“Sessant'anni fa, io, Nicola Pietrangeli, vincevo il mio primo Roland Garros"


Il 30 maggio di sessant’anni fa, Nicola Pietrangeli conquistava il primo titolo dello Slam del tennis italiano, battendo il sudafricano Ian Vermaak nella finale del Roland Garros.

Che cosa ricorda di quell’impresa?

“Poco, Vermaak non era un campione, non so nemmeno come fece ad arrivare così lontano. E io ero il numero 3 del tabellone, come la mia classifica che, all’epoca, si creava facendo la media fra le due principali superfici, terra e veloce. Io ero il primo sulla terra rossa. E lo rimasi per qualche anno”.

In semifinale, però, aveva battuto Neale Fraser, il numero 1 del mondo, campione di tre Slam.

“Lo battevo sempre, o quasi, contro gli australiani mi trovavo bene. Il mio gioco gli dava fastidio”.

Che stile di gioco aveva Nicola Pietrangeli?

“Un po’ alla Ivan Lendl, non certo come potenza, ma come saper essere attendista. Il mio colpo forte era il rovescio a una mano e poi la smorzata: loro attaccavano e io li passavo. Come varietà, perdonatemi l’immodestia, mi vedo come il Federer della mia epoca”.

Quel tennis dei gesti bianchi era tanto più facile di quello di adesso?

“Era un’altra cosa, che non può assolutamente essere sminuita, era il tennis che si giocava allora. Con delle racchette con le quali dovevi per forza saper giocare a tennis, mentre oggi puoi anche essere soltanto un grande atleta, e così arrivi su certe palle sulle quali noi non saremmo arrivati”.

Pietrangeli non solo vinse nel ’59, rivinse nel ’60 e arrivò in finale nel ’61 e nel ’64.

“Infatti, l’anno dopo mi arrabbiai anche perché mi avevano dato la testa di serie numero 6… Quelle due finali hanno un grande significato, non conta solo chi vince, anche perché io non persi contro un signor nessuno, ma contro Manolo Santana, in cinque e in quattro set”.

Santana che oggi è il suo miglior amico.

“Chissà perché, non lo neanch’io: forse perché, quando smise Orlando (Sirola), frequentai sempre più spagnoli e messicani… E adesso sua moglie mi tempesta di foto, tutti i giorni. Lo vedo lunedì, nella seconda settimana del Roland Garros. Ora, sto un po’ meglio…”.

Infatti, l’abbiamo vista un po’ claudicante, a Roma.

“Un mesetto fa, sono caduto dal letto, mentre dormivo ed ero pure da solo, e mi sono incrinato due costole. Un dolore atroce”.

A proposito degli Internazionali d’Italia, li ha vinti nel’57 e nel ’61 ed è andato in finale nel ‘58 e nel ‘66.

“Madonna santa, meglio non pensarci a questi anniversari. Sennò ci dobbiamo buttare direttamente a fiume. Quante cose ho fatto per primo! La gente le ricorda solo quando gli fa comodo, e cancella tutto nel nome dell’era moderna. Ma ogni epoca ha il suo campione e deve restare così. Non si possono dimenticare i risultati, sennò i vecchi si incazzano…”.

Lei non ha vinto solo Parigi e Roma.

“Ho giocato 7 finali Slam, fra singolare e doppio. E se parliamo di Davis, dei record – 164 incontri e 120 vittorie -, con le prime finali del ’60 e ’61 dell’Italia ad interrompere quelle consecutive Usa-Australia (16!), non posso parlare con nessuno…”.

Torniamo ai maestri australiani e ai mancini, Fraser e Rod Laver. Due rivali diretti di Pietrangeli.

“Io mi trovavo bene, ma soprattutto loro si trovavano male con me perché mi dovevano attaccare sul mio rovescio. Io non voglio essere immodesto, ma nel 1960, quando persi al quinto set contro Laver nelle semifinali di Wimbledon, ero il più forte di tutti. Ricordo che venne da me negli spogliatoi Neale e mi disse: “Nicola, non t’arrabbiare, ma devo ringraziarti perché mi hai fatto vincere il torneo”. Infatti, se io avessi battuto Rod poi avrei battuto anche lui, mentre così sapeva di poter battere Rocket. Fece subito dopo il bis a Forrest Hills, dove allora si tenevano gli Us Open, ma quando andammo a White City, a Sydney, per la Davis e me lo ritrovai di fronte, vinsi io…”.

Ha battuto anche Laver, in una memorabile finale degli Internazionali d’Italia del 1961, a Torino.

“Persi il primo, lunghissimo set (6-8), ma lo stancai, gli palleggiavo profondo e mi facevo attaccare sempre da molto lontano, costringendolo a prendersi grandi rischi. E poi lo passavo. Vinsi  facili i tre set successivi (6-1 6-1 6-2)”.

Laver è stato il più forte di sempre?

“Non si può sapere, era bello vederlo giocare e non aveva debolezze. Su una partita secca, secondo me, il più forte è stato Lew Hoad”.

Che farebbero quegli eroi, compreso Pietrangeli, con la racchetta di oggi?

“Il gioco è cambiato talmente tanto… Forse la differenza maggiore esiste con le donne: se gli uomini tirano a + 1000 rispetto ad allora, le donne tirano a + 6000. Intanto, si sono fatti progressi enormi come preparazione atletica e poi la racchetta è proprio un’altra cosa rispetto ai miei tempi. Un po’ come l’asta di bambù che ha rivoluzionato tutto, raddoppiando le misure delle prestazioni e facendo ricco Bubka che faceva un mondiale dietro l’altro, centimetro dopo centimetro.

Ma vogliamo parlare di Owens che correva con le scarpe da pallone sulla sabbia o di Fangio che andava sempre a 200 all’ora? Non puoi cancellarli solo perché oggi se non vai a 400 all’ora non puoi salire su una Formula 1. Bisogna sapere la storia, non perché qualcuno te la racconta, ma per averla guardata. Sennò come fai a parlare di fascismo e comunismo, di Stalin e di Hitler”.

Ai suoi tempi si giocava prevalentemente servizio-volée, oggi il tennis si gioca da fondocampo.

“E tirano anche tutti il servizio a 1000 all’ora e la risposta a 1200, anche nel doppio misto, anche l’uomo contro la donna, e quella risponde senza fare una piega… Certo che è tutto diverso: poverini, li capisco anche, come fai ad andare a rete se ti arriva un passate magari “sbirulo” a quella velocità? Come pazzi la volée? E’ difficile”.

Questo tennis l’annoia?

“Senza offesa per nessuno, senza generalizzare, perché ci sono anche partite divertenti, ma sì, mi annoia. Quando vado al Roland Garros, pranziamo con i vecchi amici e ci alziamo da tavola talmente tardi che non lo voglio nemmeno dire. Ma vi rendete conto che una volta c’era Rosewall che faceva impazzire tutti, piccolo com’era con quel suo rovescio magico, le smorzate sull’erba? Da solo con due colpi ripagava del prezzo del biglietto”.

Però la smorzata è tornata di moda sula terra rossa, ha notato?

“Finalmente, o si sono svegliati i coach o si sono svegliati i giocatori. Ma quando l’avversario è sul fondo, a otto chilometri, è la soluzione ideale…”.

Tante volte basta anche solo una palletta.

“Infatti, basta appoggiare la palla e spingerla di là del net, che l’avversario non ci arriva. Soprattutto, bisogna farlo pensare, fargli venire il dubbio: E adesso questo che fa?”.

Al nostro Fognini che suggerirebbe?

“Gli ho sempre detto: “Non mi sono mai permesso di dirti nulla, né di tecnica né di altro, ma mi sento di dirti una piccola cosa: ricordati il contropiede…”.

Buon avversario, Nick.

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Fonte: sport agi