Siamo realisti: salviamo il mondo


 

di Antonello Longo
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La sinistra italiana, non diversamente da quella europea, da tempo ormai, non riesce a comunicare, con linguaggio comprensibile per tutti, una sua visione strategica del cambiamento, un modello alternativo di società.
Eppure non manca la materia per costruire un modello di ristrutturazione della società nel segno della sostenibilità sia ambientale che sociale. Quattro elementi, a mio avviso, si pongono al centro dell’attenzione: Ambiente, Lavoro, Sud, Costituzione. Per quanto tali questioni siano grandi e complesse vanno affrontate, “prese di petto”, come si dice, con urgenza.
Soffermandoci sul primo elemento, i cambiamenti climatici e la crisi ecologica del pianeta sono sotto i nostri occhi (qualcuno, poi, che rifiuta l’evidenza si trova sempre. E mi sembra come quei fanatici negazionisti della storia che negano l’Olocausto).
È lampante che la deriva ordo-liberista del capitalismo negli ultimi decenni (forse il capitalismo in sé, ma questo è un discorso più ampio), è stata incompatibile con il rispetto e la salvaguardia degli equilibri della natura. Delle “generazioni successive” non interessa a nessuno, il sistema dominante pensa solo al profitto e punta su una visione tanto disuguale quanto ipertrofica e distorta della crescita economica, che inquina l’aria, l’acqua e il cibo e minaccia, in barba ai timidi accordi internazionali, che pure si ripetono, di operare una distruzione sistematica dell’ambiente, fino a mettere a rischio la stessa sussistenza del genere umano, avendone già compromesso la salute e il benessere psicofisico.
Siamo ora vicini al punto di non ritorno, è dunque bisogna invertire, subito, la rotta. Una nuova scala di priorità deve modulare lo sviluppo economico per rispondere non all’accumulo di capitale ma ai veri bisogni sociali, che non sono quelli indotti dal consumismo.
In Europa, la prospettiva di uscire dal distruttivo impatto della pandemia di Covid 19 è affidata oggi alla massa di investimenti, finanziati indebitando la stessa UE sui mercati finanziari, del Next Generation Eu, di cui buona parte è destinata alla transizione ecologica.
Ma non basta una green economy capitalista, è drammaticamente urgente riconvertire, innovandolo con gli strumenti dell’economia della conoscenza, il sistema della produzione industriale in senso ecologico, rinunciando drasticamente e definitivamente alla dipendenza dalle fonti energetiche fossili a favore di quelle rinnovabili (delle quali, pure, va tenuto sotto controllo l’impatto ambientale).
L’enorme accumulo di capitale a vantaggio del solo sistema finanziario ed industriale mette in condizione di affrontare i costi di una riconversione radicale senza farli ricadere sulla massa delle popolazioni come, invece, si è fatto per la crisi economica. Stiamo attenti, la crisi ecologica e forse anche quella sanitaria sono il naturale sviluppo della crisi economica, cioè della crisi non dei gradi capitalisti, che continuano a ingrassarsi, ma del capitalismo nella sua fase “estrattiva”, cioè che trae profitto dai beni comuni, che sono di tutti, senza fare ricadere alcun vantaggio sulla società.
Per ottenere questi effetti sui territori, naturalmente, occorre che vi sia la sovranità dello Stato.
In Italia, per avviare una crescita della ricchezza collettiva di lungo periodo il Pnrr non basta (come spiega Renato Costanzo Gatti in altra parte del giornale), occorre una programmazione democratica basata sull’innovazione, sulla promozione degli equilibri sociali come sulla conservazione della salubrità degli ecosistemi. Aspettare che siano le forze del capitale ad innestare questo processo, ognuno può capire, è come affidare alla volpe il controllo del pollaio.
D’altro lato occorre estendere il movimento che indica questa direzione su scala globale.
Un certo Karl Marx disse, in tempi non sospetti (nel terzo libro de “Il Capitale”, pubblicato postumo da Engels nel 1894), che “un’intera società, una nazione e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della Terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata alle generazioni successive”.