Suicidi tra le Forze di Polizia: Una strage senza fine!


di Ettore Minniti

L’ultimo caso si è verificato pochi giorni fa a Palermo. Si è tolto la vita con un colpo di pistola mentre era in servizio sparandosi con la pistola di ordinanza negli uffici dell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. L’ennesimo tragico lutto per i Carabinieri. Il secondo in 48 ore, il giorno prima si era impiccato un brigadiere a Riva del Garda (TN) .

I dati sono preoccupanti: 43 suicidi dall’inizio dell’anno ad oggi tra le forze di polizia, nel 2019 furono 69. Una strage silenziosa senza fine.

I tragici episodi portano all’attenzione del grande pubblico un fenomeno che tra gli operatori del settore è noto da diversi anni: l’elevato rischio di suicidio fra gli appartenenti alle Forze di Polizia.

Un fenomeno che stranamente passa inosservato tra i cittadini contribuenti, la rappresentanza politica e le autorità di governo. Tra i Carabinieri il tasso di suicidi è di circa quattro volte più alto rispetto la media italiana. I vertici tendono a minimizzare.

Chi indossa un’uniforme è più esposto, rispetto alla gente comune. Occorre monitorarecostantemente lo stato psicologico del poliziotto/carabiniere, non solo al momento del suo arruolamento, ma soprattutto durante la sua carriera. Una carriera spesso accompagnata da problemi economici e familiari. La percezione sgradevole è che lo Stato non protegga a sufficienza i suoi uomini addetti alla sicurezza e troppo spesso li abbandona al proprio destino. Per questo essi sono sottoposti a forte stress. Un monitoraggio sullo stress da lavoro da parte delle Autorità è quasi inesistente, e nella maggior parte dei casi, si tende a sminuire il motivo del suicidio come problema personale e familiare, mai derivante da cause legate all’organizzazione che avrebbe conseguenze sulle responsabilità e sulla prevenzione non adottata. Diversi studi, condotti all’estero, hanno reso evidente che è frequente il suicidio nelle Istituzioni caratterizzate da peculiarità come un elevato grado di controllo sul personale, un basso grado di autonomia decisionale e un basso grado di libertà di movimento. Istituzioni di questo tipo sono le istituzioni militari o militarizzate come l’Arma dei Carabinieri.

Nelle Istituzioni così rigidamente strutturate il suicidio non ha una valenza psicopatologica vera e propria, spesso rappresenta la rivendicazione del proprio status di uomo libero e autodeterminato di fronte alle coercizioni subite e ritenute ingiuste.

Le istituzioni gerarchicamente organizzate, la caserma e la vita militare tuttavia può solo funzionare da aumento del rischio, ma non sono una causa diretta in grado di condurre al suicidio. Intervenire sempre in situazioni ad alto contenuto emotivo conduce, alla fine, a uno stress cronico e a un logoramento emotivo. Gli operatori di polizia arrivano in questo modo a sommare al proprio disagio personale ed esistenziale il contatto con situazioni fortemente problematiche e la partecipazione ad episodi drammatici. Unendo ai problemi personali il contatto quotidiano con situazioni in grado di produrre un logoramento emotivo, s’innesca un percorso evolutivo critico che può condurre all’ideazione suicidaria. Si crea nel cittadino in uniforme, da subito dopo l’incorporamento, un’aspettativa personale, un obiettivo, e su quella aspettativa si investe una quota affettiva ed emotiva dei propri sentimenti. Se gli eventi del percorso del servizio inducono alla consapevolezza dell’impossibilità a raggiungere questo obiettivo personale, interiormente si vive una crisi personale, una ferita del sé.

Quanto più è alta l’aspettativa iniziale, tanto più distruttive sono le frustrazioni vissute alla sua rinuncia, tanto più profondo è il vissuto di fallimento e di crisi personale. Se la professione, il servizio, la carriera arrivano a rappresentare il nucleo dell’identità personale ecco che il successo professionale, la carriera brillante, l’avanzamento di grado, gli incarichi di prestigio, divengono l’unico simbolo della compiuta realizzazione. Per ottenere tutto questo il cittadino in uniforme si gioca tutto. Sacrifica il proprio tempo, la propria salute, gli interessi extra-lavoro, gli affetti, la famiglia, gli amici, lo svago, un hobby personale. Se la professione rappresenta in modo esclusivo ilproprio progetto di vita, possiamo dire che la probabilità di incorrere in una condizione di stress è maggiore. Lo stress correlato da lavoro dovrebbe essere oggetto di prevenzione. Un obiettivo primario e non contrattabile. Se le Autorità di Governo stanno a guardare, cincischiano esottovalutano il fenomeno, i cittadini contribuenti chiedono a gran voce maggiore sicurezza urbana, con più personale in uniforme, addestrato, equipaggiato e soprattutto adeguatamente motivato.