Strage di Ustica


27 giugno 1980 – Ustica (PA)

Il 27 giugno 1980 il velivolo DC9 I-TIGI della compagnia Itavia decolla dall’aeroporto “Guglielmo Marconi” di Bologna. Sono a bordo 81 passeggeri, 64 adulti, 11 bambini tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell’equipaggio. Il volo, con nominativo IH870, è diretto a Palermo e parte alle 20.08, con due ore di ritardo. L’atterraggio è previsto per le 21.13. Tutto procede regolarmente fino all’ultimo normale contatto radio tra il velivolo e Roma Controllo, avvenuto alle 20.58. Alle 21.04, chiamato per autorizzare l’avvio della fase di atterraggio su Palermo, il DC9 non risponde. Iniziano affannose ricerche e cominciano anche ad emergere dubbi inquietanti su quello che può essere capitato.

Già alle 21.40 si ha qualche sospetto: dalle comunicazioni radio – ascoltate molto tempo dopo, durante l’inchiesta – si apprende infatti che «il personale di Roma aveva sentito traffico americano in quella zona». La mattina dopo tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si comincia anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Nonostante tanti inquietanti interrogativi, le indagini si adagiano sulla ipotesi più tranquillizzante: la «tragica ovvietà» che purtroppo gli aerei cadono. E l’Aeronautica Militare è molto attiva nel supportare l’ipotesi del cedimento strutturale. Un’ipotesi che sarà presto smentita (la Commissione ministeriale chiuse i propri lavori escludendo il cedimento strutturale), ma che continuerà inspiegabilmente a condizionare tanti atteggiamenti; tanto che il sospetto che si era diffuso circa la cattiva manutenzione del DC9 ha portato, nel gennaio 1981, alla chiusura e in seguito al fallimento della compagnia aerea Itavia.

Le indagini, che furono avviate dalle Procure di Palermo e di Roma e dal Ministero dei Trasporti, poco alla volta persero di mordente e sulla vicenda scese il silenzio fino al 1986. Poi, stimolati da una inchiesta giornalistica che indicava il DC9 quale vittima di una azione militare, un gruppo di politici e intellettuali si rivolgeva con un appello al Presidente della Repubblica perché «qualsiasi dubbio anche minimo sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari fosse affrontato».

Nel 1988 nacque l’Associazione parenti delle vittime della Strage di Ustica, per iniziativa di Daria Bonfietti – sorella di una delle vittime -, che ricorda: «Appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti sin dagli istanti successivi al disastro e operavano a vari livelli nelle nostre istituzioni democratiche per tenere lontana, consapevolmente, la verità». Si mobilitò l’opinione pubblica, scossa da una mancata verità che assumeva la dimensione dello scandalo. E l’opinione pubblica, in molti modi, fece sentire la sua pressione; ne seguirono due importanti effetti. Riprese vigore l’impegno della Magistratura: con due successive complesse campagne di recupero svolte a 3.700 metri di profondità, nel 1987 e nel 1991, fu acquisito il 96 % del relitto del DC9.

La vicenda poi divenne oggetto d’indagine della Commissione parlamentare Stragi, presieduta dal Senatore Libero Gualtieri, dal 1989. Quest’ultima giunse a segnalare comportamenti di militari italiani in servizio presso alcuni centri radar volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno. Come la Commissione, anche la Magistratura ritenne che la mancata ricostruzione della cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove, anche ad opera di appartenenti all’Aeronautica Militare Italiana.

Nel 1992, i vertici dell’Aeronautica all’epoca dei fatti furono incriminati per alto tradimento, «perché, dopo aver omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare […], l’ipotesi di una esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche informazioni errate».

Gli imputati furono poi prosciolti per prescrizione nel 2004, e all’inizio del 2006 assolti dalla Cassazione. Nel 1999, alla fine della più lunga e travagliata istruttoria della storia giudiziaria del nostro Paese, la sentenza istruttoria del Giudice Rosario Priore affermò che «l’incidente al DC9 era occorso a seguito di azione militare di intercettamento». Il DC9 era stato coinvolto in una azione militare nel corso della quale un missile ne aveva causato la caduta. Alla fine delle indagini, dunque, oltre all’ipotesi del cedimento strutturale anche l’ipotesi di una bomba collocata a bordo, per lungo tempo contrapposta all’abbattimento nel corso di una operazione militare, si è rivelata un tentativo di sviare tanto le indagini quanto la consapevolezza dell’opinione pubblica. In una formula: depistaggio.

Alla tragedia umana della morte di 81 persone, si è sommata la tragedia civile di uno Stato che non ha potuto né saputo fornirne una spiegazione.

 

Fonte: memoria.san.beniculturali.it/