AGI – Kristina Starikova è nata in una famiglia mista, come tantissime giovani donne ucraine in fuga dal conflitto. Sua madre è di Kiev e suo padre russo e lei ha sempre vissuto in Ucraina, ma i suoi genitori ora abitano in Russia. Là i social sono disattivi, le notizie filtrate. Il papà di Kristina è tra coloro che non credono ai bombardamenti sulle città ucraine. La guerra che divide i popoli riesce talvolta a spaccare anche le famiglie.
“La versione raccontata ogni giorno ai russi nel loro Paese è fatta di proclami e immagini di un conflitto attribuito al presidente ucraino Zelensky e basata sulla volontà di Putin di salvare il popolo ucraino da un destino terribile”, spiega Kristina all’AGI.
Quest’idea è accettata da buona parte dei cittadini e difficilmente si riesce a espugnare con una telefonata, anche se dall’altro capo del ricevitore c’è una figlia di vent’anni. Kristina prova a spiegare e raccontare ai genitori ciò che ha sentito e vissuto, prima di lasciare l’Ucraina per il Nord Sardegna, destinazione Alghero (Sassari), assieme a suo marito e alla sua bambina di 7 mesi, ma non è abbastanza.
La salvezza nel progetto Chernobyl
Dall’etaà di sei anni, Kristina ha anche un’altra famiglia, quella di mamma Rita, che in Sardegna aveva aderito al programma di affido del Progetto Chernobyl, ideato per consentire a bimbi dell’area del disastro nucleare di passare qualche settimana lontani dai territori contaminati dalle radiazioni. Ogni estate e durante le vacanze natalizie la piccola ucraina arrivava ad Alghero, assieme all’amica Maryna Danchenko, consuetudine durata fino al 2020 quando è stata interrotta dalla pandemia.
“Mi rendo conto che per mio padre, che non vede ciò che vediamo noi, è difficile da accettare”, lo giustifica Kristina. “Il 24 febbraio alle 4 del mattino abbiamo sentito delle bombe e dalle 5.30 le esplosioni si sono fatte più insistenti. Il nostro villaggio, nella zona di Uman’, si trova a 15 chilometri da un deposito di armi, uno dei primi bersagli della guerra. Uman’ è anche a venti chilometri da un campo di aviazione militare. Non potevo trasferire a mia figlia la mia paura quotidiana”. Dopo l’ennesima chiamata alla famiglia in Russia, senza successo, a Kristina è arrivata una telefonata da Alghero.
“Non perdete tempo, cercate un autobus, vi aspettiamo. Salvate più persone che potete”, l’ha sollecitata Maria Grazia, figlia di Rita, cresciuta come sorella maggiore delle due amiche ucraine.
Quelle 43 chiamate per scampare alle bombe
“Abbiamo atteso qualche giorno, sperando si risolvesse la situazione”, spiega Maryna Danchenko all’AGI. “Poi il 4 mattina, dopo che mia mamma e mia sorella hanno passato l’ennesima notte sveglie, vestite, vicino alla porta di casa pronte a fuggire, ho fatto 43 telefonate per riuscire a prendere la linea e prenotare 7 posti per lasciare l’Ucraina. Non è facile esser pronti a lasciare tutto: affetti, casa, abitudini. Ci vuole coraggio anche per fuggire, non solo per restare. Noi siamo fortunate, perché per me e Kristina è stato un ritorno alla nostra seconda casa”.
L’estenuante viaggio verso la Sardegna
L’autobus da Uman’ al confine con la Polonia è partito l’8 marzo scorso alle 10 del mattino ed è arrivato al confine alle 17 del 9 marzo, dopo trentun ore di viaggio. Kristina e Maryna hanno portato in salvo la piccola di 7 mesi, un’altra bimba di 7 anni, mamma Halla, Hanna di 15 anni e Karina di 18 anni.
“È stato un viaggio faticoso, pieno di sofferenza, per il paesaggio fuori dal finestrino che raccontava la guerra e per la ressa dentro l’autobus”, ricorda Kristina. “Mia figlia ha pianto per l’intero viaggio. Nessun bisogno primario garantito, ci potevamo fermare ogni 5-6 ore e per soli dieci minuti, lungo la carreggiata per non perdere la colonna di auto che scappavano verso il confine”.
I prezzi dei bus raddoppiati
Dall’inizio del conflitto i prezzi degli autobus che vanno e vengono dall’Ucraina sono raddoppiati, ma i mezzi sono sempre pieni di persone in fuga. Gli autisti delle compagnie sono molto rigidi: sono consentite solo una borsa o valigia piccola, quindi tutti si mettono in viaggio con lo stretto necessario. Niente libri, ricordi, foto, solo quel che serve a soddisfare i bisogni primari: bere e vestirsi. In autobus la tensione era palpabile, la maggior parte delle passeggere aveva lasciato un uomo a casa – marito, compagno, figlio, fratello – e le atterrivano le voci secondo cui al confine ci si approfittava, anche fisicamente, delle numerose donne indifese che arrivano. La paura era tanta.
“Il mio fidanzato fa il vigile del fuoco vicino a Kiev e ora la sua squadra verifica la sicurezza degli stabili per evitare crolli dei palazzi ancora abitati”, spiega Maryna, “mentre mio padre nel nostro villaggio si occupa del coprifuoco. Dalle sei di sera alle sei del mattino nessuno può entrare o uscire dal villaggio: garantisce la sicurezza”.
L’autobus era diretto a Varsavia, ma Kristina, Maryna e le altre compagne di viaggio sono scese al confine, dove sono state accompagnate in un centro di accoglienza gestito da volontari: 47 persone alloggiate in due stanze, le brande non erano tutte libere, ma ci si è stretti con la speranza del mezzo che la mattina seguente le avrebbe portate a Milano.
In Italia, all’aeroporto, il gruppo è riuscito a imbarcarsi anche senza passaporto e ad Alghero ha trovato Rita e Maria Grazia ad attenderle.
L’accoglienza ad Alghero
In città le dirigenti scolastiche si sono già attivate per inserire i bambini in arrivo dall’Ucraina e la piccola di 7 anni ha iniziato a frequentare la prima elementare. L’università in Ucraina ha ripreso in Dad, quindi Karina da Alghero prosegue online il suo corso di Management.
A mamma Halla è stato trovato un posto come badante, Kristina potrà dedicarsi in serenità alla figlia di 7 mesi, mentre Maryna darà una mano nell’azienda agricola di Maria Grazia. “Impegnarsi e ritrovare una routine quotidiana aiuta ad allontanare lo stato di ansia continua generato dalle bombe, ed è necessario per tornare a essere delle persone in grado di ricostruire il proprio Paese”, dice Maria Grazia all’AGI. “Le ragazze non mangiavano né dormivano più, completamente immerse nelle notizie del conflitto, pronte a scappare. Loro sono il futuro, se non le si garantisce la tranquillità per riprendersi non saranno in grado di ricostruire l’Ucraina, speriamo al più presto”.
Source: agi