Tagli alla rivalutazione delle pensioni, Cgil e Spi critiche: “Il governo cambi strada”


Le previsioni dei sindacati: decurtazione di 962 euro per un assegno lordo di 2.300 euro (netta 1.786) e di 4.849 euro lorde per un importo lordo pari a 3.840 euro (2.735 euro nette)

La denuncia dei sindacati: “Il governo fa cassa con le pensioni” (Ansa)

Roma, 18 novembre 2023 – La rivalutazione delle pensioni, nella formula reintrodotta dal governo Meloni per l’anno in corso e per il prossimo, taglia significativamente l’importo degli assegni e, in prospettiva, non essendo recuperabile, produce ulteriori sforbiciate sugli importi futuri delle dei trattamenti. A fare i calcoli sulle perdite sono gli esperti del dipartimento previdenza della Cgil e dello Spi, che ipotizzano tagli pesanti sulle pensioni nel biennio 2023-2024: tagli che raggiungono 962 euro per una pensione lorda di 2.300 euro (netta 1.786), fino ad arrivare a 4.849 euro lorde per un importo di pensione lorda pari a 3.840 euro (2.735 euro nette). “Questi tagli proiettati sull’attesa di vita media – si legge nell’analisi –  raggiungono importi elevatissimi: si parte da 6.673 euro netti per un pensionato con una pensione netta di 1.786 euro, fino a raggiungere 36.329 euro nette, per una pensione di 2.735 euro nette”. “Il governo Meloni – spiega la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglionen – fa cassa sulle pensioni. Infatti, oltre ad essere riusciti nell’impresa clamorosa di peggiorare la legge Monti/Fornero, azzerando qualsiasi forma di flessibilità in uscita, continua a tagliare per migliaia di euro la rivalutazione delle pensioni”. Non basta. “Questo esecutivo con la legge di bilancio dello scorso anno – spiega la segretaria nazionale dello Spi Cgil Tania Scacchetti – aveva introdotto sia per il 2023 che per il 2024 un meccanismo di rivalutazione fortemente penalizzante per le pensioni con trattamenti superiori a 4 volte il trattamento minimo, pensioni di poco superiori alle 1.600 euro nette, altro che pensioni ricche. Le perdite per effetto della mancata rivalutazione si trascinano naturalmente negli anni e non sono più recuperabili. Nei fatti, per legge, si decide che non si possono garantire importi adeguati all’aumento del costo della vita. E lo si fa su quella parte della popolazione che ha lavorato per una vita e che sostiene il welfare di questo Paese aiutando spesso figli e nipoti”.

A preoccupare le sindacaliste è anche la prospettiva. “Come se questo non fosse sufficiente – si insiste nell’analisi – il governo intende cambiare dal 2027 gli indici con cui calcolare la rivalutazione delle pensioni, sostituendo l’attuale indice di perequazione con il deflatore Pil”. Lo studio dimostra che “questa modifica avrebbe un impatto gravissimo sulle pensioni, con una perdita mensile di 78 euro per una pensione di 1.786 euro nette e di 230 euro per una pensione di 2.735 euro nette. Dati che se proiettati sull’attesa di vita media, raggiungono importi che variano tra 18.019 euro fino a 35.051 euro di mancato guadagno”. “Chi governa – sostengono le dirigenti sindacali – spesso parla di solidarietà fra le generazioni con l’obiettivo di mettere i pensionati di oggi contro i giovani. In realtà in questa legge di bilancio non c’è nessun investimento per i giovani e si continuano a tagliare i pensionati. Da tempo – concludono Ghiglione e Scacchetti – chiediamo al Governo di cambiare strada, con un intervento sugli extra profitti e sulle grandi rendite, ma la verità è chiara, l’esecutivo ha scelto di continuare a manomettere il meccanismo di rivalutazione, per recuperare risorse dalle tasche dei pensionati, la strada probabilmente più semplice”.

 

Fonte: https://www.quotidiano.net/