Sugli schermi torna la principessa Sissi


 

Ancora una volta l’infelice vicenda di Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, più nota come Sissi, ricompare in un film coprodotto da Austria, Lussemburgo, Germania e Francia, che nulla aggiunge alla nota biografia della duchessa di Baviera

 

di Franco La Magna

 

Infinita fascinazione delle teste coronate. Già diffusi al tempo del cinema muto (generalmente con documentari) e ancora abbondantemente presenti nel sonoro, il fiume carsico dei biopic (biografie) dei sovrani non smette di riemergere, più o meno puntualmente, dalle produzioni cinematografiche dell’intero pianeta.  Dopo – per citare i più recenti –  i plurifinanziati Spencer (2021, tre i paesi produttori, Germania, Cile e Regno Unito) di Pablo Larrian, sull’infelice principessa Diana scomparsa tragicamente in un incidente d’auto, la suicida Miss Marx (2020, italo-belga), figlia prediletta dell’autore del Capitale, regia della talentuosa Susanna Nicchiarelli e ancora Marie Antoniette (2006, finanziato da Stati Uniti, Giappone e Francia), la sovrana decapitata dalla mannaia della rivoluzione francese, regia di Sofia Coppola, ecco riapparire ( ancora una volta, come se ne sentisse la mancanza) l’intramontabile (cinematograficamente) imperatrice d’Austria Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, detta Sissi, già indimenticabile interpretazione nel lontano 1955 dell’allora appena diciasettenne Romy Schneider, che ha segnato le fortune della breve vita dell’attrice viennese e di altri film. A rinverdire la figura-mito dell’imperatrice arriva ora Il corsetto dell’imperatrice (2022) della regista tedesca Marie Kreutzer, che riprende l’ormai consueta interpretazione dell’infelice e costrittiva vita di corte, ingabbiata (la metafora del corsetto) nei soffocanti protocolli a cui la refrattaria Elisabetta cerca inutilmente di sfuggire. E per mostrarne l’insofferenza, la modernità e l’attualità la Kreutzer non soltanto restituisce della consorte del baffuto Francesco Giuseppe l’arcinota immagine trasmessa dalla storia (fa ginnastica, galoppa in solitaria, tira di scherma, si dedica alla forsennata cura del corpo, forse ha un amante, litiga con il coniuge, pianta in asso un pranzo ufficiale e si allontana tra lo stupore dei commensali e via discorrendo), ma spericola in inutili elementi avveniristici (anticipa la nascita del cinema di circa vent’anni, fuma sigarette…), che nulla aggiungono alla regale ribellione di Elisabetta. Nella foga inesauribile di esibirne l’intolleranza protofemminista e l’odio dichiarato verso la politica degli Asburgo, evidentemente ancora non sazia d’invenzioni, dopo l’inverecondo taglio della leggendaria lunga chioma rossa, la regista chiude – con una sequenza che sta Titanic e Miss Marx – ignorando il mortale attentato dell’anarchico italiano Luigi Lucheni (1898) – con uno spettacolare tuffo dell’imperatrice dalla prua d’una imbarcazione in navigazione. Sui titoli di coda, liberatoria, ma una ancora poco originale danza della protagonista, la pur apprezzabile Vicky Krieps, guarda caso premiata al Festival di Cannes, dove il film è stato presentato e osannato con enfasi eccessiva.