Non sarà un’avventura, non sarà una sventura. Qualunque sia l’esito del voto alle presidenziali che si tengono domani a Taiwan, e malgrado i roboanti moniti lanciati dall’altra sponda dello Stretto, l’eventualità di un prossimo passaggio alle maniere forti viene considerata dagli osservatori internazionali remota o quantomeno improbabile.
I toni duri di Pechino, l’ultimo oggi dal portavoce del Ministero della Difesa (“schiacceremo qualsiasi tentativo di indipendenza”), appartengono al repertorio ordinario, come i suggerimenti sulla scelta del “candidato giusto”, che Taipei e Washington chiosano quale ingerenza negli affari dell’isola considerata dalla Repubblica Popolare semplice parte dell’unica e sola Cina. L’altro giorno Chen Binhua, il portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan di Pechino,
ha consigliato: non votate Lai Ching-te (William Lai), l’uomo in testa nei sondaggi, già premier e vice presidente di Tsai Ing-wen, la quale non può candidarsi per un terzo mandato. Non lo votate, avverte, perché è un istigatore di conflitti tra le due sponde. Pronta replica del ministro degli Esteri taiwanese,
Joseph Wu: a Pechino la smettano di interferire nelle elezioni altrui, noi siamo democratici e tutto il mondo guarda alle nostre urne. (E non solo a quelle: guarda per esempio ai semiconduttori che sono il vero “oro” dell’isola di cui tutto il mondo ha sempre fame).
Schermaglie. Come quelle che periodicamente si esercitano nello Stretto, fra la dimostrazione muscolare di aerei e navi cinesi e la controdimostrazione muscolare di navigli americani cui s’è aggiunto, al principio di questa settimana, un certo timore – rivelatosi ingiustificato – per il lancio pechinese di un satellite a scopi di studio. “Transito missilistico nei cieli di Taiwan”, questo l’alert governativo diffuso sugli smartphone, ed è scattata la fibrillazione popolare. La rassicurazione è arrivata poco dopo: l’allerta era dovuto alla semplice eventualità di “detriti” in caduta dai razzi che lanciano in orbita il satellite. Tante scuse alla popolazione e niente paura, ha affermato il ministro degli Esteri.
Innegabile la tensione alla vigilia del voto, ma ci sono stati momenti peggiori. Gli analisti escludono un intervento armato della Repubblica Popolare per prendersi l’isola con la forza: gli avvicendamenti ai vertici della Difesa decisi dal presidente Xi Jinping, il tarlo della corruzione interna, la mancanza di segnali militari che premoniscano una operazione sono sintomi tranquillizzanti. Vi si aggiunge, rispetto solo a un anno fa o meno, la distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Cina. (AGI)
FRA
== IL PUNTO = Taiwan vota, sale la tensione ma non arma la Cina (2)
Pubblicato: 12/01/2024 15:43
(AGI) – Roma, 12 gen. – Oggi il Dipartimento di Stato americano ha sottolineato la “profonda fiducia” degli Usa “nel processo democratico di Taiwan”; “spetta agli elettori di Taiwan decidere il loro prossimo leader senza interferenze esterne”. Null’altro da Washington si poteva dire, mentre appare più interessante l’invio di una delegazione “non ufficiale” a Taiwan annunciato per il dopo elezioni, che non dovrebbe suscitare l’ira fuori misura di Pechino come è accaduto nel passato per altre visite americane a Taipei. Il Senato Usa ha votato una risoluzione che elogia per “l’esempio di autogoverno” l’isola, e non sorprende. Come non sorprende sentire da Pechino che “sulla questione di Taiwan la Cina non farà mai il minimo compromesso o concessione” e che gli Stati Uniti “debbono ridurre la loro presenza militare e le loro azioni provocatorie nel Mare della Cina meridionale”.
Le relazioni Pechino-Washington si sono “stabilizzate” nel 2023 e potrebbero godere un consolidamento quest’anno malgrado le differenti posizioni sui conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, il quale ha ricordato le precedenti “serie difficoltà” e lo scontro su molteplici questioni, dalla tecnologia al commercio ai diritti umani, fino allo status di Taiwan e alle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. L’incontro di novembre tra Xi Jinping e Joe Biden dà insomma i suoi frutti, e come ha sottolineato Wang “le relazioni bilaterali hanno smesso di deteriorarsi”. (Tra parentesi ma non proprio, gli Stati Uniti “non sostengono l’indipendenza di Taiwan).
Come che sia, domani quasi 19 milioni e mezzo di elettori dovranno scegliere il successore di Tsai Ing-wen. Il favorito è Williami Lai del suo stesso Partito democratico progressista (Dpp); suo principale antagonista è Hou Yu-ih, un passato da capo della polizia ed esponente del Kuomintang (Kmt), il partito nazionalista che dominò per decenni la politica taiwanese in feroce antagonismo con Pechino, ma che negli ultimi sedici anni ha assunto posizioni più gradite oltre lo Stretto con i famosi tre no: all’unificazione, all’indipendenza, al confronto militare. E’ lui naturalmente il candidato gradito a Pechino, mentre sembra nutrire decisamente meno chance il terzo contendente: Ko Wen-je del Ttp, il Partito popolare. (AGI)
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