccellenti reparti antiterrorismo (tra i migliori al mondo); ma ciò è semplicemente inutile se, parallelamente, non vi sia una giurisprudenza che tuteli e supporti gli interventi opportuni. La cosa migliore che le Istituzioni del tempo riuscirono a partorire, fu la malvagia e diabolica trattativa, definita “Il lodo Moro”. Una sorta di vero e proprio patto di vicendevole non aggressione, siglato con l’O.L.P. di Yasser Arafat. Anche questa è ben altra storia….
Il caso della liberazione del Generale Dozier (28 gennaio 1982) fa storia a parte, poiché l’interesse e le “spinte politiche” poste in essere per scarcerare dalle “prigioni del popolo” (definizione tanto cara ai brigatisti) l’Ufficiale statunitense, furono inimmaginabili.
Oggi è impensabile, nell’era di internet, dei social e della rete informatica in generale, aggredire o opporsi al fenomeno del terrorismo, senza la dovuta preparazione tecnologica. I parametri sociali, politici ed economici dell’intero pianeta sono mutati in pochi anni e ciò ha trasformato, potenziandoli alquanto, anche i fenomeni di natura terroristica, estendendo l’emergenza a tutto il mondo, in tempo reale.
L’attentato dell’11 settembre 2001 alle “Torri gemelle” a New York City, ha cambiato (in meglio) il modo di pensare e di intendere il terrorismo. Ciò ha indotto a formulare ed applicare regole giurisprudenziali che fossero adatte ed efficaci a tutti, o quanto meno alla maggior parte dei Paesi coinvolti. Non si può non considerare che tra gli Stati coinvolti dall’aggressione terroristica, ve ne siano alcuni nei quali non vige lo “stato di diritto”. Alla stessa stregua si deve sempre tener presente che anche la lotta al terrorismo deve mantenere determinare regole etiche, morali, costituzionali e giurisprudenziali. E checché se ne dica, ciò rende le cose più difficili, aggiungendo ulteriori elementi di criticità.
Sebbene le formazioni terroristiche islamiche avessero già colpito la città di New York con l’attentato al World Trade Center il 26 febbraio del 1993 e l’attentato del 19 aprile 1995 ad Oklahoma City, ciò che ha segnato un vero e proprio spartiacque tra il pre ed il post contrasto al terrorismo, è stato senz’altro l’attentato alle “Twin Towers”, sia per l’altissimo numero di vittime, sia per la massiccia divulgazione media in tempo reale dell’attacco svoltosi in due fasi. Oltretutto va considerato che l’attacco fu congiunto; infatti lo stesso rientrava nella generale regia dell’attentato al Pentagono ed al dirottamento del volo United Airlines 93 che andò a schiantarsi a Shanksville in Pennsilvanya, grazie alla coraggiosa reazione dei passeggeri. Nemmeno i sanguinari attentati alle ambasciate di Kenia e Tanzania dell’agosto 1988 avevano sortito un così forte e devastante effetto psicologico sulla popolazione statunitense e, globalmente in quella mondiale.
Al Qaeda alzò il tiro e colpì al cuore gli U.S.A.; ciò venne considerato un attacco all’Occidente inteso come “pensiero”, o per meglio dire, alla cultura occidentale, ritenuta decadente e non conforme ai dettami dell’Islam. Lo scontro ha fatto scaturire un diverso modo di opporsi al fenomeno. La minaccia da allora in poi venne affrontata non più isolatamente, ma in chiave complessiva e sinergica, come i tempi esigevano. Ancora una volta il contesto terrorismo/eversione si trovò a interfacciarsi con il contesto sociale, politico ed economico dei tempi correnti.
Terrorismo e antiterrorismo sono entrati prepotentemente nella vita degli uomini e delle donne dell’intero pianeta. Non più soggetti relegati nell’ambito della politica interna di singoli paesi; oggi terrorismo e antiterrorismo sono i principali argomenti dell’agenda di politica internazionale. Si è modificano il concetto di sicurezza e sovranità degli stati; giacché il terrorismo e le misure per contrastarlo hanno influenzando ed influenzano ancora, l’andamento delle consultazioni elettorali, causando danni all’economia e condizionando la scaletta dei mass media di tutto il mondo.
Il terrorismo di matrice islamica costituisce una delle grandi sfide contemporanee, ma a causa di una errata concezione del diritto altrui, è come se la società volesse rifiutare tale drammatica realtà. Si tratta di un fenomeno criminologico che soltanto apparentemente si presenta come strategia bellica o religiosa, ma che in verità è nient’altro che una tipologia di criminalità ordinaria molto seria.
Abbiamo già affrontato tale ambito nei miei precedenti interventi, dove ho cercato di illustrare nei limiti della mia competenza e possibilità, i molteplici riscontri investigativi che hanno acclarato il forte interesse delle organizzazioni terroristiche (ISIS, Hamas e Boko Haram tra tutte), al traffico di armi, stupefacenti, tratte di schiavitù, contrabbando di reperti archeologici (vedi archeomafie), bracconaggio finalizzato al traffico di avorio.
Solo una precisa conoscenza del fenomeno “terrorismo” (di qualunque matrice esso sia), associata ad una adeguata professionalità degli “addetti ai lavori”, possono elaborare efficaci politiche e strategie nella lotta contro lo stesso.
Personalmente ritengo che il “sistema tattico” per contrastare il terrorismo ha bisogno di approcci multisettoriali, tra cui assume rilievo anche il diritto d’informazione. Sia chiaro che non alludo ad alcuna limitazione democratica, ma la diffusione di determinati dati ritenuti di interesse, nella loro valenza globale, potrebbero tornare utili alla cellula terroristica operante. Ciò eviterebbe che un attentatore, in futuro, possa affinare la propria strategia grazie all’impiego proficuo del materiale giornalistico, ma soprattutto al fine di evitare che qualcuno possa ispirarsi al fatto già avvenuto (c.d. copycat).
Sarebbe necessario che i media si astenessero da spiegazioni troppo semplificatorie sulla motivazione di condotta dell’attentatore, evitando così le comunicazioni che potrebbero essere percepite come “poema eroico”. Non dovrebbero, ad esempio ricostruire il fatto in maniera dettagliata e non dovrebbero pubblicare informazioni sensibili (come gli specifici indirizzi web dei forum radicali). Ma so bene che tali misure sono pura utopia; in ragione del diritto all’informazione, non verrà mai applicato, eppure sono certo che qualche vita umana si potrebbe risparmiare.