Sparita dall’agenda politica la questione meridionale


Il Paese tutto è in grande difficoltà per la prolungata e difficilissima crisi che si protrae dal 2008 ad oggi, accentuata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. Soffre l’opulento Nord, ma molto di più il Sud. Un divario tra i due territori mai colmato, anzi col tempo si accentuato

di Redazione

Un posto da ministro a te ed uno a me, un sottosegretario a te e uno a me, una poltrona per te e una per me”. “E chi fa il premier? Tu no! Lui nemmeno, io che sono alto bello e biondo”.

Nel teatrino della politica i leader politici sono super impegnati nella spartizione del potere. Sono tanto concentrati sulle alleanze e seggi sicuri che si sono dimenticati della ‘questione meridionale’. Non c’è programma politico per le imminenti elezioni nazionali che ne parli.

L’espressione «questione meridionale» indica l’insieme dei problemi posti dall’esistenza nel Mezzogiorno d’Italia dal 1861 sino a oggi di un più basso livello di sviluppo economico, di un diverso e più arretrato sistema di relazioni sociali, di un più debole svolgimento di molti e importanti aspetti della vita civile rispetto alle regioni centrosettentrionali (fonte Treccani).

Il Paese tutto è in grande difficoltà per la prolungata e difficilissima crisi che si protrae dal 2008 ad oggi, accentuata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. Soffre l’opulento Nord, ma molto di più il Sud. Un divario tra i due territori mai colmato, anzi col tempo si accentuato.

Non solo colpevolmente la politica tende a non parlarne più, soprattutto la rappresentanza parlamentare eletta in questi territori; quella che spesso si proclama o si autoproclama meridionalista o autonoma, che per quieto vivere e per salvare la poltrona diventa romanocentrica.

Il Mezzogiorno è sempre stato il grande tema dell’Italia. Se ne sono occupati in tanti, sin dai tempi remoti, come attestano del resto le numerose analisi formulate da storici, intellettuali, giornalisti, politici. Politici di ieri, a differenza di quelli di oggi, muniti di una levatura morale e di pensiero altissima e non ragionieristica. Tra questi don Luigi Sturzo. Sturzo era consapevole della necessità di inserire la questione meridionale nel contesto unitario della nazione, avverso al “centralismo burocratico” dello Stato unitario, egli auspica uno Stato delle autonomie ovvero in un regionalismo federale. Il meridionalismo di Sturzo si tramuta in decentramento dello Stato, trasformandolo in un regionalismo territoriale. La forzata unificazione nazionale ha creato il presupposto, secondo il pensiero sturziano, per il mancato sviluppo del Mezzogiorno non solo dal punto di vista economico e politico, ma perfino sul piano culturale e sociale.

Basta far parlare i numeri (impietosi). Nel Sud e nelle Isole, in atto, è localizzato il 73% delle opere incompiute. In Sicilia ce ne sono 138, pari al 38% del totale del Paese. I porti meridionali sono 7 su 34 e solo il 21% è collegato alle infrastrutture ferroviarie. Al Nord il dato sale al 71%. Gli interporti sono 5, a fronte dei 16 dislocati nelle regioni settentrionali. Al Sud è presente solo il 24% delle linee ferroviarie a doppio binario e solo il 27% del totale è elettrificato. Circa 2/3 della rete autostradale è al Nord e lo stesso vale per le strade statali e per molte altre infrastrutture, scuole incluse.

Non scopriamo l’acqua calda ma il Mezzogiorno necessiterebbe di una politica complessiva ben inquadrata nel percorso nazionale, ma anche di un’attenta declinazione rispetto alle sue specificità territoriali. Ciò veniva messo in evidenza con chiarezza già nel 1962 da Ugo La Malfa che, come ministro del Bilancio, presentò alla Camera la sua Nota aggiuntiva, sostenendo l’esigenza di un’accentuazione della considerazione delle specificità regionali della politica di intervento nell’area, pur da inquadrare in una visione globale: «Appare […] necessario individuare e attuare su scala regionale indirizzi e interventi che risultino attenti alle varietà delle soluzioni locali e che siano d’altra parte conformi agli obiettivi della programmazione nazionale»

Il PNRR poteva essere un’opportunità, ma purtroppo è stata sprecata e il settentrione ha fatto la parte del leone. Le somme stanziate originariamente avrebbero dovuto essere il 40% del totale, dei circa 82 miliardi, ad oggi ne sono arrivati solo 22 miliardi, perché le risorse del Dispositivo di Ripresa e Resilienza non si sono tradotte direttamente in investimenti pubblici e si sono dispersi in bonus, incentivi, mance alle imprese e tanto altro ancora. Resta, poi, aperta la questione dei bandi. Anche per l’assegnazione dei fondi per investimenti varrà il criterio della concorrenza e della competizione. Nord superattrezzato a reggere la macchina burocratica e il Sud emarginato, con tanti, troppi comuni in dissesto o predissesto, pronto a chiedere l’elemosina, resta emarginato, senza tener conto che le materie prime, semilavorati, attrezzature, dispositivi vari provengono tutte da ditte del Nord.

In conclusione, non c’è tempo per pensare o ripensare alla ‘questione meridionale’, sono altre le priorità per i futuri candidati a cui pensare, prima di tutto come salvare la poltrona.

Non resta che augurare ai cittadini/elettori del meridione ‘buon voto’ il 25 settembre.