di Giovanni Cominelli
La notte di Amsterdam, gli episodi di violenza contro i tifosi israeliani e il ritorno dell’antisemitismo. Il valore della memoria e del rispetto delle regole contro le violenze di minoranze organizzate, per favorire una reale integrazione
A sinistra più d’uno ha negato la qualifica di “pogrom” alla “notte di Amsterdam”, nel corso della quale, dopo una partita di calcio, i tifosi israeliani sono stati inseguiti, accoltellati, investiti, buttati nel canale, costretti a inginocchiarsi davanti ai loro aguzzini e a chiedere pietà per i figli piccoli o a negare di essere ebrei…
Si tratterebbe di una classica rissa di tifoserie, accesa per di più dagli slogan provocatori dei tifosi del Maccabi contro i Palestinesi. Anzi: sarebbe tutta un’invenzione della destra. In effetti, se paragonata ai “pogrom” storici, la notte di Amsterdam non è alla loro “altezza”.
Gli agguati sono pre-organizzati
È un pogrom fallito. Ma è stato certamente voluto e tentato. Così dicono le notizie e le inchieste olandesi: gli agguati sono stati pre-organizzati da una rete di taxisti e di gruppi di immigrati pro-pal, protetta da poliziotti di origine islamica.
Il Re d’Olanda ha ammesso, a nome del Paese, le inefficienze dello Stato e l’incapacità di proteggere gli Ebrei proprio ad Amsterdam, città fortemente segnata dall’Olocausto. Certo, non ci sono stati morti, solo alcuni feriti gravi.
Nulla di paragonabile alla tedesca “Notte dei cristalli” del 9 e 10 novembre 1938. Vero, nulla di paragonabile: ma se la quantità di violenza è molto minore, il segno ideologico della violenza è esattamente lo stesso.
Mai più? Il valore della memoria
Negli ultimi decenni, quando veniva a galla l’orrore consumato ad Auschwitz-Birkenau e in tutti gli altri lager, abbiamo sentito e ripetuto il proclama: “Mai più!”. La Shoah è venuta a galla lentamente nella coscienza dei popoli e delle classi dirigenti europee, è passata nei libri di storia.
In Italia è stato istituito con la Legge n. 211 del 20 luglio 2000 il “Giorno della Memoria”. L’Italia ha anticipato l’ONU, che ha proclamato il 27 Gennaio “Giorno della Memoria” con la Risoluzione 60/7 del 1° novembre del 2005.
Eppure il ritorno di antisemitismo in Europa, in America e in Russia, fino alla clamorosa notte di pogrom di Amsterdam, ci pone davanti al fatto che quella “Memoria” ha sì raggiunto i vertici delle istituzioni pubbliche, ma pare stia sbiadendo nella società civile, particolarmente tra le giovani generazioni.
La notte di Amsterdam rappresenta un salto della violenza antisemita in Europa, perché si tratta di agguati organizzati, di massa, con l’appoggio di quinte colonne all’interno delle istituzioni pubbliche.
Le metamorfosi dell’antisemitismo
Essenza dell’antisemitismo di ogni tempo è sempre stata l’accusa mossa agli Ebrei di essere estranei alla civiltà cristiana prima e poi a quella che oggi chiamiamo civiltà occidentale. “L’Ebreo errante” è uno che non ha patria, perché non ne ha diritto né a Occidente né a Oriente.
Alla costruzione di questo mito negativo hanno portato il proprio mattone lungo i secoli i Papi, i vescovi, Lutero, Hume, Voltaire, Kant, Fichte, Marx, Heidegger…, solo per citare alcuni. Anche se, osservato per inciso, ciò che hanno scritto sugli Ebrei non è ragione sufficiente per toglierli dalle biblioteche, come pure hanno richiesto i movimenti woke e politically correct in numerose università anglosassoni.
L’antisemitismo delle piazze europee e della notte di Amsterdam non c’entra più nulla con l’antisemitismo storico e neppure con quello di Mein Kampf. In effetti, gli Ebrei non possono essere incolpati della crisi Lehman-Brothers del 2007-08 come invece lo furono per la crisi del 1929.
D’altronde, molti partecipanti alle manifestazioni Pro-Pal in Europa e in tutte le piazze dell’Occidente bianco non hanno la più vaga idea della storia secolare dell’antisemitismo e neppure di come si sia svolta quella del ‘900. Intervistati, dichiarano che loro non c’entrano nulla con l’antisemitismo.
Contro gli Ebrei, contro l’Occidente
Il loro antisemitismo/antisionismo/anti-israelismo respinge l’Ebreo che abiti in Israele e che sia comunque collegato a Israele, non perché estraneo all’Occidente, ma, al contrario, perché rappresenta e condensa i valori dell’Occidente.
Quale Occidente? La piattaforma comune, che tiene insieme giovani immigrati, sinistra radicale autoctona – che a Milano ha applaudito gli “eroi di Amsterdam” che hanno dato la caccia all’Ebreo – persino femministe e LGBTQ+ é l’idea che lo Stato di Israele sia l’avanguardia in Medioriente del colonialismo, del capitalismo imperialista, del razzismo, dell’apartheid.
Il “genocidio palestinese” ne sarebbe il corollario. Il mondo arabo-sunnita ha vissuto la costruzione statale di Israele come illegale, nonostante la concertazione internazionale che sta alla base di ogni Stato. La teocrazia sciita predica dal 1979 la distruzione dello Stato d’Israele.
L’Occidente è accusato di aver “fondato” Israele al fine di perpetuare l’oppressione coloniale. Se l’Occidente, dicono, si è macchiato di colpe orribili contro il popolo ebraico, perché scaricarsi la coscienza ai danni degli Arabi?
La narrazione della storia di Israele
Questa narrazione ha generato delle conseguenze: sunniti e sciiti hanno armato eserciti e tentato ripetutamente di distruggere lo Stato di Israele. L’Iran continua su quella linea, poiché a questa è agganciata la legittimazione del regime. Dunque, ci troviamo di fronte ad una lotta mortale.
Questa è la verità dei fatti. Nell’ideologia sciita in questione non è solo Israele: è l’intero Occidente, il Grande Satana.
Così, avanguardia della lotta anti-imperialista, anticapitalista, antirazzista, antifascista è sempre meno la sinistra movimentista e radical-woke dei Paesi occidentali, ma sono sempre più i giovani immigrati delle periferie urbane delle città europee, che per un verso usufruiscono di tutte le commodities istituzionali – le libertà – e sociali delle democrazie europee, ma per l’altro respingono la tavola dei valori che le fondano, a partire dalla dignità della persona-donna, a partire dal primato della legge dello Stato rispetto alla legge della sharia, a partire dall’universalismo dei diritti e dei doveri.
L’integrazione sta fallendo?
Ciò pone alle nostre comunità urbane, alla nostra società e allo Stato un paio di questioni urgenti. La prima: come trasmettere alle giovani generazioni, immigrate e autoctone, la tavola dei valori fondanti della nostra Costituzione.
La seconda: come difendere le nostre strade, le nostre piazze, le nostre scuole, le nostre università dalla violenza di minoranze organizzate. Cruciali restano le politiche di integrazione: lavoro, casa, istruzione.
Una strada in salita, perché molto spesso le famiglie immigrate di religione islamica rifiutano i valori dell’Occidente, mentre i loro figli oscillano tra la famiglia che resiste all’integrazione culturale e l’attrazione accogliente delle comunità esterne: scuole, oratori, società sportive…
Il risentimento diventa motore della ribellione
Ed é qui che stiamo fallendo. La maggioranza dei “dispersi” scolastici è dei giovani immigrati. Le carceri sono piene di immigrati. Il risentimento diventa così il motore della ribellione e della rivolta contro valori e istituzioni democratici.
La società civile si sta muovendo. Il governo e lo Stato no. Stanno in difesa dall’”invasione”, che continua ad arrivare in maniera disordinata. Li teniamo un po’ nei Centri, poi li buttiamo “fuori”, per strada, in preda al degrado sociale, alla delinquenza.
E opponiamo resistenze ideologiche e burocratiche all’integrazione istituzionale di quelli già socialmente integrati, quelli che hanno famiglia, figli a scuola e lavoro. Questa politica, incapace di respingimenti e incapace di integrazione, ci consegna al suicidio.