“La sentenza di secondo grado stupisce e sconcerta non solo gli avvocati perché va contro il senso comune e i fatti già accertati in primo grado e confermato se ce ne fosse stato il bisogno, in secondo grado. Non posso togliermi dalla testa che questa sia una giustizia condizionata dalla esigenza superiore di trovare un capro espiatorio in presenza di tante vittime alle cui famiglie va, ancora una volta, il mio sincero e profondo cordoglio”. E’ quanto afferma l’ex Amministratore Delegato di Autostrade Giovanni Castellucci, dopo la sentenza di oggi in merito alla sentenza sulla strage stradale avvenuta sull’autostrada A16 la sera del 28 luglio 2013, a Monteforte Irpino (Avellino), dove precipitò un autobus dal viadotto Acqualonga provocando quaranta morti. “Una giustizia – dice Castellucci – alimentata da un flusso continuo di falsità e disinformazione. L’AD come responsabile di tutto. Come se i principi dell’affidamento non esistessero. Sono, insieme ai miei legali, fiducioso che la inconsistenza di questa sentenza sia accertata dalla Cassazione. Mi si imputa di non aver sostituito, io che ero AD del Gruppo e non avevo alcuna conoscenza tecnica e responsabilità operativa, la barriera del ponte Acqualonga. Eppure il CDA – osserva – aveva assegnato ai progettisti 138 milioni di euro per sostituire tutte le barriere laterali su 2200 km di tratte sulle quali insisteva il viadotto. Il progettista aveva deciso di non sostituire quella barriera perché ignaro del difetto occulto. E questo l’ha esplicitamente dichiarato in primo grado quando aveva affermato di aver preso autonomamente le sue decisioni su cosa lasciare in opera e cosa invece sostituire senza alcuna limitazione. Tale dichiarazione era stata confermata sia dai progetti depositati che dalle dichiarazioni testimoniali”. Castellucci aggiunge che “quella barriera New Jersey in calcestruzzo era al massimo livello prestazionale di contenimento come confermato dal Perito del Giudice e dal Consulente del PM che ha disposto che potesse restare in sicurezza sull’altra carreggiata e che quella barriera sull’altra carreggiata è ancora in opera a 10 anni dalla tragedia; quel viadotto – aggiunge – era stato oggetto di un intervento complessivo di manutenzione di milioni di euro solo 4 anni prima la tragedia e che non aveva evidenziato il difetto nascosto costituito da una corrosione di alcuni ancoraggi della barriera New Jersey per il ristagno di sale antigelo. Cosa avrebbe dovuto fare un AD – chiede – oltre dare risorse per riqualificare le barriere, riqualifica peraltro non richiesta dalle norme e totalmente volontaria? Sostituirsi al progettista e al committente per andare a verificare lo stato effettivo degli ancoraggi? Aspetto la motivazione della sentenza – conclude – per darmi una risposta che ad oggi è impossibile dare”. (AGI)
COM/ADV