di Alfonso Pascale
E’ stato pubblicato l’anno scorso un libro che, se fosse stato letto da chi sui media si occupa della protesta dei trattori, avrebbe contribuito a comprendere il disagio delle campagne. Il libro l’ha scritto il professor Franco Sotte, ritenuto unanimemente tra i massimi esperti di PAC. E il titolo è “La politica agricola europea. Storia e analisi” (Firenze University Press maggio 2023).
Sotte spiega, in circa 260 pagine, che la PAC non funziona e che va ripensata completamente. È una politica preminentemente proiettata al breve termine con sostegni essenzialmente contingenti, volti a garantire redditi aggiuntivi. Solo in minima misura affronta i problemi strutturali dell’agricoltura e dei sistemi agro-alimentari, il miglioramento tecnologico, la competitività, la qualità imprenditoriale, l’organizzazione dell’offerta, la valorizzazione della qualità e delle produzioni tipiche, la formazione e qualificazione degli addetti, la diversificazione.
Una tale impostazione molto squilibrata è a scapito soprattutto delle agricolture più deboli, dei territori più fragili e delle produzioni agricole non (o meno) protette.
Sotte afferma che, nei settori più protetti dalla PAC, il sostegno ai redditi finisce per conculcare lo spirito di iniziativa, spingendo a “coltivare il contributo” anziché a innovare, a qualificare la propria offerta, a cimentarsi nella sfida della competitività, a migliorare la propria capacità imprenditoriale.
La distribuzione della parte preponderante del sostegno tra singoli beneficiari, tra tipologie di agricoltura e tra Stati membri e territori ancora sostanzialmente riflette le scelte operate negli anni Sessanta del secolo scorso. Ne risultano premiate in modo particolare: (a) l’agricoltura continentale a scapito di quella mediterranea; (b) le agricolture delle grandi estensioni pianeggianti, rispetto alle agricolture di collina e montagna; (c) le agricolture a basso impiego di lavoro, su grandi estensioni di terra e ad alta meccanizzazione (e quindi ad alti consumi di energie non riproducibili), rispetto a quelle intensive di lavoro e ad alto valore aggiunto per unità di superficie; (d) le agricolture orientate piuttosto alla produzione di commodity standardizzate, che di prodotti tipici e di qualità; (e) le agricolture che producono esclusivamente prodotti agricoli di massa (commodity) e non quelle che, diversificando, integrano le produzioni agricole con la fornitura di servizi agrituristici, culturali, sociali, ambientali, commerciali. Insomma, nulla è cambiato in tutti questi decenni.
Un altro limite della PAC è l’approccio individualistico dell’intervento. Non si tiene in alcun conto il contesto in cui l’impresa agricola opera, le sue interrelazioni, il modo in cui si integra a livello settoriale e territoriale. Il sostegno della PAC si concentra in preponderanza sul singolo beneficiario, secondo un modello di intervento preconfezionato. Una politica “one size fits all”, di mero trasferimento, che non si adatta alla diversità delle forme che ha assunto nel tempo l’agricoltura europea e che manca di un approccio sistemico e di un quadro di programmazione strategica.
Il destino della PAC e quello dell’Unione europea sono legati strettamente e le contraddizioni dell’una si riflettono sull’altra e viceversa. Per questo è necessario affrontare la riforma dei Trattati per costruire una sovranità europea su poche materie (politica estera, difesa, clima, sicurezza alimentare, sicurezza energetica, grandi progetti strategici, politica commerciale, scambi internazionali e migrazioni) e ristrutturare la sovranità nazionale, restituendo agli Stati membri le competenze che solo a livello statale si possono adeguatamente esercitare.
Ad esempio, occorre una riflessione sulla materia “agricoltura”. Mentre la sicurezza alimentare e l’intensività sostenibile del settore dovrebbero tornare ad essere una competenza esclusiva e non più concorrente dell’UE, i “pagamenti compensativi” dovrebbero costituire una competenza esclusiva degli Stati membri. In tal modo, questa misura potrà essere destinata ai beneficiari e ai territori che ne hanno più bisogno.
Il Parlamento europeo dovrà avere l’iniziativa legislativa; dovrà dare o togliere la fiducia ad un esecutivo che governi l’Unione; dovrà approvare un bilancio basato su risorse proprie acquisite tramite una fiscalità diretta.
La protesta dei trattori ha avuto un pregio: risvegliare l’interesse verso un settore narrato bucolicamente e falsamente dalla Coldiretti e da Carlo Petrini.
Invece, l’agricoltura è in gran sofferenza. Se non cambia la governance a Bruxelles e la politica non si dota di una visione di lungo periodo, non va a rotoli solo l’agricoltura ma la stessa Unione europea.
Liberta’ Eguale