"Se Israele chiama io vado, ma basta con la manipolazione della Shoah"


AGI – “Se l’esercito di Israele mi chiama, io vado”, ma “basta con le manipolazioni della Shoah”. Allievo di Daniel Barenboim, compositore e direttore musicale del Teatro Massimo di Palermo, alla guida della Bbc Philarmonic e dall’1 settembre del 2022 della Volksoper di Vienna, Omer Meir Wellber ha scelto i giorni della Memoria per lanciare una provocazione: “Quando e’ successo, disse una volta un parlamentare, che una madre israeliana ha smesso di desiderare che il proprio figlio diventi medico o filosofo e ha cominciato a volerlo soldato?”, si chiede e chiede al proprio Paese Meir Wellber in un’intervista all’AGI.

Il compositore rilancia un interrogativo che anima il mondo intellettuale ebraico da diversi anni, almeno da quando Avraham Burg, ex presidente della Knesset e dell’Agenzia ebraica, diede alle stampe nel 2007 il volume “Sconfiggere Hitler”, in cui l’esponente della sinistra israeliana – che agli inizi di gennaio scorso e’ giunto a chiedere a Israele di non considerarlo piu’ un cittadino ebreo poiche’ cio’ avrebbe significato uno status inferiore per gli abitanti non ebrei di quel paese- scrive: “…La strategia dell’ebraismo che pone se stesso come ‘unico argomento non offre alcuna risposta”, scrive Burg a proposito delle “sfide” di integrazione con cui si confrontano gli ebrei americani. “Ogni volta che si tenta di mettere in discussione questa strategia – aggiunge – vengono chiamate in causa parole che zittiscono: Shoah, pogrom, odio di se’ ebraico. L’antisemitismo, le croci uncinate e Hitler decidono ancora una volta chi e’ l’ebreo, chiudendo il dibattito prima ancora che sia iniziato”.

Trascorsa l’adolescenza a Beer Sheba nelle Alture del Golan, dove e’ nato nel 1981, Meir Wellber ha intrapreso una carriera musicale che lo ha portato a dirigere diverse volte la Israeli Opera e, ancora in patria, la Raanana Symphonette Orchestra, i cui progetti coinvolgono circa 7000 bambini ogni anno. A lui, sebbene tenga a dire di sentirsi “parte della comunita’” di Israele, e’ toccata in patria peggior sorte editoriale che a Burg. Dopo aver dedicato un bel libro a Mozart, si e’ infatti visto rifiutare “Storia vera e non vera di Chaim Birkner”, da poco pubblicata da Sellerio, il romanzo di un “antieroe” che ha 108 anni e rivive nei ricordi il rapporto con l’ebraismo e un Paese sempre piu’ chiuso in un “fondamentalismo religioso”.

“L’ho proposta a 23 editori – racconta – e tutti hanno detto ‘no’. Non a caso ho scelto questi giorni per la pubblicazione in Italia. Il mio rapporto emotivo con Israele e’ fortissimo. La memoria gioca un ruolo importante in questo legame. In Israele la memoria non e’ un termine romantico, ma fa si’ che un ragazzo di 18 anni venga incoraggiato a rischiare la propria vita per difendere il proprio Paese. La memoria, questa memoria, non e’ solo un argomento simbolico di cui parliamo una volta l’anno. Un bambino in Israele si confronta con essa dall’eta’ di cinque-sei anni. E’ anche una cosa bella, per carita’, ma c’e’ anche anche chi, come me, si ferma un attimo e chiede: ‘Forse qualcosa va cambiata? Dove stiamo andando?”

La riflessione di Wellber, e quella di Chaim, investono questioni molto profonde, che hanno a che fare proprio con la memoria. “Il rapporto tra Shoah, sionismo ed esercito israeliano e’ molto molto profondo. L’appello emotivo che giunge a un ragazzo – spiega – e’ ‘tutti ci vogliono ammazzare’, con un collegamento alla Shoah. Ma si sa che non e’ vero, e che appelli come questo rappresentano un modo di pensare vecchio. Il risultato e’, come accade con il governo di Netanyahu, la presenza in Israele di gruppi religiosi violenti come una fazione nella Seconda guerra mondiale”. Israele, in qualche modo, ha tradito quella memoria che doveva incarnare? “No – risponde – mia madre vive li’, e nonostante tutto quello che io affermo adesso, se l’esercito mi chiama io vado. Posso criticare solo perche’ so che andrei“.

Quale mutamento chiede, allora? “La cosa piu’ importante sarebbe ammettere che l’antisemitismo non ha la stessa faccia di una volta. Vi sono gruppi anti israeliani, sia di estrema sinistra e di estrema destra, ma spesso vengono confusi apposta eventi terroristici con eventi antisemiti. L’antisemita, pero’, ti odia per come sei nato; l’anti israeliano ti odia per quello che stai facendo”. “Io, ad esempio – aggiunge all’AGI – vorrei, da persona che vive in Europa, quali sono i prodotti sul mercato provenienti da Israele e quali quelli provenienti dai Territori occupati. Lo Stato di Israele afferma che questo e’ antisemitismo, ma in non lo e’, non c’entra. E’ il prezzo che quello Stato deve pagare per una inutile guerra che si protrae da oltre 50 anni. Ma se lo affermi, tirano sempre fuori la Shoah”.

Eclettico, interprete appassionato di Mozart, Wellber interpreta il teatro come un luogo di liberta’ creativa, come fa Chaim con la propria memoria. “Palermo e la sua diversita’ dalle altrre citta’ mi sostengono – sottolinea – sia dal punto di vista tecnico che filosofico. Lo scorso anno venne un artista curdo e ricevette una standing ovation; per l’apertura della stagione lirica sono stato Mephisto e ho cantato una canzone yiddish. Non c’entrano, qui, destra e sinistra. Il punto e’ che se entri in teatro sei chiamato a porti delle domande, a cui ciascuno potra’ dare, una volta fuori, una risposta diversa. In un teatro puoi trovare la tua identita’. Un teatro senza pubblico –  ricorda, rilanciando un passo cruciale del romanzo – e’ come una sinagoga senza fedeli”.

In teatro Wellber gioca la propria partita del “vero e non vero”, come Chaim fa con la memoria: “E’ questo – dice – il punto della memoria: noi la costruiamo piano piano, e cosi’ fa Chaim, che si inventa ogni volta un nuovo personaggio che racconta la propria storia”. Ogni volta uno spartito diverso, un nuovo racconto. C’e’ una kapo’, nel romanzo, che Chaim, sopravvissuto all’Olocausto, aiuta ad avere i soldi che la Germania destina ai sopravvissuti. Chaim lo sa, ma “crea la storia perfetta affinche’ lei abbia il massimo della somma disponibile”. Lui “vive nello spazio tra cio’ che e’ accaduto e quel che sarebbe potuto accadere. E e’ questa la sua tragedia”.

“Siamo noi a decidere cio’ che e’ bello e cio’ che e’ brutto”, spiega, a chi gli chiede del rapporto tra musica e nazismo e del comportamento di Wilehlm Furtwangler, leggendario direttore d’orchestra accusato di collaborazionismo con il nazismo. “Io onestamente non ho tanta fiducia sia nell’essere umano che nella musica. Tutto e’ relativo, sia le cose brutte che quelle belle”, precisa ricordando una citazione molto forte del pianista Artur Schnabel, che non volle mai tornare nella Germania da cui era fuggito nel 1933: “Io non voglio suonare in un Paese che mi accetta solo perche’ ha perso una guerra”. “Queste cose erano giuste nel 1947 – spiega Meir Wellber – ma non nel 2021. Io non voglio vivere cosi’. Il mio personaggio, Chaim, rivela quanto io abbia vissuto anni in questa vicenda: la memoria ha ruoli diversi nei momenti diversi, e cambia di continuo. C’e’ una storia che e’ vera e non vera al tempo stesso”.

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Fonte: cultura agi