SETTEMBRE E IL CAMBIO D’ABITO


di Mario Monti

Da domani la politica italiana entra nella fase penosa delle decisioni sulla finanza pubblica. Come ricondurre le costose promesse fatte a dritta e a manca entro il limite del disavanzo pubblico, comunque enorme non dimentichiamolo, che il governo si impegnerà con l’europa a non superare? L’impegno verrà assunto sia nell’ambito della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo sia nel programma strutturale di bilancio. «Siamo alle solite», si dirà, «lacrime e sangue in Italia, perché ce lo chiede l’europa». Ma perché non diamo una lettura differente e anche più in linea con il nuovo orgoglio nazionale che questo governo vuole incoraggiare? Così facendo, tra l’altro, si darebbe a tale sentimento uno sbocco costruttivo e non patetico, come a volte accade, con piccole ripicche da «Nazione» che non si sente abbastanza «rispettata» e allora esige pubblicamente di esserlo. Perché non diciamo, da oggi, che è un nostro «vincolo interno», un nostro vincolo di dignità, e non un «vincolo esterno», come in modo vittimista lamentiamo da decenni, la nostra autonoma volontà di gestire in modo moderno, anche keynesiano quando occorre, la nostra politica economica. Ma che certi eccessi di disavanzo e di debito, lo vediamo da noi, sono «pezze sul sedere» che purtroppo nell’immaginario internazionale, sono parte intrinseca dell’abito con cui ci presentiamo, per quanto iconico sia lo stilista italiano che l’ha disegnato.
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SEGUE DALLA PRIMA acrime e sangue? Certo, per i partiti della maggioranza e in parte anche dell’opposizione che hanno patrocinato quelle promesse ci potranno essere lacrime, se non sangue, per il timore di perdite di consenso. Ma per il Paese e per i cittadini in generale, soprattutto per i molti che sperano in una politica più seria anche se dovesse costare loro il venir meno di qualche mancetta, si tratterà di un colpo di serio realismo assestato alla politica delle illusioni. Quella politica che nei decenni ha ostacolato la crescita dell’economia italiana, ha gonfiato la zavorra di debito che graverà su ogni futuro italiano, ha eroso pericolosamente la fiducia dei cittadini nella stessa politica.
Forse con un po’ di ottimismo della volontà, ho trovato nelle più recenti dichiarazioni dei nostri leader politici i segni di una presa di coscienza che — se sostenuta dall’opinione pubblica e dalla stampa — potrebbe germogliare
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La nostra immagine Certi eccessi di disavanzo e di debito, lo vediamo da noi, sono parte dell’abito con cui ci presentiamo in una visione più moderna.
La premier Giorgia Meloni, in apertura del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, ha così ammonito i ministri: «La stagione dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus è finita e non tornerà fin quando ci saremo noi al governo». Se la presidente del Consiglio si atterrà a questa linea da lei dettata, sarà questa la migliore àncora per la disciplina di bilancio.
Sulla medesima posizione, e in più con tutte le leve in mano per attuarla, è il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti. In una coalizione di governo abbastanza rissosa, è notevole e va tutelata questa comunanza di alta politica. Tanto più che il capo della Lega, cui appartiene Giorgetti, è nel governo e forse nel Paese il campione dell’irresponsabilità, in particolare ma non solo finanziaria. I danni di questa incomoda situazione per Giorgetti sono però sempre minori, in quanto le mirabolanti promesse o minacce di Salvini, pur nuocendo molto al Paese in termini di diseducazione civica, restano di solito lettera morta e hanno grandemente ridotto, forse a sua insaputa, la credibilità del leader della Lega.
Se Giorgetti, malgrado Salvini, è una grande garanzia per il governo e per il Paese, dovrebbe però stare attento, a mio parere, a non scivolare a volte verso un disfattismo bonario e sincero, rilevando ad esempio la improbabile realizzazione di certi obiettivi o prendendo le distanze, come sottolineava Ferruccio de Bortoli su queste colonne, da regole europee delle quali è stato negoziatore e cofirmatario. In sé, il farlo equivale ad un’ammissione di sconfitta politica.
Quanto al capo di Forza Italia Antonio Tajani, la cui statura è visibilmente cresciuta anche per la coerenza, è lecito attendersi da lui, membro autorevole del Ppe, un forte appoggio a politiche di bilancio che rendano «adulta» l’italia nel concerto europeo.
Insomma, questo settembre sarà difficile. Ma potrebbe anche segnare l’inizio di una svolta importante. Una svolta verso la fine della politica di bilancio all’insegna fallace de «il pasto gratis» che, come documenta con chiarezza Veronica De Romanis nel libro così intitolato, ha caratterizzato tutti i governi italiani dal 2014 in poi, senza nessuna eccezione.
Se questo avverrà, si dovrà necessariamente dismettere lo «sguardo corto della politica», come giustamente auspicava il direttore Luciano Fontana nei giorni scorsi.

Fonte: Corriere