Stati canaglia, un concetto-limite


di Danilo Di Matteo

Guardando al quadro internazionale, a me pare che l’Occidente sia dinanzi a un dilemma: continuare ad avvalersi dell’idea di “Stati-canaglia”, magari estendendola ulteriormente, o provare a ridimensionarla, per farne un concetto-limite?

Finora i fatti indicano che si va perseguendo la prima strada, superando persino l’immaginazione di un pensatore come Carl Schmitt: pur di annientare il nemico-canaglia, si giunge a colpire addirittura quella “Società delle Nazioni” (l’Onu, ai giorni nostri) dalla quale virtualmente dovrebbe scaturire la nozione di “canaglia”. Così è accaduto con l’attacco al contingente Unifil, in Libano.

Temo tuttavia che si tratti di un gioco tragico e pericoloso. Tendendo come un elastico tale nozione, infatti, si rischia di inglobarvi interi popoli e subcontinenti di milioni e miliardi di persone, dall’America latina all’Asia.

Che fare, dunque? Quella di Stato-canaglia non può che rappresentare un’idea-limite, una sorta di eccezione rispetto al libero consesso globale. Un’idea necessaria, ad esempio, rispetto a realtà quali l’Isis.

Per il resto, occorrerebbe far leva sulla diplomazia, sull’azione di leader e soggetti politici anche diversi dagli Stati in quanto tali o dalle alleanze politico-militari, sulle cosiddette autorità morali, su quella diplomazia dei popoli e su quel nuovo internazionalismo, per dirla con Giancarlo Pajetta, evocati e praticati nel dopoguerra, quando pure vigeva un fragilissimo equilibrio del terrore, da leader ed esponenti politici europei quali Willy Brandt, Olof Palme, Enrico Berlinguer.

Senza dimenticare che i confini tra “ragionevolezza” e “irragionevolezza” sono non di rado porosi. Ci si chiede, infatti: è davvero pensabile il rispetto del “pluralismo” nell’agone mondiale se alcune realtà statuali o politiche si prefiggono di distruggerne altre? Era questa, del resto, l’accusa rivolta per decenni da Tel Aviv all’Olp di Yasser Arafat. Eppure quell’organizzazione approdava, pur con mille contraddizioni interne, ad accettare l’esistenza di Israele, giungendo a un passo dall’accordo. Detto altrimenti: non sempre, non necessariamente chi nasce “terrorista” muore tale. Da qui la mutevolezza dei confini tra Stati e soggetti politici “ragionevoli” e “irragionevoli”. Su ciò dovrebbe far leva la politica, limitando il più possibile il ricorso alle armi.