Spazio: corpi celesti bene comune? Risposta è in diritto romano


È uno scenario di lungo periodo ma è uno scenario concreto. La nuova corsa alla Luna ha un obiettivo molto preciso: porre le basi per lo sfruttamento delle risorse minerarie del nostro satellite. Il trattato siglato nel 1979 ed entrato in vigore nel 1984 deve essere aggiornato con urgenza. L’appartenenza dello spazio esterno e delle sue risorse a tutta l’umanità e la definizione dei corpi celesti come bene comune dovrebbero comunque restare principi chiave. Principi che affondano le loro radici nel diritto romano, ha spiegato il professor Marco Falcon dell’Università di Padova durante il convegno “Comparative Visions in Space Law” tenutosi all’Università Roma Tre l’8 e il 9 febbraio.
“I romani ovviamente non avevano una legge sullo spazio ma, in retrospettiva, il Trattato sullo Spazio Esterno del 1967 è basato su principi che risalgono al diritto romano, che resta una fonte fondamentale di principi giuridici tradizionali”, spiega Falcon, “è da li che vengono espressioni come usque at sidera e le categorie romane della proprietà”. In proposito ci viene in soccorso l’antico giurista Marciano, il quale stabilisce che “alcune cose (res communes omnium) sono comuni a tutti secondo la legge naturale, alcune (res nullius) non appartengono a nessuno e la maggior parte a individui che le hanno rispettivamente acquisite in maniere differenti”. Il riferimento principale è lo ius maris, caso di scuola di res communes omnium che Falcon vede evocato nel film del 2019 “Ad Astra”, interpretato da Brad Pitt: “Se un pescatore costruisce una baracca sulla spiaggia, ne è il proprietario, se la baracca viene distrutta dalla tempesta quel territorio torna bene comune”. Papiniano puntualizza che il trascorrere del tempo non concede diritti di proprietà esclusivi sull’arenile. E “di quel che viene offerto dalla natura sulla costa”, scrive Florentino, “ci si può appropriare liberamente”.
Falcon ricorda come nell’Outer Space Treaty siano molteplici i richiami al diritto romano. Nell’articolo 1 viene stabilita la libertà di esplorazione e accesso, nel 2 viene proibito ad attori statali di rivendicare sovranità sullo spazio esterno e i corpi celesti, nel 3 viene enunciata la libertà di attività umane sulla Luna o altri corpi celesti, nel 4 è permesso l’utilizzo di qualsiasi attrezzatura sia diretta all’esplorazione pacifica dello spazio. Il problema è stabilire il discrimine tra res communes omnium, che non possono essere possedute da tutti ma possono essere possedute in parte, e res nullius, delle quali chiunque può prendere possesso senza ulteriori discussioni. “È un concetto legale viscoso, la possibilità di una semplice appropriazione dei beni presenti nello spazio aperto porta alla legge del più forte”, avverte l’accademico, “l’attuale regime giuridico non soddisfa le esigenze di uno sfruttamento di eventuali terre rare, magari fondamentali per la produzione di semiconduttori e batterie”. “Ci saranno dispute”, è la previsione di Falcon, “può tornare utile il principio del diritto romano che proibisce il pieno sfruttamento delle cose comuni”. (AGI)

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