Telegram, “Modello pirata Durov non può durare”


Un paladino della libertà della Rete che combatte contro l’intrusione di ogni autorità nella privacy degli utenti o un cinico colluso col regime russo, che ha messo la sua popolare piattaforma di messaggistica, basata sulla crittografia, a servizio di guerra e propaganda. Sono le due versioni diametralmente opposte con cui viene descritto il fondatore di Telegram, Pavel Durov, dopo l’eclatante caso giudiziario che lo vede in libertà vigilata in Francia, accusato di omessa cooperazione con le autorità e complicità in reati commessi attraverso la sua app, usata da dissidenti come da terroristi e criminali in tutto il mondo.
Per Nikolay Kononov, il più famoso esperto del business e della personalità del giovane miliardario su cui si addensano miti, leggende e ogni tipo di complottismi, nessuna di queste due versioni è corretta: “Durov, spiega in un’intervista all’AGI da Berlino, “è il creatore di un universo digitale di cui vuole essere l’unico padrone ed essendo un perfetto egocentrico, non vuole darne il controllo a nessuno. E’ questo il suo problema, il suo modello non è più attuale”.
Autore nel 2012 della prima biografia mai pubblicata di Durov – ‘Codice Durov – La vera storia di “VKontakte” e del suo creatore’ – Kononov ha incontrato una decina di volte lo schivo e misterioso imprenditore per intervistarlo a San Pietroburgo, quando ancora Telegram neppure esisteva. Durov, allora 27enne, era però già soprannominato il “Mark Zuckerberg russo”: nel 2006 aveva creato il più grande social network del continente europeo, VKontate (VK), il Facebook in cirillico, dandogli poi come sede il mitico palazzo che fino alla Rivoluzione d’Ottobre era stato della compagnia americana di macchine da cucire Singer, con la sua cupola di vetro, sulla prospettiva Nevsky.
La società è ancora lì, ma nel 2014 Durov ha venduto VK all’oligarca Alisher Usmanov, fedelissimo del Cremlino, dopo uno scontro pubblico contro le ingerenze e le pressioni dell’Fsb per avere accesso a dati e informazioni di oppositori e attivisti. Lasciata la Russia ha poi scelto come base Dubai e alla cittadinanza emiratina ha aggiunto quella francese e di St. Kitts e Nevis inizia a concentrarsi sull’altra sua creatura, Telegram.
A metà tra romanzo, saggio e inchiesta giornalistica, nel suo libro Kononov – ex redattore di Forbes Russia – ripercorre la fondazione di VK attraverso la vita, le idee, gli incontri, i modelli e le manie di Pavel e il rapporto con il geniale fratello maggiore Nikolay, informatico di talento, che sta dietro tutti i suoi successi. “Pavel è il frontman di Telegram e Nikolay è l’eroe invisibile”, spiega lo scrittore, “è lui il leader tecnologico di Telegram, ha portato nella società elementi molto forti, come l’allenatore della squadra di programmazione russa Andrei Lopatin”.
Kononov delinea un ritratto anche ideologico di Durov, conoscendone le idee che animano la sua attività. “Il suo idolo è Steve Jobs. La sua visione del mondo si è formata sotto la forte influenza di entrambi i film della serie ‘Matrix’ e del libertarismo”, una scuola di pensiero che ritiene la libertà come il più alto fine politico, nutrendo di conseguenza un forte scetticismo nei confronti del potere costituito.
“Durov”, fa notare Kononov, “è un seguace del cyber-libertarismo”, secondo cui internet e i media digitali dovrebbero costituire spazi di libertà individuale senza interferenza dei governi e delle aziende. “Il suo punto di vista è: aboliamo gli Stati, lasciamo che il mondo si trasformi in un grande mercato in cui aziende, gli opinion leader, le idee e tutto il resto competano tra loro”.
L’ego di Durov si riflette anche nella struttura aziendale di Telegram “più simile a una nave pirata, una Laputa (isola volante degli scienziati pazzi ne ‘I viaggi di Gulliver’) che a una società tradizionale. “Non esiste un pr, un settore marketing, un manager per le relazioni istituzionali nemmeno per i mercati più grandi”, spiega lo scrittore, “l’unica interfaccia col mondo esterno è Durov stesso”. “Il caso in Francia”, secondo Kononov, “è proprio la reazione degli Stati alla impossibilità di comunicazione e reazione veloce con Telegram che da tempo non è più solo business privato ma una realtà di interesse pubblico”.
“Non a caso, Durov ha scelto come base Dubai, dove le leggi per governare questa Laputa sono meno stringenti; la natura pirata di Telegram collide con leggi e regolamenti dei Paesi occidentali”. “Il problema di Durov è che vuole che Telegram sia una società internazionale, mantenendo però la sua natura libertaria, due cose che nella sua concezione di mondo e business non confliggono”.
Il caso Durov è importante perché, come fa notare lo scrittore, è il segnale che questo modello di imprenditore digitale eccentrico e accentratore sta diventato desueto mentre ci si interroga con sempre più forza sulle responsabilità delle piattaforme, sull’urgenza di trovare un compromesso tra le necessità degli organi regolatori e i diritti umani di base; tra le garanzie della libertà di espressione, la privacy e la libertà d’impresa. “Non possiamo lasciare il controllo di piattaforme così grandi, che influenzano la vita di intere comunità, ai loro stessi creatori ma non possiamo neppure trasferirne il controllo allo Stato; il compromesso potrebbe essere affidare questo controllo alla società civile sotto forma di varie associazioni, comitati, comunità”. (AGI)