Milano, 14 nov. – È un’opera difficile, anzi “la più complessa”, e “difficilissima da dirigere”, il Don Carlo di Giuseppe Verdi che il 7 dicembre inaugura la stagione del Teatro alla Scala di Milano, con la superstar Anna Netrebko, Luca Salsi, Francesco Meli ed Elina Garanca. Il maestro Riccardo Chailly che la dirigerà, ne ha parlato durante un incontro di avvicinamento alla Prima. “Sono molto contento che il Don Carlo torni per l’inaugurazione della Scala, é la quinta volta. É il titolo dei primati, quello cioè – spiega – che in assoluto ha il primato dal 1951” da quando la Prima si è spostata al 7 dicembre. “Il titolo che segue è Macbeth che qui ha inaugurato 4 volte”. Il Don Carlo, che andrà in scena nella versione integrale dell’edizione del 1884, rielaborata da Verdi proprio per il Teatro alla Scala è quella in 4 atti, e non quella in 5 che andò in scena a Parigi. Chailly ha scelto “quella che per Verdi ha avuto un forte valore, come lui scrisse in una lettera ‘è una versione con più concisione e più nerbo’. Voleva una versione più sintetica, più compatta. E questo è assolutamente vero. Ma comunque è un’opera” importante che “che prenderà con le pause, quattro ore di serata”. Quanto alle difficoltà, il maestro non le nasconde ma confida nel “cast formidabile “. “La difficoltà è musicale e interpretativa, non solo per il direttore d’orchestra che deve gestire la complessità della partitura, ma per i cantanti”. “C’è un recitativo continuo, una grandissima difficoltà dal punto di vista della scrittura del canto”. “Verdi prende illuminazione e fa sua questa musica in maniera unica e straordinaria, creando però uno dei capolavori più difficili dal punto di vista dell’esecuzione” ribadisce Chailly. Il maestro si era già cimentato con quest’opera venti anni fa ma allora, dice, “ero meno esperto”, poi ha coltivato la sua “ossessione per Verdi” e oggi parte in vantaggio.
Neanche un anno fa, ad aprile, il teatro alla Scala si impegnò con un concerto pro-Ucraina, devolvendo l’incasso alle vittime dell’aggressione russa. “Quando abbiamo eseguito lo Stabat mater – ricorda il direttore d’orchestra Riccardo Chailly – tutti noi, i cantanti, l’orchestra, volevamo fare qualcosa di sensibile nei confronti di questa guerra folle in Ucraina. Adesso ci troviamo di fronte a una situazione analoga, con la striscia di Gaza, con quello che è successo, con il popolo palestinese… È molto difficile oggi trovare un senso, stiamo vedendo cose che non avremmo mai neanche pensato”. “La musica è semplicemente qualcosa che lenisce il dolore che stiamo vivendo. È un momento di astrazione – sottolinea il maestro – . Grazie alla grandezza di Verdi, di Schiller, e oggi di un cast formidabile come quello che abbiamo a Milano, possiamo fare questo lavoro, che ci può dare un sollievo almeno temporale dalla tragedia che tutti noi stiamo vivendo anche a distanza”. “Non si può più pensare ogni sera quando si guarda il telegiornale in televisione, che cominci sempre da esplosioni, da cannoni, da forze che distruggono. È qualcosa di veramente sconvolgente” ha concluso Chailly.
Per il Don Carlo di Verdi che inaugurerà la Prima del teatro alla Scala, il direttore Riccardo Chailly avrebbe voluto inserire anche i ‘ballabili’, presenti nella versione parigina in cinque atti, e non in quella ‘in quattro atti’, che andrà in scena al Piermarini. Ma ha trovato la ferma opposizione del regista Lluis Pasqual. A raccontare il ‘dietro le quinte’ é stato lo stesso Chailly durante un incontro di avvicinamento alla Prima. A Milano, ha spiegato “avremo l’edizione integra, senza neanche mezza battuta tagliata. Ma ero tentato di inserire i ballabili. Poi ho avuto un incontro-scontro. È stato tra me e il regista e per evitare colluttazioni fisiche ho tolto i ballabili. Lui dice che non aggiungono nulla alla storia che stiamo raccontando. E questo é vero. E anche perché scenicamente non era previsto” che ci fossero. “Della regia non dico nulla – aggiunge il maestro – spesso vado avanti a testate, é una convivenza complessa: tutti i miei anni scaligeri sono segnati da questo continuo pensare a due, non sempre nella stessa direzione”.