Il campione altoatesino regola Dimitrov in due set e sale al secondo posto nella classifica Atp. Un anno fa era all’undicesimo. Nessuno come lui impara dagli errori e migliora partita dopo partita. Un talento da Re del tennis. Il trono è a un passo, forse meno
AGI – Difficile ancora dire quale posto avrà nella storia del tennis Jannik Sinner da San Candido, Alta Pusteria, che oggi – dopo una finale lampo vinta a Miami contro Igor Dimitrov – diventa numero 2 della classifica mondiale (un anno fa, dopo la finale persa qui contro il russo Medvedv, era numero 11). Se già sarà Re del circuito nel 2024, magari dopo Parigi o Wimbledon, o se bisognerà aspettare qualche mese in più. Di certo, sappiamo che l’ascesa al trono avverrà presto, perché nessuno come lui ha dimostrato nell’era post Fab Four una simile capacità di miglioramento, tecnico e di approccio mentale alle partite.
Due settimane fa, dopo essere uscito in semifinale a Indian Wells, sconfitto da Carlos Alcaraz, disse che quella partita aveva mostrato a lui e al suo team quale fosse il terreno sul quale lavorare nel prossimo futuro: l’imprevedibilità del proprio gioco, fatto da sempre di un palleggio asfissiante da fondo campo, rare discese a rete, qualche smorzata col dritto. Detto, fatto. Quindici giorni di allenamenti ed ecco comparire due piccole ma fondamentali novità: un uso sistematico del contropiede sul lato forte dell’avversario, palle di alleggerimento non rischiose con tanto spin per allontanare l’avversario dal campo e cambiare ritmo allo scambio.
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Nell’ultimo anno Sinner aveva già sistemato il servizio, che oggi frutta una decina di ace a partita, e la muscolatura delle gambe e della schiena, ora finalmente robuste e resistenti anche sulle lunghe distanze (i ritiri per vesciche o sciatalgie sembrano lontani ricordi). Miglioramenti valutati a tavolino con Simone Vagnozzi e Daren Cahill e realizzati in allenamento, anche a costo di saltare qualche torneo (quest’anno niente Marsiglia e niente Dubai). Risultato: cinque vittorie consecutive contro Medvedev che lo aveva battuto nei primi 6 scontri diretti. Sinner è diventato in 12 mesi la bestia nera della sua bestia nera.
“I successi di Sinner hanno la loro radice in due atteggiamenti cui Jannik si attiene fuori dal campo: il continuo dotarsi di nuove armi anche e soprattutto tattiche e la capacità di elaborare i passi falsi nel minor tempo possibile”, spiega Piero Valesio, autore insieme a Daniele Azzolini di ‘Rivoluzione Sinner’ (Absolutely Free Libri), già al secondo libro sul campione altoatesino.
“Quasi non c’è match in cui l’azzurro non pone in essere soluzioni nuove o comunque adatte a quella particolare circostanza – conferma Valesio, già direttore di Super Tennis tv – basti pensare alla posizione di gioco costantemente sulla linea di fondo e al continuo ricorso al contropiede visto contro Medvedev o allo slice di rovescio (che non gli apparteneva) osservato in Australia. E quando perde, come nella finale di Indian Wells contro Alcaraz, Jannik non ci si sofferma più di tanto: lo considera un inevitabile episodio di passaggio e un’occasione di miglioramento. Quando poi, come dopo il ko contro Zverev allo Us Open dell’anno scorso, incappa in un ko particolarmente doloroso Jannik esce di scena. Prende il tempo necessario per eliminare le scorie negative e ripartire con più forza. Fattori banali? Decisamente no: perché oltre al movimento dei piedi, alle capacità oculari e alla impostazione tecnica ineccepibile il segreto di Jannik sta nella testa. E quando si ha una testa vincente, si vince”.
Aggiungiamo una caratteristica fondamentale che hanno tutti i numeri uno di questo sport: la freddezza e la lucidità durante i punti decisivi di un match, che non solo gli ultimi, ma anche e soprattutto quelli che possono far girare un set: le palle break, i punti nei tie-break, i vantaggi nei giochi molto lunghi. Punti dove il cuore batte forte e il braccio può improvvisamente rammollirsi. Sinner ha in questi frangenti la stessa supremazia di spirito dei Grandissimi, i Nadal, i Djokovic, i Federer. Oggi nessuno come lui sa imparare velocemente dagli errori, riparando al volo le falle nel suo gioco e presentarsi alla partita successiva ancora più forte. Nessuno come lui sa trovare la migliore concentrazione durante i punti decisivi di un match. Tecnica e ‘mano’ evolvono a ogni match, quasi a ogni 15. Il trono di Re del tennis è a un passo, forse meno.